SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 266 DEL 12/08/16

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 266 DEL 12/08/16

INDICE

  • Modificati gli Allegati III del Testo Unico relativi alla sorveglianza sanitaria
  • Responsabilità per infortunio durante il lavoro in straordinario svolto a casa
  • Caldo estivo: il rischio di colpi di calore per i lavoratori outdoor
  • Un disegno di legge per ridisegnare la normativa sulla sicurezza
  • Imparare dagli errori: quando non si mette in sicurezza il tetto

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

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MODIFICATI GLI ALLEGATI III DEL TESTO UNICO RELATIVI ALLA SORVEGLIANZA SANITARIA

In attesa della sua eliminazione definitiva, come auspicato da Sacconi e Fucksia nel loro Disegno di Legge sulla normativa sulla sicurezza (vedi articolo di PuntoSicuro riportato in questa Nnewsletter), continuano le modifiche peggiorative del D.Lgs. 81/08 (Testo Unico sulla Sicurezza), volte a ridurre i diritti dei lavoratori in merito alla tutela della loro salute e sicurezza.

Il 08/08/16 è stato infatti pubblicato in Gazzetta Ufficiale Il Decreto del 12 luglio 2016 del Ministero della Salute (“D.M. 12/07/16”) che modifica gli Allegati IIIA e IIIB del D.Lgs. 81/08.

Ai sensi dell’articolo 2 del D.M. 12/07/16 stesso, tali modifiche entrano in vigore il giorno successivo alla pubblicazione del Decreto stesso in Gazzetta Ufficiale, quindi sono già entrate in vigore a partire dal 09/08/16 e sono quindi pienamente operative.

La prima modifica (la più importante) riguarda l’Allegato IIIA del D.Lgs.81/08 “Contenuti della cartella sanitaria e di rischio”, nella sola parte relativa ai “Contenuti minimi della comunicazione scritta del giudizio di idoneità alla mansione”.

Tale comunicazione del giudizio di idoneità è previsto dall’articolo 41, comma 6 del D.Lgs. 81/08 che stabilisce che:

Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche di cui al comma 2, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:

  1. a) idoneità;
  2. b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
  3. c) inidoneità temporanea;
  4. d) inidoneità permanente”.

e dal successivo comma 6-bis che prevede che:

Nei casi di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 6 il medico competente esprime il proprio giudizio per iscritto dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al datore di lavoro”.

La forma di tale comunicazione scritta è definita dall’articolo 41, comma 5 del D.Lgs. 81/08 che specifica che:

Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio […], secondo i requisiti minimi contenuti nell’Allegato IIIA e predisposta su formato cartaceo o informatizzato […]”.

La sezione “Contenuti minimi della comunicazione scritta del giudizio di idoneità alla mansione” dell’Allegato IIIA definisce quindi i contenuti minimi di tale comunicazione.

Prima dell’entrata in vigore del Decreto Ministeriale di cui sopra, tali contenuti minimi erano i riportati nel seguente elenco:

  • generalità del lavoratore;
  • ragione sociale dell’azienda;
  • reparto, mansione e rischi;
  • giudizio di idoneità alla mansione specifica;
  • data della espressione del giudizio di idoneità;
  • scadenza visita medica successiva (periodicità);
  • firma del medico competente;
  • informazioni sulla possibilità di ricorso;
  • data di trasmissione del giudizio al lavoratore;
  • firma del lavoratore;
  • data di trasmissione del giudizio al datore di lavoro.

Nell’elenco di cui sopra, di fianco a “firma del lavoratore” l’Allegato IIIB riportava poi la seguente nota 13):

La firma del lavoratore dovrà attestare l’informazione circa il significato e i risultati della sorveglianza sanitaria, la corretta espressione dei dati anamnestici, l’informazione circa la possibilità di ricorrere contro il giudizio di idoneità”.

L’articolo 1, comma 1, lettera b) del D.M. 12/07/16 prevede che

“All’allegato IIIA Decreto Legislativo n. 81/2008 nella parte denominata ‘Contenuti minimi della comunicazione scritta del giudizio di idoneità alla mansione’ sono soppresse le parole ‘Firma del lavoratore’ e la nota 13”.

Con tale modifica il lavoratore non avrà più la possibilità di controfirmare il giudizio di idoneità alla mansione a seguito della visita medica di sorveglianza sanitaria e dare così conferma anche dell’avvenuta informazione sul significato e sui risultati della sorveglianza sanitaria e sulla possibilità di ricorrere contro il giudizio di idoneità stesso. Ma soprattutto non avrà più la possibilità di rifiutarsi di firmarlo, rendendolo così senza valore legale.

Il lavoratore dovrà quindi accettare passivamente il giudizio di idoneità alla mansione, senza nessuna possibilità di validarlo o meno con la sua firma.

Con la modifica del D.M. 12/07/16, viene anche cancellato qualunque riferimento sul giudizio di idoneità relativo all’obbligo del medico competente di informare il lavoratore sul significato e sugli esiti della sorveglianza sanitaria: informazioni che difficilmente vengono dati nei corsi di formazioni gestiti dalle aziende.

La seconda modifica apportata dal D.M. 12/07/16 riguarda invece l’Allegato IIIB del D.Lgs. 81/08.

Tale Allegato è previsto dall’articolo 40, comma 1 del D.Lgs. 81/08, che stabilisce che:

Entro il primo trimestre dell’anno successivo all’anno di riferimento il medico competente trasmette, esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in Allegato IIIB”.

L’articolo 1, comma 1, lettera b) del D.M. 12/07/16 prevede che

“L’Allegato IIIB Decreto Legislativo n. 81/2008 ‘Contenuti e modalità di trasmissione delle informazioni relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori’ è sostituito dall’Allegato al presente Decreto”.

L’unica modifica sostanziale del nuovo Allegato IIIB rispetto a quello presistente riguarda il campo “Adempimenti ai sensi dell’articolo 41, comma 4 del D.Lgs. 81/08 per alcol e tossicodipendenza in cui nella tabella da riempire da parte del medico competente il termine “alcoldipendenza” viene sostituito da “accertamenti assunzione alcol”.

Tale indicazione è del tutto contraria a quanto prevede il citato articolo 41, comma 4 del D.Lgs. 81/08 che invece prevede che:

Le visite mediche di cui al comma 2 […] sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti”.

Infatti sussiste una totale e completa differenza tra l’accertamento di condizioni di “alcol dipendenza” [“La dipendenza alcolica è caratterizzata da un comportamento ossessivo di ricerca compulsiva di bevande alcoliche (tipica la necessità di bere al mattino, appena svegliati) e da assuefazione e tolleranza (per raggiungere un determinato effetto desiderato dall’individuo è costretto a bere quantità sempre maggiori di bevande alcoliche)” come da definizione dello stesso  Ministero della Salute] e la semplice assunzione di alcolici.

La modifica apportata dal D.M. 12/07/16 sembra quindi voler imporre al medico competente di eseguire accertamenti sulla semplice assunzione d’alcol da parte dei lavoratori (che da sola non è condizione di alcol dipendenza) anziché solo accertamento di dipendenza da alcol che è quanto invece richiesto dal citato comma del D.Lgs. 81/08.

Il testo del D.M. 12/07/16 è scaricabile all’indirizzo:

www.regioni.it/download/news/471847

Marco Spezia

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RESPONSABILITA’ PER INFORTUNIO DURANTE IL LAVORO IN STRAORDINARIO SVOLTO A CASA

LE CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.78

Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti dei lavoratori.

Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.

Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi simili o analoghi.

Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.

Marco Spezia

QUESITO

Ciao Marco,

sono RLS di un’azienda di servizi in cui effettuiamo esclusivamente attività di ufficio al videoterminale.

E’ prassi consolidata “portarsi il lavoro a casa”, nel senso che la sera o nel weekend molti colleghi sbrigano gli straordinari (non pagati ovviamente) con il portatile della azienda, ma a casa loro.

L’azienda mi ha comunicato che sta valutando assieme a un legale la possibilità di far sottoscrivere a tutti i dipendenti un documento contenente lo scarico di responsabilità dell’azienda in caso di incidenti/infortuni che dovessero avvenire quando uno di questi colleghi lavora dalla propria abitazione.

Tu hai qualche input in proposito sulla fattibilità di un’iniziativa del genere?

Credi che un documento dove l’azienda manleva ogni responsabilità nel caso un dipendente si faccia male a casa propria, mentre lavora per l’azienda, sia possibile da un punto di vista legale?

Grazie

RISPOSTA

Ciao,

il documento ipotizzato dalla tua azienda non è assolutamente proponibile, ai sensi di quanto disposto dalla normativa vigente.

La tutela degli infortuni sul lavoro è infatti soggetta, oltre che dal D.Lgs. 81/08, anche dal Decreto del Presidente della Repubblica del 30 giugno 1965, n. 1124 “Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali” (D.P.R.1124/65).

Secondo l’articolo 1, primo comma di tale Decreto:

E’ obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro delle persone le quali, nelle condizioni previsto dal presente titolo, siano addette a macchine mosse non direttamente dalla persona che ne usa, ad apparecchi a pressione, ad apparecchi e impianti elettrici o termici, nonché delle persone comunque occupate in opifici, laboratori o in ambienti organizzati per lavori, opere o servizi, i quali comportino l’impiego di tali macchine, apparecchi o impianti”.

Nel caso della tua azienda tale definizione si applica relativamente ad “apparecchi e impianti elettrici” (i computer portatili).

Un successivo comma del medesimo articolo specifica poi che:

Sono pure considerate addette ai lavori di cui al primo comma del presente articolo le persone le quali, nelle condizioni previste dal presente titolo, sono comunque occupate dal datore di lavoro in lavori complementari o sussidiari, anche quando lavorino in locali diversi e separati da quelli in cui si svolge la lavorazione principale”.

Oltre a ciò, la definizione che l’INAIL dà di “infortunio sul lavoro”, come riportata al link:

https://www.inail.it/cs/internet/attivita/prestazioni/infortunio-sul-lavoro.html

è la seguente:

L’assicurazione obbligatoria INAIL copre ogni incidente avvenuto ‘per causa violenta in occasione di lavoro’ dal quale derivi la morte, l’inabilità permanente o l’inabilità assoluta temporanea per più di tre giorni. Si differenzia dalla malattia professionale poiché l’evento scatenante è improvviso e violento, mentre nel primo caso le cause sono lente e diluite nel tempo.

La causa violenta è un fattore che opera dall’esterno nell’ambiente di lavoro, con azione intensa e concentrata nel tempo, e presenta le seguenti caratteristiche: efficienza, rapidità ed esteriorità. Può essere provocata da sostanze tossiche, sforzi muscolari, microrganismi, virus o parassiti e da condizioni climatiche e microclimatiche. In sintesi, una causa violenta è ogni aggressione che dall’esterno danneggia l’integrità psico-fisica del lavoratore.

L’occasione di lavoro è un concetto diverso rispetto alle comuni categorie spazio temporali riassumibili nelle espressioni ‘sul posto di lavoro’ o ‘durante l’orario di lavoro’. Si tratta di tutte le situazioni, comprese quelle ambientali, nelle quali si svolge l’attività lavorativa e nelle quali è imminente il rischio per il lavoratore. A provocare l’eventuale danno possono essere:

  • elementi dell’apparato produttivo;
  • situazioni e fattori propri del lavoratore;
  • situazioni ricollegabili all’attività lavorativa.

Non è sufficiente, quindi, che l’evento avvenga durante il lavoro ma che si verifichi per il lavoro, così come appurato dal cosiddetto esame eziologico, ossia l’esame delle cause dell’infortunio. Deve esistere, in sostanza, un rapporto, anche indiretto di causa-effetto tra l’attività lavorativa svolta dall’infortunato e l’incidente che causa l’infortunio”.

Un eventuale infortunio occorso a dipendenti della tua azienda mentre svolgono attività lavorativa presso la propria abitazione si configura pertanto come “infortunio sul lavoro” secondo le fonti sopra citate.

Infatti:

  • in tale caso i lavoratori “sono comunque occupati dal datore di lavoro in lavori complementari o sussidiari, anche quando lavorino in locali diversi e separati da quelli in cui si svolge la lavorazione principale” (D.P.R. 1124/65), in quanto lo svolgimento del lavoro a casa, ma comunque per l’azienda si configura in ogni caso come l’essere “occupati dal datore di lavoro”;
  • l’infortunio anche a casa rientra in quelle situazioni “nelle quali si svolge l’attività lavorativa e nelle quali è imminente il rischio per il lavoratore” (definizione INAIL), in quanto il dipendente della tua azienda sta di fatto eseguendo una attività lavorativa per l’azienda ed è quindi sottoposto ai relativi rischi;
  • anche se l’infortunio avviene a casa sussiste “un rapporto, anche indiretto di causa-effetto tra l’attività lavorativa svolta dall’infortunato e l’incidente che causa l’infortunio” (definizione INAIL), in quanto se il dipendente non lavorasse a casa non sarebbe soggetto a rischio di infortunio.

Inoltre anche quando lavora presso la propria abitazione, il dipendente della tua azienda rientra nella definizione di “lavoratore” di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08 in quanto “svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato”, in quanto sta eseguendo un’attività che rientra nelle sue mansioni definite dall’azienda e pertanto è comunque tutelato da tutte le misure di prevenzione e protezione contro infortuni e malattie professionali definite dal Decreto.

Oltre a ciò occorre considerare la definizione di orario di lavoro di cui all’articolo 1, comma 2, lettera a) del D.Lgs. 66/03, secondo il quale:

Agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto si intende per orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.

Pertanto il tempo trascorso a casa da un dipendente della tua azienda per svolgere attività lavorativa per conto dell’azienda si configura come “orario di lavoro” in quanto egli è di fatto “a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”, all’interno del quale il dipendente è tutelato dalla citata normativa, anche in caso di infortunio, così come riportato dalla definizione di infortunio dell’INAIL.

Infine in analogia con quanto disposto per il lavoro a domicilio disciplinato dalla Legge n. 877/1973, occorre considerare che il primo comma dell’articolo 9 di tale Legge stabilisce che “ai lavoratori a domicilio si applicano in materia di assicurazioni sociali, le norme vigenti per i lavoratori subordinati e quindi, per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, si applicano le disposizioni del D.P.R. 1124/65”.

In definitiva, se un dipendente della tua azienda si infortuna a casa, mentre sta lavorando per l’azienda, si configura in ogni caso un rapporto causa-effetto tra l’attività che sta eseguendo per conto dell’azienda e il danno che ne occorre e quindi la responsabilità rimane a carico di della tua azienda.

Diverso il caso di attività lavorativa condotta in regime di cosiddetto “telelavoro”, come definito dal Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70, e di cui all’accordo-quadro europeo sul telelavoro del 16 luglio 2002.

Per telelavoro si intende un’attività lavorativa svolta per conto di un’azienda con contratto di lavoro subordinato, esclusivamente presso la propria abitazione, con mezzi forniti dall’azienda, mediante collegamento in rete con la sede aziendale.

In questo caso, le regole di tutela della salute e della sicurezza del lavoratore sono ben definite, all’interno del D.Lgs. 81/08.

Infatti tale Decreto specifica all’articolo 3, comma 10 che:

A tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico, compresi quelli di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70, e di cui all’accordo-quadro europeo sul telelavoro concluso il 16 luglio 2002, si applicano le disposizioni di cui al titolo VII, indipendentemente dall’ambito in cui si svolge la prestazione stessa. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al titolo III. I lavoratori a distanza sono informati dal datore di lavoro circa le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare in ordine alle esigenze relative ai videoterminali ed applicano correttamente le direttive aziendali di sicurezza. Al fine di verificare la corretta attuazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza da parte del lavoratore a distanza, il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e le autorità competenti hanno accesso al luogo in cui viene svolto il lavoro nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi, dovendo tale accesso essere subordinato al preavviso e al consenso del lavoratore qualora la prestazione sia svolta presso il suo domicilio. Il lavoratore a distanza può chiedere ispezioni. Il datore di lavoro garantisce l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri lavoratori interni all’azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle informazioni dell’azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali”.

In merito alla valutazione del rischio per attività condotte in telelavoro, il D.Lgs.81/08 non specifica come queste devono essere condotte, pertanto rimane valido quanto stabilito all’articolo 28, comma 1, contenente indicazioni relative all’oggetto della valutazione del rischio di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), che specifica:

La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche […] nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi […] quelli connessi […] alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro”.

Da tale enunciato appare evidente che il caso particolare del telelavoro (“specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro”) deve essere analizzato nell’ambito della valutazione di “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori”, anche per quanto riguarda la “sistemazione dei luoghi di lavoro”.

Ai sensi di quanto disposto dagli articolo 3, comma 10 e 28, comma 1 del D.Lgs.81/08, gli aspetti da analizzare nella specifica valutazione del rischio devono pertanto riguardare quelli connessi a:

  • stress lavoro correlato (Circolare del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali del 18/11/10 riportante le Indicazioni della Commissione consultiva per la valutazione dello stress lavoro-correlato);
  • luoghi di lavoro (Titolo II e Allegato IV del D.Lgs.81/08);
  • impianti e apparecchiature elettriche (Titolo III, Capo III);
  • utilizzo di videoterminali (Titolo VII e Allegato XXXIV del D.Lgs.81/08 e Decreto Ministeriale del 2 ottobre 2000 “Linee guida d’uso dei videoterminali”).

Per quanto riguarda la valutazione dello stress lavoro correlato, essa deve essere condotta dall’azienda tenendo conto anche della specificità del rapporto lavorativo che prevede il dover dedicare parte della propria abitazione ad attività lavorativa.

Per quanto riguarda i luoghi di lavoro, gli impianti e apparecchiature elettriche, l’utilizzo di videoterminali, tenendo conto della particolarità del telelavoro in cui le attività lavorative vengono svolte non in locali di proprietà dell’azienda, ma in abitazioni private di cui i dipendenti dell’azienda hanno la disponibilità, occorre definire i criteri con cui valutare i rischi ad essi connessi.

Per fare ciò, oltre alle relative indicazioni contenute all’interno dei citati Titoli del D.Lgs.81/08, vanno seguite le indicazioni riportate nella Circolare INPS n.80 del 22 luglio 2008 “Disposizioni attuative dell’Accordo Nazionale sul progetto di telelavoro domiciliare”.

Tale Circolare dedica una specifica attenzione alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori operanti in telelavoro.

Ricordando, come richiamato dall’articolo 3, comma 10 del D.Lgs.81/08, che è obbligo del datore di lavoro provvedere a che i videoterminali, i luoghi di lavoro, gli impianti e le apparecchiature elettriche siano conformi a quanto disposto dalla relativa normativa, la Circolare specifica in dettaglio come deve essere ottemperato tale obbligo.

Per quanto riguarda il piano di lavoro, il sedile, il videoterminale e i relativi accessori la Circolare specifica al Capitolo 6 che:

L’Istituto [l’azienda titolare del rapporto di lavoro] fornisce al lavoratore gli strumenti di telelavoro, che dovranno essere restituiti alla scadenza del contratto di telelavoro. La postazione di telelavoro comprende l’insieme delle attrezzature informatiche, i relativi supporti, la sedia e il piano di lavoro necessari allo svolgimento della prestazione in telelavoro”.

L’idoneità del piano di lavoro, del sedile, del videoterminale e dei relativi accessori alla normativa (in particolare a quanto disposto dal Titolo VII e dall’Allegato XXXIV del D.Lgs.81/08 e dal Decreto Ministeriale del 2 ottobre 2000 “Linee guida d’uso dei videoterminali”) deve essere quindi garantita dal datore di lavoro con una idonea scelta di tali strumenti di lavoro.

Per quanto riguarda invece l’idoneità dei luoghi di lavoro, degli impianti e delle apparecchiature elettriche il Capitolo 11 della Circolare specifica che essa è a carico del dipendente in telelavoro:

Il lavoratore che intende effettuare prestazioni di telelavoro domiciliare deve disporre di un ambiente con i seguenti requisiti:

  • abitabilità;
  • locale di superficie e volume adeguati per la postazione di telelavoro;
  • impianti elettrici, di riscaldamento o condizionamento a norma;
  • certificazione impianti;
  • condizioni ambientali idonee in termini di illuminamento, microclima, rumore e più in generale in termini di esposizione a agenti chimici, fisici e biologici.

Lo spazio destinato all’attività lavorativa dovrà essere distinto da quello riservato alle normali attività domestiche e familiari, al fine di:

  • facilitare la separazione tra tempi e ritmi di lavoro e tempi e ritmi di vita casalinga e quotidiana;
  • ottimizzare l’interazione con gli altri abitanti dell’appartamento per non creare disagi e situazioni potenzialmente stressanti per il telelavoratore stesso.

E’ fatto espresso divieto di collocare computer, fax, stampante e altre apparecchiature elettriche in locali che per destinazione d’uso o tipologia non sono adatti ad ospitarli, sia in termini strutturali e impiantistici che in termini di svolgimento delle normali attività domestiche”.

Ovviamente rimane invece a carico del datore di lavoro la verifica che i luoghi di lavoro, gli impianti e le apparecchiature elettriche approntate dal dipendente siano conformi a quanto disposto dal Capitolo 11 della Circolare e in generale alla normativa cogente.

A tale proposito la Circolare impone al datore di lavoro la verifica dell’idoneità dell’abitazione privata in qui verrà svolta l’attività di telelavoro.

Ciò è specificato sia al Capitolo 6:

L’Istituto verificherà prima dell’installazione della postazione di telelavoro la situazione logistica/ergonomica ottimale”;

sia, più in dettaglio, al Capitolo 11:

Al datore di lavoro deve essere riconosciuta la facoltà di accedere alla postazione di telelavoro. Il datore di lavoro potrà svolgere tale accesso anche avvalendosi delle figure previste dalla vigente normativa in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro (Responsabile e Addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione, Medico Competente, preposti). Gli accessi saranno effettuati, previa richiesta al telelavoratore, per verificare la corretta applicazione delle disposizioni in materia di sicurezza relativamente alla postazione di lavoro e alle apparecchiature, attrezzature e strumenti a essa collegati”.

E’ evidente che, nel caso si telelavoro (a maggior ragione, tenendo conto dei numerosi obblighi a carico del datore di lavoro), qualunque infortunio occorso al lavoratore sia ancora di responsabilità dell’azienda e non addebitabile al lavoratore.

In definitiva la lettera proposta dalla tua azienda di manleva di responsabilità per infortuni occorsi ai propri dipendenti durante il lavoro straordinario svolto a casa, non ha, da un punto di vista giuridico, nessuna valenza legale.

A disposizione per ulteriori chiarimenti.

Marco

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CALDO ESTIVO: IL RISCHIO DI COLPI DI CALORE PER I LAVORATORI OUTDOOR

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

29 luglio 2016

di Tiziano Menduto

Le linee di indirizzo ministeriali per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute riportano precise indicazioni sulle patologie associate al caldo. Focus su definizione, descrizione, buone prassi ed effetti dei colpi di calore.

Abbiamo più volte rilevato nella nostra rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata a infortuni e patologie professionali, come i lavoratori che operano all’aperto, i cosiddetti “lavoratori outdoor”, specialmente nei mesi estivi e in corrispondenza delle ondate di caldo, siano soggetti a rischi elevati dovuti all’esposizione alle radiazioni solari.

Rischi che non sono ancora sufficientemente conosciuti e correttamente valutati dai datori di lavoro e dagli stessi lavoratori outdoor.

Per questo motivo torniamo a parlare oggi di calore estivo cercando di migliorare la conoscenza delle patologie associate al caldo che possono interessare in particolare i lavoratori che svolgono un’attività fisica intensa all’aperto (ad esempio lavoratori edili, operai di cantieri stradali, agricoltori, giardinieri, marinai, operatori ecologici, …).

E per avere informazioni su queste patologie facciamo riferimento al documento “Linee di indirizzo per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute”, nella versione aggiornata del mese di marzo 2013. Un documento che contiene una revisione dei contributi originali, contenuti nelle precedenti versioni, elaborati da un gruppo di lavoro istituito dal Ministero della Salute.

L’attuale versione tiene conto anche delle Linee Guida elaborate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO 2008 e 2011) ed è stata realizzata nell’ambito del progetto del Centro Nazionale Prevenzione e Controllo Malattie (CCM), del Ministero della Salute: “Piano operativo nazionale per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute”, coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia del SSR Lazio. Un documento che è rivolto in particolare agli enti locali, ai medici e in generale a tutti gli operatori socio-sanitari coinvolti nell’assistenza e nella gestione delle fasce di popolazione a rischio.

Ricordando che la vulnerabilità della popolazione agli effetti delle alte temperature e delle ondate di calore estive è funzione del livello di esposizione (intensità e durata), della “suscettibilità” individuale (stato di salute, caratteristiche socio-demografiche e ambientali) e della capacità di adattamento sia a livello individuale che di contesto sociale e ambientale (percezione/ riconoscimento del rischio, disponibilità di risorse), vediamo di approfondire oggi una delle più conosciute patologie associate al caldo: il colpo di calore.

Il documento indica che il colpo di calore si manifesta con una ampia gradazione di segni e sintomi a seconda della gravità della condizione. I primi segni del danno da calore comprendono una combinazione di sintomi quali debolezza, nausea, vomito, cefalea, orripilazione al torace e agli arti superiori, brividi, iperpnea, crampi muscolari e andatura instabile. Se il quadro clinico progredisce si manifestano alterazioni della coscienza di vario grado e intensità (stato d’ansia, stato confusionale, delirio, sincope, coma), la temperatura corporea sale sopra i 40°C ed è seguita da una sindrome pluriorgano che può condurre a morte.

Chiaramente i soggetti più colpiti sono, a parità di esposizione e oltre ai bambini, gli anziani, in particolare gli over 75, in cui è frequente la cosiddetta “sindrome clinica da fragilità”, condizione caratterizzata da una ridotta riserva fisiologica, associata a una ridotta capacità di adattamento a modificazioni dell’ambiente interno o esterno e, ad un’aumentata suscettibilità ad eventi clinici. Non dimentichiamoci che i dati relativi al mondo del lavoro mostrano un progressivo invecchiamento della forza lavorativa del nostro paese.

Vediamo ora gli effetti del colpo di calore su tutto l’organismo:

  • sistema nervoso centrale: predomina all’inizio il danno cerebellare, data la particolare termolabilità delle cellule di Purkinje; pertanto atassia, dismetria e disartria sono sintomi di esordio, da non trascurare mai; la cefalea consegue, in genere, alla diretta esposizione al sole e non è quindi tipica del colpo di calore in età geriatrica;
  • rene: l’insufficienza renale acuta è un evento raro che si verifica solo in soggetti già seriamente neuropatici e tardivamente sottoposti a terapia;
  • fegato: il danno epatico, sia ischemico che colestatico, culmina 48-72 ore dopo il colpo di calore e può causare un tardivo peggioramento dello stato generale;
  • sangue: anemia e, soprattutto, diatesi emorragica legata all’effetto anticoagulante del calore in sé, alla termolabilità dei megacariociti, alla frequente attivazione di una coagulazione intravascolare disseminata e alla deficitaria sintesi di fattori della coagulazione da parte del fegato; non bisogna quindi sottovalutare manifestazioni emorragiche anche modeste come ecchimosi o piccoli ematomi;
  • cuore: le basse resistenze periferiche da vasodilatazione causano aumento della portata cardiaca, ma il danno termico sul cuore esita in ipotensione e tachiaritmie;
  • muscoli: episodi di necrosi muscolare portano a flaccidità diffusa;
  • sistema endocrino: iperglicemia iniziale e, sopravvenuta l’insufficienza epatica, ipoglicemia tardiva; l’ipoglicemia può però essere precoce in malati malnutriti o con epatopatia e dominare il quadro clinico;
  • polmone: iperventilazione e alcalosi in fase iniziale, acidosi metabolica e rischio di edema polmonare cardiogeno in fase avanzata;
  • cute: iperidrosi, specie ascellare, data la maggiore sensibilità delle ghiandole sudoripare ascellari allo stimolo termico; può sopravvenire ipoidrosi “da esaurimento”, anche se può esserci fin dall’esordio per cause concomitanti (diabete, farmaci anticolinergici ecc.).

Il documento si sofferma poi sugli aspetti diagnostici, sugli esiti possibili del colpo di calore e sulla diagnosi differenziale relativa alla sindrome neurolettica maligna (infatti alcuni farmaci implicati nella patogenesi del colpo di calore possono essere anche causa di sindrome neurolettica maligna).

Concludiamo questa breve presentazione delle problematiche correlate al colpo di calore, riportando semplicemente alcuni principi di terapia.

Nel documento si indica che oltre che curare la disidratazione, bisogna raffreddare l’organismo nel modo più fisiologico ed efficace possibile. A tal fine il raffreddamento diretto, ovvero da esposizione ad acqua fredda, non è ottimale perché comporta una brusca vasocostrizione e, quindi, richiede un costante monitoraggio.

Ed è dunque preferibile il raffreddamento per evaporazione, che si ottiene bagnando il corpo o avvolgendolo in teli di cotone bagnato e, successivamente, esponendolo a flussi di aria calda, non caldissima, come quella che esce da un asciugacapelli a basso regime. La parte della superficie corporea esposta al getto di aria va cambiata continuamente. La procedura va interrotta quando la temperatura rettale scende sotto i 39 °C.

Sono, infine, riportati nel documento anche i farmaci e le sostanze che è bene non somministrare e si ricorda che non è dimostrata alcuna efficacia degli steroidi e della profilassi antibiotica, misure che non vanno quindi adottate.

Il documento del Ministero della Salute, Centro Nazionale Prevenzione e Controllo Malattie (CCM), “Linee di indirizzo per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute” è scaricabile alll’indirizzo:

http://www.puntosicuro.it/_resources/LINEE_INDIRIZZO_PREVENZIONE_CALDO.pdf

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UN DISEGNO DI LEGGE PER RIDISEGNARE LA NORMATIVA SULLA SICUREZZA

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

04 agosto 2016

di Tiziano Menduto

Depositato nella Commissione Lavoro del Senato un Disegno di Legge che ridurrebbe il Testo Unico sulla sicurezza da 306 a 22 articoli. Le proposte, i principi generali, le modifiche in materia di responsabilità e le prime reazioni delle parti sociali.

Ormai da alcuni anni la filosofia che guida il legislatore in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro è quella della razionalizzazione e semplificazione delle norme e degli adempimenti. Molti provvedimenti, ad esempio il cosiddetto “Decreto del fare” o il “Jobs Act”, hanno previsto infatti semplificazioni e modifiche che hanno cambiato “qui e là” qualche articolo del D.Lgs. 81/08, ad esempio allargando qualche esonero, introducendo qualche deroga, standardizzando e agevolando l’elaborazione di qualche documento.

Tuttavia c’è chi ritiene che la terapia che necessita alla nostra normativa sulla sicurezza vada ben al di là di qualche taglio o qualche modifica.

Infatti nello scorso mese di luglio è stato depositato dai senatori Maurizio Sacconi e Serenella Fucksia, in Commissione Lavoro del Senato, un nuovo Disegno di Legge (DdL) tendente al riordino e alla semplificazione del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Un DdL che, sollevando, come vedremo, alcune perplessità e critiche, propone per il futuro una semplificazione drastica: se esso fosse approvato la normativa in materia di salute e sicurezza del Testo Unico passerebbe dagli attuali 306 articoli e 51 allegati a 22 articoli e 5 allegati.

Una proposta che prevede anche la possibilità per “medici del lavoro o altri professionisti esperti in materia di sicurezza sul lavoro”, di verificare l’avvenuto adempimento in azienda degli obblighi in materia di salute e sicurezza e certificare, sotto la propria responsabilità, la correttezza delle misure di prevenzione e protezione adottate dalla singola azienda.

E cambiamenti non mancherebbero poi anche nelle responsabilità del datore di lavoro. Secondo i due proponenti la colpa in materia di salute e sicurezza è “colpa di organizzazione” con la conseguenza che “essa viene meno ove l’imprenditore dimostri di aver provveduto a organizzare la sua azienda in modo corretto e attento rispetto alle esigenze di tutela dei propri lavoratori”.

Per illustrare più nel dettaglio il DdL “Disposizioni per il miglioramento sostanziale della salute e sicurezza dei lavoratori” riportiamo alcune parti significative presenti nella presentazione del DdL stesso.

Si indica che la disciplina sulla salute e sicurezza durante il lavoro è stata “prodotta nel presupposto della produzione industriale seriale fortemente meccanizzata e di mansioni lavorative standardizzate, venendo applicata in modo tendenzialmente omologo a tutti i luoghi produttivi di beni come di servizi”.

E si sottolinea che la normativa di salute e sicurezza vigente in Italia “si caratterizza per la sua eccessiva complessità, legislativa e di attuazione”, già bene esemplificata dal numero degli articoli del D.Lgs. 81/08, “a sua volta neppure esaustivo rispetto alle disposizioni vigenti”.

Complessità ancora più preoccupante, continuano i due senatori, “ove si consideri che il Testo Unico (come già il D.Lgs. 626/94) non prevede alcuna modularità delle disposizioni applicabili alle aziende rispetto alle peculiarità dei settori e delle attività di riferimento imponendo in modo indistinto a tutti i datori di lavoro l’adozione (tendenzialmente assistita da sanzione penale) delle stesse misure di tutela, progettate avuto riguardo al modello di una impresa manifatturiera, strutturata e organizzata in modo tradizionalmente gerarchico”.

Secondo i proponenti è evidente ed improcrastinabile “indirizzare la normativa vigente in materia di salute e sicurezza verso una maggiore pertinenza rispetto alle dinamiche e ai rischi infortunistici di settore e tenendo conto delle diversità delle organizzazioni di lavoro”.

Insomma appare necessario “abbandonare definitivamente l’approccio formalistico” a favore di uno “pratico e sostanziale, che concepisca le regole di prevenzione in modo coerente con la gravità dei rischi propri delle imprese dei diversi settori di riferimento e che favorisca un approccio normativo fondato sulla sostenibilità degli obblighi di legge da parte degli studi professionali, degli uffici in generale e delle Piccole e Medie Imprese, cui non è logico né corretto chiedere gli stessi adempimenti imposti ad aziende con processi complessi e con numero elevato di lavoratori, senza alcuna considerazione dei dati infortunistici di riferimento”.

Prima di entrare nel dettaglio di qualche articolo riprendiamo i principi generali presentati nel DdL:

  • introduzione del principio del rispetto dei livelli di regolazione minimi previsti dalla legislazione comunitaria di riferimento, eliminando quelle parti delle normative italiane (Leggi, Decreti, altre fonti) che rispetto ai livelli di regolazione delle Direttive comunitarie siano ulteriori e non giustificati da esigenze di tutela dei lavoratori;
  • riconoscimento del principio per il quale il datore di lavoro è tenuto ad adottare le misure di prevenzione e protezione che rappresentano lo “stato dell’arte” in materia di prevenzione di infortuni e malattie, in quanto elaborate da soggetti competenti e, se necessario, “validate” da soggetti pubblici;
  • identificazione di principi essenziali di sicurezza, tratti dalle Direttive europee e contenuti nelle “norme tecniche”, nelle “buone prassi” e nelle “linee guida”, che costituiscano i livelli inderogabili (applicati unitariamente a livello nazionale) della tutela dei lavoratori rispetto agli infortuni e alle malattie professionali e il parametro di valutazione dell’adempimento degli obblighi delle aziende, con conseguente abrogazione delle disposizioni “di dettaglio” (tuttora vigenti, spesso risalenti agli anni ‘50) di cui ai Titoli II e seguenti del D.Lgs. 81/08;
  • possibilità per i soggetti obbligati di rivolgersi a soggetti “esperti” in materia di salute e sicurezza sul lavoro i quali, sotto la loro responsabilità professionale, possano “certificare” la correttezza della progettazione e realizzazione delle misure di prevenzione e protezione in azienda, anche previo accesso al patrimonio informativo di cui al Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione (SINP);
  • incentivazione, con un meccanismo di “bonus-malus” a valere sui premi INAIL, della adozione ed efficace attuazione in azienda delle misure di prevenzione di infortuni e malattie professionali;
  • complessiva rivisitazione della normativa vigente, eliminando ripetizioni e sovrapposizioni, anche con riferimento all’apparato sanzionatorio, garantendo la semplificazione della normativa nonché l’effettiva e corretta modulazione dei precetti, anche sanzionatori.

Prima di raccogliere qualche breve commento sul disegno di legge entriamo nel dettaglio di qualche articolo.

Ad esempio riguardo alle responsabilità il comma 4 dell’articolo 6 evidenzia come la responsabilità penale e civile del datore di lavoro è esclusa “nel caso in cui siano intervenuti fatti dovuti a circostanze a lui estranee, eccezionali e imprevedibili, o a eventi eccezionali, le cui conseguenze sarebbero state comunque inevitabili, nonostante il datore di lavoro si sia comportato in modo diligente”.

Certo resta ferma la necessità che il datore di lavoro vigili sulle condotte altrui (comma 5), adempimento che egli può però ottemperare anche attraverso una corretta organizzazione aziendale, “per mezzo dei dirigenti e dei preposti e attraverso idonee procedure, anche disciplinari”. E la responsabilità penale del datore di lavoro è esclusa (comma 6) in caso di infortunio occorso a seguito di grave negligenza del dirigente, del preposto o del lavoratore, “ove sia dimostrato il diligente comportamento del datore di lavoro, consistente nella adozione ed efficace attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge e di cui alla normativa vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.

L’articolo 7, “centrale nella logica e nella filosofia” della proposta, impone al datore di lavoro di perseguire l’adozione ed efficace attuazione delle “migliori soluzioni tecniche e organizzative disponibili” e presenta l’attività di supporto e sostegno garantita dai medici del lavoro o da altri professionisti esperti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, chiamati a verificare l’avvenuto adempimento in azienda degli obblighi in materia di salute e sicurezza rilasciando una apposita “certificazione” avente valore legale di presunzione rispetto agli obblighi di legge (comma 3, articolo 7). E al fine di consentire la necessaria selezione dei certificatori, la legge prevede la necessità di iscrizione a un elenco presso il Ministero del lavoro, previa verifica del possesso di determinati requisiti professionali e di esperienza. Secondo i proponenti tale meccanismo di affidamento a soggetto terzo della certificazione “permetterà una notevolissima riduzione della documentazione di riferimento per la dimostrazione dell’avvenuto adempimento degli obblighi da parte del datore di lavoro favorendo una visione sostanziale e non burocratica della materia e riducendo sensibilmente i costi di gestione degli adempimenti meramente documentali”.

In definitiva quella del nuovo DdL è sicuramente una visione in materia di sicurezza e salute sicuramente molto diversa da quella sottesa non solo dal Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, ma più in generale da tutta l’attuale normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

E’ evidente che stiamo parlando di una proposta. Una proposta che attende l’esame da parte della Commissione e che potrebbe o non potrebbe mai giungere al voto, almeno in questa forma e senza modifiche.

Rimandando a futuri approfondimenti sul tema, riprendiamo brevemente una breve nota che esprime l’opinione sul DdL da parte di Sebastiano Calleri, Responsabile nazionale salute e sicurezza nei luoghi di lavoro CGIL.

Secondo Calleri quella del DdL è una “riproposizione di posizioni già note e diffuse in passato, molte di stampo ideologico e alcune di segno contrario perfino a riforme già in atto, come quelle dell’articolo 117 della Costituzione”.

Secondo il dirigente CGIL tale proposta “dispone innanzitutto l’abrogazione del Testo Unico, per sostituirlo con un testo che propone modifiche pericolosissime non solo in merito alle responsabilità oggettive dei datori di lavoro (introducendo anche la responsabilità in qualche modo esimente di lavoratori e preposti), ma attraverso un sistema del tutto diverso basato sul principio della certificazione della corretta applicazione delle norme da parte di professionisti presunti terzi, ma retribuiti dai datori di lavoro stessi”.

Inoltre resta non conosciuto, all’interno dell’articolato del DdL, continua Calleri, “il ruolo assegnato ad esempio all’INAIL e al nuovo Ispettorato unico all’interno del sistema prevenzionistico”.

E’ probabile che questa proposta sarà seguita nei prossimi mesi da vari commenti di tecnici, politici e parti sociali, commenti che speriamo di poter pubblicare per offrire un ventaglio il più possibile allargato delle opinioni e delle soluzioni proponibili in materia di sicurezza.

Speriamo che il DdL e il dibattito che potrebbe sollevare saranno comunque una buona occasione per riflettere seriamente su come migliorare la sicurezza in Italia, su come adattarla al complesso e variegato mondo lavorativo e su come realizzare norme che siano prima di tutto efficaci nel tutelare la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il Disegno di Legge d’iniziativa dei Senatori Maurizio Sacconi e Serenella Fucksia “Disposizioni per il miglioramento sostanziale della salute e sicurezza dei lavoratori” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.it/_resources/160719_ddl_sicurezza_Sacconi.pdf

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IMPARARE DAGLI ERRORI: QUANDO NON SI METTE IN SICUREZZA IL TETTO

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

04 agosto 2016

di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni tratti da SUVA: un infortunio grave avvenuto durante l’esecuzione dei lavori sulla copertura di un edificio in costruzione. La dinamica dell’incidente, le riflessioni sulle cause e le regole di prevenzione.

Una delle tipologie di incidenti di lavoro più diffuse in ogni paese europeo è la caduta dall’alto nei lavori in quota, ad esempio da opere provvisionali, come i ponteggi, o da coperture, come i tetti delle case. Tipologie di incidenti (sia con riferimento ai rischi sui ponteggi, che ai rischi sulle coperture) più volte analizzate in “Imparare dagli errori”, la rubrica di PuntoSicuro dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi.

Anche oggi ci soffermiamo su questo tema e lo facciamo con riferimento non al nostro sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi, ma alla scheda di un infortunio, avvenuto in territorio elvetico, pubblicata sul sito di SUVA, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni, e correlata alla campagna “Visione 250 vite”.

La scheda, dal titolo “Cade dal tetto: mancava la protezione laterale”, racconta di un infortunio grave avvenuto durante l’esecuzione dei lavori sulla copertura di un edificio in costruzione.

Un lavoratore, falegname qualificato, sta lavorando sul tetto spiovente di un edificio in costruzione. Arriva presto sul posto per svolgere dei lavori preliminari. L’intenzione è di sollevare sul tetto una paletta di tegole con una gru.

All’improvviso la paletta si mette a oscillare. Il lavoratore cerca di fermarla con la mano libera, ma perde l’equilibrio. Cade oltre il bordo del tetto e dopo un volo di 5 m finisce a terra privo di sensi.

Perché l’incidente è avvenuto?

La scheda di SUVA indica che:

  • il lavoratore sta operando sul tetto dove manca in parte la protezione laterale del ponte da lattoniere: in questo caso tutti gli addetti ai lavori avrebbero dovuto dire STOP;
  • dalle indagini è emerso che la parete di protezione da copritetto con il ponte da lattoniere era stata rimossa perché la gru a torre a rotazione bassa era troppo vicina al ponteggio;
  • il falegname è in piedi sul tetto spiovente che ha un’inclinazione di 40 gradi; in una mano tiene il telecomando della gru e contemporaneamente tenta di stabilizzare il carico e in quel mentre perde l’equilibrio;
  • il lavoratore non è in possesso dell’abilitazione da gruista e non avrebbe dovuto manovrare quella gru.

Dunque, riepilogando, questi sono i principali fattori causali dell’infortunio:

  • il lavoratore perde l’equilibrio e cade dal tetto;
  • la parete di protezione da copritetto è stata in parte rimossa;
  • il lavoratore manovra la gru pur non possedendo l’idonea abilitazione.

Per favorire la prevenzione degli infortuni correlati all’attività sulle coperture degli edifici, la scheda propone degli approfondimenti tratti dal documento del SUVA “Nove regole vitali per chi lavora su tetti e facciate”.

Ricordiamo brevemente le regole:

Regola 1: Realizzare accessi sicuri;

Regola 2: Mettere in sicurezza le zone con rischio caduta (regola rilevante per il caso in questione);

Regola 3: Impedire le cadute verso l’interno dell’edificio;

Regola 4: Mettere in sicurezza le aperture nel tetto;

Regola 5: Garantire superfici di copertura resistenti alla rottura;

Regola 6: Lavorare sulle facciate solo con attrezzature sicure;

Regola 7: Ispezionare i ponteggi;

Regola 8: Utilizzare correttamente le imbracature anticaduta;

Regola 9: Proteggersi dalle polveri di amianto.

Riguardo alla Regola 2, rilevante in questo caso, riprendiamo brevemente i suggerimenti contenuti nel documento “Nove regole vitali per chi lavora su tetti e facciate. Vademecum”:

  • Lavoratore: lavoro sui tetti solo se i bordi sono messi in sicurezza; metto in sicurezza le zone con rischio di caduta o segnalo le irregolarità al mio superiore e metto in guardia i colleghi;
  • Superiore: faccio sempre mettere in sicurezza come si deve le aperture a bordo tetto; se manca un dispositivo anticaduta, sospendo immediatamente i lavori.

Nella Regola si indica che la migliore protezione contro le cadute dall’alto è mettere in sicurezza l’intero perimetro del tetto. Questo protegge tutte le persone che si trovano in quel momento sul tetto (protezione collettiva).

In particolare la messa in sicurezza del bordo tetto deve impedire la caduta dall’alto delle persone in caso di inciampo, piede in fallo o scivolamento su un tetto a falda. La protezione deve essere sufficientemente stabile in modo da trattenere la persona.

Sono riportate poi alcune indicazioni, tratte dalla normativa elvetica, per i tetti piani:

  • ponte da lattoniere con piani di calpestio resistenti ai carichi dinamici, montaggio al massimo ad 1 m al di sotto del bordo tetto;
  • protezione laterale corretta che corre lungo tutto il bordo tetto.

E per i tetti spioventi:

  • lato gronda: ponte da lattoniere con piani di calpestio resistenti ai carichi dinamici, montaggio al massimo ad 1 m al di sotto del bordo tetto; se il tetto ha un’inclinazione di 25 gradi bisogna montare anche una parete di protezione da copritetto; in caso di lavori su tetti esistenti è possibile realizzare una parete di ritenuta sul tetto al posto di un ponte da lattoniere;
  • lato frontone: ponte da lattoniere (come descritto precedentemente); installazione di un parapetto e di un corrente intermedio.

Segnalando che ci sono alcune differenze nella normativa tra Svizzera e Italia, rimandiamo, infine, alla lettura di alcuni articoli di PuntoSicuro relativi alla prevenzione dei lavori in quota, agli infortuni, alle protezioni collettive/individuali e a quanto contenuto nelle nostre leggi di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro:

Definizioni, chiarimenti e normativa sui lavori in quota

http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/settori-C-4/edilizia-C-10/definizioni-chiarimenti-normativa-sui-lavori-in-quota-AR-10736

La sicurezza nei percorsi di accesso alle coperture

http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/settori-C-4/edilizia-C-10/la-sicurezza-nei-percorsi-di-accesso-alle-coperture-AR-10652

Una lista di controllo per la sicurezza nei cantieri edili

http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/settori-C-4/edilizia-C-10/una-lista-di-controllo-per-la-sicurezza-nei-cantieri-edili-AR-9752

La prevenzione delle cadute da lucernari, tetti e coperture

http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/settori-C-4/edilizia-C-10/la-prevenzione-delle-cadute-da-lucernari-tetti-coperture-AR-14704

Imparare dagli errori: i rischi dei lavori sulle coperture

http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/rubriche-C-98/imparare-dagli-errori-C-99/imparare-dagli-errori-i-rischi-dei-lavori-sulle-coperture-AR-12711

Imparare dagli errori: morire sul lavoro cadendo dal tetto

http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/rubriche-C-98/imparare-dagli-errori-C-99/imparare-dagli-errori-morire-sul-lavoro-cadendo-dal-tetto-AR-8036

Sicurezza in edilizia: lucernari, parapetti e bocche di lupo

http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/tipologie-di-rischio-C-5/rischio-cadute-lavori-in-quota-C-32/sicurezza-in-edilizia-lucernari-parapetti-bocche-di-lupo-AR-13213

Dispositivi di protezione anticaduta e D.Lgs. 81/08

http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/ruoli-figure-C-7/lavoratori-C-73/dispositivi-di-protezione-anticaduta-d.lgs.-81/2008-AR-8957

N.B.: Gli eventuali riferimenti legislativi contenuti nei documenti di SUVA riguardano la realtà svizzera, i suggerimenti indicati possono comunque essere utili per tutti i lavoratori.

Il documento di SUVA “Cade dal tetto: mancava la protezione laterale”, dinamica di un incidente correlata alla campagna elvetica “Visione 250 vite” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.it/_resources/suvacadedaltetto.pdf

Il documento di SUVA “Nove regole vitali per chi lavora su tetti e facciate. Vademecum” edizione maggio 2012 è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.it/_resources/files/Nove%20regole%20vitali%20per%20chi%20lavora%20su%20tetti%20e%20facciate.pdf