Medicina Democratica
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Eternit, istruttoria chiusa Da giugno la requisitoria dei pm e in autunno la sentenza



Pubblicato il 3 aprile 2011
di: Redazione (Autore/i o Autrice/i in calce all’articolo)




La testimonianza del dottor Mancini, figura di riferimento per la bonifica ambientale a Casale Monferrato il Tribunale respinge la richiesta della difesa: non ci sarà nessuna perizia supplementare sull’origine delle malattie

TORINO I consulenti della difesa di Stephan Schmidheiny avevano cercato di fare piazza pulita delle ricerche epidemiologiche condotte dal professori Magnani e Menegozzo sulla frequenza con cui i lavoratori Eternit di Casale Monferrato e Bagnoli si sono ammalati ai polmoni rispetto alla popolazione generale delle due aree. La loro punta di diamante, il professor Canzio Romano, autentico specialista nel ridimensionare le cause di morte collegate dalle procure di mezza Italia a condizioni e altri fattori di lavoro, ha dovuto in questo caso impegnarsi ancora più a fondo: l’Eternit non è diventata solo sinonimo di strage silenziosa a causa dell’amianto respirato nelle sue fabbriche, ma di fronte a quasi tremila vittime provare a dimezzare i decessi attribuiti all’asbestosi e mettere in dubbio tutti i mesoteliomi che non siano stati diagnosticati con esami istochimici prospettava un’arrampicata di terzo grado. Eppure il docente universitario torinese vi si è cimentato con lo slancio migliore attribuibile ad un maestro della scienza medica.

E’ stato un vero peccato che tanta diligente applicazione alla causa dell’erede della ricchissima dinastia svizzera dell’amianto sia stata sprecata nel lanciare bordate contro i lavori dei due epidemiologi, nemmeno si trattasse di incerti specializzandi. L’obiettivo di ottenere, attraverso una tale sicurezza accademica, una perizia su tutti casi di malattia e morte attribuibili all’amianto Eternit era sbagliato sin dall’inizio del processo. E ieri il presidente del collegio giudicante, Giuseppe Casalbore, l’ha lasciato chiaramente intendere leggendo l’ordinanza che ha respinto al mittente l’istanza dei difensori: «Nessuno dei reati contestati in questo processo richiede l’accertamento di specifiche lesioni personali». Conseguenza: il 14 giugno, concesso un congruo margine per prepararsi, i pm inizieranno la loro requisitoria.

Guariniello e il collega Gianfranco Colace hanno consegnato in apertura di udienza una memoria per motivare il loro parere contrario alla perizia (che avrebbe, fra l’altro, fatto slittare i tempi del processo di un annetto). Vi si può leggere: «I reati contestati, infatti, non sono quelli direttamente riferibili alle malattie professionali che hanno colpito e ucciso, ma riguardano soltanto le fattispecie di disastro e di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro». In altre parole: perché impegnarsi a fare le pulci su singoli casi scelti più o meno a campione onde demolire l’edificio scientifico delle indagini epidemiologiche se la questione vera, quella di cui si discuterà dal 14 giugno, è se vi sia stato disastro, per di più a carattere doloso, nei modi di produzione dei manufatti in fibro-cemento e nello smaltimento degli scarti di lavorazione dell’amianto?

Il magistrato che ha costruito questo primo processo ad una multinazionale del settore , cioè Raffaele Guariniello, fa non a caso riferimento in quella stessa memoria al disastro come ad un reato di pericolo secondo la giurisprudenza della Cassazione e persino della Corte Costituzionale. Per cercare di inchiodare l’imputato Schmidheiny alle sue accuse gli basta dimostrarne l’atteggiamento passivo rispetto alla persistenza del pericolo di un disastro ambientale. Perché, se no, chiedere a molti testimoni se avevano notizie di un interessamento del nuovo guru internazionale dello sviluppo ecosostenibile, Zelig-Schmiheiny, per le bonifiche degli stabilimenti Eternit, e dei loro dintorni? Per non parlare di quanto ha prodotto l’utilizzo del polverino regalato alla popolazione per compattare cortili, aie, sagrati dei chiese, strade e stradine, sottotetti...?

La testimonianza del dottor Mancini, figura di riferimento per la bonifica ambientale a Casale Monferrato, dopo aver diretto quella della fabbrica locale dell’Eternit, è sembrata decisiva rispetto al profilo del disastro permanente. Basterà che la difesa del magnate svizzero abbia costruito la sua linea Maginot sulla disposizione di Schmidheiny di far cessare le donazioni di polverino intorno alla metà degli Anni 70? L’aver lasciato alla curatela fallimentare della holding italiana dell’Eternit la gestione degli stabilimenti in disuso pieni di amianto non è forse stata un’insanabile contraddizione? Quando si scrivono saggi e si tengono conferenze sul nuovo mondo dello sviluppo economico compatibile con il rispetto dell’ambiente e della vita umana converrebbe darsi da fare in prima persona. Specialmente se si diventa imputati di un processo come questo.

Ciascuno compie le scelte che preferisce. Nella primavera 2006, all’Hotel de la Paix di Lugano, due avvocati del magnate svizzero liquidarono le pretese risarcitorie dell’Associazione familiari delle vittime di Casale Monferrato con offerte capestro. Presagivano che l’imminente indulto avrebbe spazzato via ogni accusa. Fecero già allora l’errore di non considerare il disastro un reato di pericolo. Quando Guariniello prevede che il processo si giocherà sulle questioni di diritto possiamo non comprenderne bene il senso, noi non addetti ai lavori. Ma è sul permanere dei rischi sulla salute che poi si discuterà da giugno sino all’autunno fra accusa e difesa, con un quarto d’ora a testa concesso dai giudici a ciascuno dei numerosi legali di parte civile.

ALBERTO GAINO

(da "La Stampa")




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