Medicina Democratica
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Rifiuti, corruzione, inquinamento



Pubblicato il 11 febbraio 2010
di: Redazione (Autore/i o Autrice/i in calce all’articolo)




La realtà è quella di molte altre: realtà nelle quali impera come può la corruzione dilagante che circonda il mondo dei rifiuti; un giro enorme di soldi utilizzati per far sparire nell’ombra scarti di lavorazione dannosi, causa di tossicità e malattie, che da decenni provocano il dispendio enorme di spese sanitarie ad essi imputabili.

15 sono stati gli arresti in tutta Italia: 3 le discariche sequestrate nel maxi scandalo nel quale emerge un chiaro vincolo di interesse, compromettente non solo responsabilità imputabili a tale smaltimento ma anche al chiaro intento di esponenti pubblici, che dovrebbero invece garantire il controllo della salute pubblica, li lasciarli correre.

Dalla falsificazione delle bolle di accompagnamento all’accertamento di un giro di smaltimento illegale dei rifiuti tossici che attraverso le Province toscane, Bergamo, Milano, Mantova, Ravenna, Trento e Trieste era davvero ben inserito nel circuito imprenditoriale, con la tacita complicità di chi localmente avrebbe dovuto preservare la tutela di cittadini e lavoratori.

Sono finiti in carcere a seguito delle disposizioni del Gip di Grosseto, Pietro Molino, vertice dell’Agrideco; il presidente del Cda, Stefano Rosi, 50 anni; il vice, Luca Tronconi, 45, con l’accusa di omicidio colposo, lesioni personali ed incendio a seguito dell’esplosione del capannone nel quale il 26 giugno del 2008 morì un operaio, Doru Martin, e un collaboratore, Giovanni Consiglio, 47 anni, livornese; sempre in carcere sono finiti Paolo Meneghetti, 49, e Federico Lattanzi, 37 per traffico illecito di rifiuti, gestione non autorizzata, falsità in registri e notificazioni fino alla falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico; stessa accusa è stata mossa anche nei confronti di altri 10 persone tra le quali spiccano Stefano Anselmi, Franco Leorati e Mauro Bragagni del Gruppo Marcegaglia .

Nell’inchiesta condotta dai Noe di Grosseto coordinati dal pubblico ministero Alessandro Leopizzi è finito come indagato anche Steno Marcegaglia, leader dell’omonimo gruppo e padre di Emma, presidente di Confindustria, in qualità di responsabile della Made Hse, una società di consulenza del gruppo mantovano.

Dice un inquirente: «In sedici mesi abbiamo monitorato centinaia e centinaia di camion che trasportavano in modo irregolare rifiuti da una parte all’altra del Paese. Quanto? Parliamo di almeno un milione di tonnellate».

L’epicentro del terremoto è in Maremma, negli uffici follonichesi della Agrideco srl, la società di intermediazione di rifiuti che dal 1991 lavora con i grandi gruppi industriali italiani. Dopo la tragedia di un anno e mezzo fa è partita l’inchiesta. Dalle indagini è emerso che alla società follonichese veniva commissionato lo smaltimento dei rifiuti in mezza Italia. I lavori venivano eseguiti molto spesso attraverso un impianto di trattamento che si avvaleva di produttori, trasportatori, laboratori di analisi, impianti di trattamento, siti di ripristino ambientale e discariche, per gestire i flussi.

Una sistematica falsificazione di certificati di analisi, formulari di identificazione e registri per attribuire codici di rifiuto non corretti e dirottare il carico in siti compiacenti in Toscana, Trentino ed Emilia Romagna.

A Ravenna, ad esempio 100mila tonnellate di rifiuti contenenti mercurio, idrocarburi e altri inquinanti sarebbero stati smaltiti attraverso falsi certificati di analisi redatti da un laboratorio compiacente. Analoga situazione sarebbe stata riscontrata a Servola di Trieste, dove la Agrideco svolgeva l’intermediazione e l’individuazione di siti di smaltimento dei rifiuti provenienti dallo stabilimento siderurgico. I rifiuti però - secondo gli accertamenti - venivano parzialmente smaltiti in discariche, classificandoli sempre con codici non pericolosi, mentre la maggior parte venivano stoccati nello stabilimento, realizzando vere e proprie discariche abusive. Inoltre, venivano miscelati tra di loro per abbassarne i parametri di pericolosità e, attraverso campionamenti non rappresentativi, venivano inviati ad impianti non idonei a riceverli. L’obiettivo? Quello di risparmiare sullo smaltimento.

Tra gli indagati toscani anche il consigliere Federico Lattanzi, nato a Piombino e residente a Follonica, insieme al responsabile del settore rifiuti e bonifiche della Provincia, Andrea Ravanelli; Monica Tortolini, dell’Arpat di Piombino, il cui ruolo avrebbe dovuto essere quello di vigilare nell’ambito della protezione ambientale, e alcuni esponenti dell’Asiu, l’azienda pubblica di Piombino che gestisce i rifiuti in tutta la Val di Cornia e che, nel corso degli anni, ha ricevuto rifiuti provenienti dall’Agrideco, tra cui il presidente Fulvio Murzi ed il direttore generale Enrico Barbarese e il tecnico Maurizio Pinna, responsabile dei conferimenti nella discarica di Ischia di Crociano. A fare da sfondo a questo filone d’indagine, sicuramente meno pesante di quello principale che tocca i rappresentanti dell’Agrideco e quelli di diverse imprese che avrebbero “taroccato” le analisi classificando come non pericolosi, ingenti quantitativi di rifiuti che invece, secondo quanto sostengono gli inquirenti, erano pericolosi, la violazione delle normative ambientali. Mauro Palandri, 48 anni, imprenditore, titolare della Rari, azienda che si occupa della gestione di rifiuti industriali, finita sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori proprio per i suoi rapporti con Agrideco, è nel registro indagati.

Su questa scia appare più che positivo incoraggiare la partecipazione della cittadinanza e di iscritti al Meetup alla Presentazione che avrà luogo il 16 febbraio alle ore 15 presso l’Aula Magna della Facoltà di Economia dell’università di Pisa, via Ridolfi 10, in merito all’importante Rapporto di ricerca sulle Ricadute economiche, sociali ed ambientali legate alla presenza dell’insediamento Solvay nel Circondario della Val di Cecina, a cura di Bruno Cheli e Tommaso Luzzati. 11.2.10




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