MASCHERINA ALL’APERTO, SI O NO ? CON GIUDIZIO E QUANDO E’ UTILE !

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Concordiamo con quanto riportato sul sito di retesostenibilità e salute https://www.sostenibilitaesalute.org/mascherine-obbligatorie-allaperto-non-ci-sono-i-presupposti-scientifici/ e qui ripreso.

Mascherine obbligatorie all’aperto. Mancano presupposti scientifici.

Nel frattempo il governo ha emanato il DL 7.10.2020 n. 125 che, tra l’altro, dispone l’obbligo “di avere sempre con sè dispositivi di protezione delle vie respiratorie con possibilità di prevederne l’obbligatorietà dell’utilizzo nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all’aperto ad eccezione dei casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi, e comunque con salvezza dei protocolli e delle linee guida anti-contagio previsti per le attività economiche, produttive, amministrative e sociali, nonchè delle linee guida per il consumo di cibi e bevande” (con eccezione per le attività sportive, i bambini con meno di sei anni e soggetto con patologie incompatibili “con l’uso della mascherina”.

Si tratta dell’aggiunta, in fondo al lungo elenco di interventi emergenziali previsti del DL 25.03.2020 n. 19 che viene dopo quello che era finora l’ultimo in lista “hh) eventuale previsione di esclusioni dalle limitazioni alle attivita’ economiche di cui al presente comma, con verifica caso per caso affidata a autorita’ pubbliche specificamente individuate”, in pratica la possibilità di derogare dall’obbligo di chiusura da parte di attività non inserite tra i codici ATECO “essenziali” e che hanno potuto continuare l’attività nella fase I, un provvedimento (la chiusura e la relativa deroga) non più in vigore di fatto dal 5.05.2020.

Non è facile scrivere una norma che sia chiara e comprensibile per tutti, è una nostra virtù storica quello di riuscire a scrivere norme così arzigogolate che poi occorrono norme interpretative o correttive, tutto sembra fatto per dar lavoro a giudici di pace e tribunali amministrativi … insomma, i termini sono importanti e vanno ben calibrati e utilizzati in modo coerente e continuativo altrimenti si fa confusione, la norma diventa incerta nella sua comprensione, nella applicazione e da modo di aggirarla o di scamparla in caso si sia colti in fallo.

Dunque :
a) nelle attività produttive non cambia nulla, l’obbligo della protezione (leggasi mascherina chirurgica riconosciuta tale dal Ministero della Salute o con provvedimento di deroga dell’Istituto Superiore di Sanità – astenersi da taroccamenti !!! – o semimaschera respiratoria FFP2 con dichiarazione di conformità CE o provvedimento di deroga di INAIL) rimane immutato, è obbligatorio ogni qualvolta la mansione determina un avvicinamento a meno di 1 metro con un altro operatore. Nei luoghi lavorativi è assolutamente considerata inidonea la cosiddetta “mascherina di comunità” ovvero il coacervo di mascherine di tutti i tipi e materiali, senza alcuna certificazione e senza alcun riferimento o rispetto di norme tecniche, che viene venduta con la funzione di “coprire in qualche modo bocca e naso” (l’unico sistema che non può essere utilizzato …. sono le mani, in quanto non possono essere qualificate come “dispositivi” … , foulard o fazzoletti risultano consentiti).

b) per i cittadini che “pascolano” all’esterno è aggiunto l’obbligo di avere con sè un dispositivo di protezione (di qualunque genere) e la “possibilità” dell’obbligo (che in italiano non significa obbligo) di indossarla se non si è “isolati” (anche questo termine non è sempre di immediata individuazione, se siamo in mezzo a un bosco e non si vede anima mia siamo isolati, se siamo su una strada e c’è una unica persona che cammina nella nostra stessa direzione a 5/10 metri di distanza siamo isolati oppure no ??).
Il decreto, peraltro, si sfalda un po’ quando, per definire le esenzioni, parla di “mascherina” anzichè più genericamente di dispositivi, comunque sia, letteralmente, non vi è scritto che appena usciti dalla porta di casa dobbiamo indossarne un (qualunque) dispositivo.

Ricordiamo a tale proposito che mentre di mascherine e semimaschere si comincia a parlare nel DL 17 marzo 2020 n.18, di “mascherine di comunità” il Governo ne parla (prendendo spunto dalla analoga e precedente ordinanza della Regione Lombardia) a partire dal DPCM 26.04.2020 (quello della “fase 2”) al fine di consentire la riapertura dei mezzi di trasporto e di luoghi chiusi pubblici, in tale decreto si identificato tali “dispositivi” come “mascherine di comunità ovvero mascherine monouso o mascherine lavabili, anche auto-prodotte, in materiali multistrato idonei a fornire una adeguata barriera e, al contempo, che garantiscano comfort e respirabilità, forma e aderenza adeguate che permettano di coprire dal mento fino al di sopra del naso“.

Non molti giorni fa la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha diffuso un depliant che chiariva (per qualcuno ce ne n’era ancora bisogno) il tipo di dispositivo e in quale situazione utilizzarlo.

informativa Consiglio dei Ministri

Insomma, è pacifico che l’utilizzo corretto, quando vi è effettiva vicinanza tra persone, di “dispositivi di protezione delle vie respiratorie” (degne di questo nome !) sia utile per ridurre la diffusione del contagio da SARS-COV2, il loro utilizzo continuato e praticamente ovunque al di là della concreta presenza di un rischio, appare immotivato e anche disagevole (se non fonte di pericoli) come immotivati appaiono le norme che, malamente, intendono imporre (ma che non impongono neppure, stando al dettato della stessa) l’utilizzo pressocchè permanente di dispositivi di qualunque genere (questo il messaggio veicolato dai media).
La confusione è molta sotto il cielo ma la situazione non è affatto eccellente, per parafrasare Mao…

A cura di Marco Caldiroli

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