CONSIDERAZIONI IN MERITO ALLA (PRESUNTA) OBBLIGATORIETA’ ALLA VACCINAZIONE ANTICOVID PER LAVORATORI E LAVORATRICI

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Note su attività di costrizione e/o discriminazione per lavoratori che non intendono sottoporsi a vaccinazione anticovid

Si mettono a disposizione note sintetiche che cercano di inquadrare il tema considerando che vi sono molte possibili varianti in funzione del tipo di mansione (distinguendo in particolare operatori sanitari e socio-sanitari da operatori dell’industria, commercio e servizi) e per singola azienda in relazione alle azioni intraprese dal singolo servizio di prevenzione e protezione aziendale (ovvero da datore di lavoro, RSPP, medico competente e RLS). Le note vengono redatti allo stato attuale nella normativa generale (emergenza covid) e delle norme in materia di sicurezza sul lavoro (Dlgs 81/2008).

Un primo aspetto da sottolineare è che attualmente il lavoratore viene chiamato (attualmente) a vaccinarsi quale cittadino e non quale lavoratore, la vaccinazione è messa a disposizione dello Stato tramite il Servizio Sanitario Nazionale “in ordine di priorità, che tiene conto del rischio di malattia, dei tipi di vaccino e della loro disponibilità” (v. Piano Strategico. Vaccinazione anti Sars-Cov-2/Covid19. Aggiornamento 12.12.2020).
In questo contesto l’unico compito che può avere il datore di lavoro (parliamo di attività sanitarie e sociosanitarie chiamate per prime alla vaccinazione) è quello di agevolare “domanda e offerta” ovvero inviare i nominativi dei propri operatori che corrispondono alle caratteristiche previste dalle norme con i soggetti pubblici che effettuano le vaccinazioni (USL/ASL/ATS/ASST).
La risposta, positiva o negativa che sia, del lavoratore è una questione coperta da privacy e riguarda il lavoratore con il soggetto sanitario corrispondente che sarà la struttura pubblica “vaccinante” o il medico competente se quest’ultima fa da tramite.

Il datore di lavoro o altri soggetti aziendali (anche se medici) non hanno alcun “potere” conoscitivo in tal senso, non possono chiedere lo stato vaccinale o quale sia la decisione del singolo lavoratore allo stesso modo in cui non possono chiedere (non hanno alcun diritto a pretendere) alcun dato sullo stato di salute del lavor.
Sarà il medico competente, il cui ruolo come si vedrà è centrale in tutta questa materia per i poteri e di doveri che gli sono conferiti dal Dlgs 81/2008, a valutare se la mancata adesione alla vaccinazione del cittadino può avere degli effetti sul lavoratore in funzione dei rischi della sua mansione.
Sempre per quanto sopra il medico competente deve essere il riferimento per ogni problema connesso con la proposta di vaccinazione : può essere coinvolto per capire se, rispetto ad una personale situazione di salute (che dovrebbe essere ben conosciuta dal MC e riportata nella cartella individuale, altrimenti occorre fornirgli la documentazione sanitaria personale nuova) vi siano specifiche controindicazioni alla vaccinazione o è opportuno un rinvio.
Sopra tutto occorre che i lavoratori siano ben coscienti che il giudizio di idoneità alla mansione che hanno ricevuto all’esito dell’ultima sorveglianza sanitaria fa testo fino a quando non viene sostituito da un altro, in altri termini un lavoratore può essere considerato (temporaneamente o meno) non idoneo alla mansione per un rischio “biologico” SOLO se tale condizione viene attestata dal medico competente con un nuovo giudizio di (non) idoneità sanitaria che andrà a sostituire l’ultimo.
Come previsto dall’art. 41 del dlgs 81/2008 il lavoratore ha comunque diritto a ricorrere avverso il giudizio di idoneità o non idoneità sanitaria espressa dal medico competente entro 30 giorni (sono tassativi !) dalla ricezione del giudizio.
Pertanto, in caso di discriminazione (spostamento ad altre mansioni fino al licenziamento) per effetto di un giudizio di inidoneità temporanea il primo passo (o contestuale) alla vertenza per lavoro, è quello del ricorso “all’organo di vigilanza territorialmente competente” ovvero alla USL/ASL del territorio ove ha sede l’azienda o l’unità locale ove svolge l’attività il lavoratore.

Il Covid e gli obblighi in materia di rischio biologico sul luogo di lavoro

Occorre considerare una novità normativa introdotta con la direttiva UE 739 del 3.06.2020 che ha determinato il passaggio di classificazione del SARS-COV2 da agente biologico lavorativo di categoria 2 a categoria 3 richiedendo la modifica degli allegati XLVII e XLVIII del dlgs 81/2008 (la direttiva era da recepire entro il 24.11.2020 ed è stata recepita con DL 149 del 9.11.2020 all’art. 17).
La classificazione nel livello di rischio 3 significa che l’agente biologico “può causare gravi malattie agli uomini e presenta una grave rischio per i lavoratori; può anche presentare un rischio di contagio nei confronti della comunità, ma in linea generale sono disponibili protocolli di profilassi e di trattamento ragionevolmente efficaci”. I virus SARS and MERS, ad esempio, appartengono alla categoria 3 (su una scala da 1, meno pericolosi, a 4 estremamente pericolosi).

A questo punto, come afferma giustamente anche Guariniello, risulta pacifico che il contesto della vaccinazione anticovid quale misura di protezione per esigenze lavorative si pone dentro la valutazione dei rischi da agenti biologici.
La premessa di tutto è quindi, secondo Guariniello e non solo, è il riconoscimento che in quella data azienda/attività esiste un rischio lavorativo da agente biologico SARS-COV2 (quindi di categoria 3).

Questa osservazione porta necessariamente a distinguere, nella successiva valutazione dei casi, tra attività già soggette a rischi da agenti biologici (come attività sanitarie e socio-sanitarie) e attività in precedenza non soggette a rischi da agenti biologici (o soggetti solo ad agenti di prima categoria).
In proposito va ricordato che le attività soggette a rischi biologici sono molto più diffuse di quelle cui, istintivamente, si è portati a pensare. L’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) stima in una quota pari al 13 % dei lavoratori come esposti a rischi biologici e in una quota di 5.000 decessi/anno di lavoratori in Europa per malattie infettive lavoro-correlate. Tali rischi sono principalmente connessi al settore sanitario, allevamento degli animali, gestione dei rifiuti e delle acque reflue, attività agricola e viaggi per lavoro.
Contrariamente a tale assunto l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha definito, nell’individuare le modalità di accesso nelle aziende per la verifica dei protocolli tra le parti sociali (14.03.2020 e 24.04.2020) che, per quanto riguarda il Covid19, « Il rischio non è riconducibile al titolo X del Dlgs 81/2008, non attendendo ordinariamente al ciclo produttivo aziendale» (Circolare INL, n. 149 del 20.04.2020).
Questa indicazione è, notoriamente, messa in discussione da diversi interpreti (tra cui il Dr. Guariniello) ma costituisce prassi che, dal livello ministeriale rappresentato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro si è riverberata su tutti gli altri organi di vigilanza e principalmente sulle USL/ASL. Nessuna azienda industriale, dei servizi e commerciale, ove l’unico rischio biologico è quello “esogeno” Covid-19, è stata infatti finora sanzionata per la assenza di un documento di valutazione dei rischi (DVR) dedicato a tale rischio ma si è proceduto alla verifica dell’attuazione corretta del protocollo tra le parti sociali comprese le eventuali violazioni su aspetti comunque previsti dal dlgs 81/2008 (come la pulizia dei locali, i dispositivi di protezione individuali, la formazione/informazione dei lavoratori ecc). Il protocollo è infatti stato inteso come il risultato di una valutazione dei rischi svolta dal Governo e valida per tutte le aziende/attività.
Un possibile “obbligo” vaccinale per mantenere la propria idoneità alla mansione potrebbe essere solo il risultato di un processo valutativo che porta il medico competente a definire come necessario “mettere a disposizione” dei lavoratori uno o più vaccini specifici: se in una azienda non vi è un DVR che identifica il rischio biologico Covid come proprio della attività, non vi è sorveglianza sanitaria dedicata per il rischio biologico Covid, non si capisce da dove potrebbe sorgere un obbligo vaccinale lavorativo (ovviamente altro discorso, ma il livello è diverso – è quello extralavorativo: se una norma nazionale imporrà che tutti i cittadini o i lavoratori di determinati comparti lavorativi devono essere sottoposti a vaccinazione anticovid, tale condizione non è attualmente presente). In caso contrario, infatti, le aziende sottoposte a vigilanza dal 5 maggio 2020 dovevano necessariamente garantire un DVR “Covid-correlato” e la assenza doveva attivare i “tradizionali” atti di contestazione, contravvenzione e prescrizione previsti dal DLgs 81/2008 e dal Dlgs 759/1994.

Quindi distinguiamo tra attività già in precedenza soggette a rischio biologico e quindi dotate di DVR dedicato e quelle che “ex novo” hanno dovuto affrontare questo rischio.
Se esaminiamo quelle del primo caso potremo dare risposta anche alle seconde che si pongono, in termini di rischio e quindi di “necessità” di vaccinazione a scopo lavorativo ad un livello di minore evidenza.

ATTIVITA’ GIA’ SOGGETTE A RISCHIO BIOLOGICO (es. attività sanitarie e socio-sanitarie)

In questo caso ci aspettiamo di trovarci di fronte a un pregresso DVR ove sono individuati i possibili agenti biologici determinati principalmente dal contatto/cura di e con utenti/pazienti e/o da attività di laboratorio su campioni biologici.
Il DVR dovrebbe contenere gli agenti individuati e la loro categoria in relazione alla mansione dei singoli lavoratori (es reparti “infettivi” e non), definita una sorveglianza sanitaria specifica da parte del medico competente come pure la individuazione o meno della “opportunità” di effettuazione di vaccinazioni a partire da quelle che le norme individuano come obbligatorie e che riassumo.

E’ vigente l’obbligo di vaccinazione per il Tetano (L. 292/1963) per muratori, agricoltori, addetti allo smaltimento rifiuti, conciatori e altre categorie definite. Per il personale sanitario le norme (Dpr 465/2001 e DM 22.12.1988) prevedono l’obbligo di vaccinazione antitubercolare in rari casi e l’offerta (non obbligo) per l’epatite B come per morbillo e rosolia. La disponibilità gratuita della vaccinazione per l’epatite B è prevista anche per mansioni quali lo smaltimento rifiuti, per i vigili del fuoco e gli appartenenti ai corpi di polizia, ma non è comunque un obbligo. Per i militari in servizio permanente sono obbligatorie le vaccinazioni per polio, meningite, epatite A e B, rosolia, parotite, tetano e antimeningococcica. La vaccinazione antitifica era obbligatoria per alcune attività (addetti laboratori e smaltimento liquami), ma dal 2000 è nelle facoltà delle Regioni introdurla, comunque non in modo generalizzato.
Il medico competente all’esito della valutazione e tenendo conto delle specifiche condizioni di salute del singolo lavoratore (compreso considerare una eventuale immunizzazione acquisita) come previsto dall’art. 279 del dlgs 81/2008, può individuare quale misura speciale di prevenzione la “messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente” fornendo altresì ai lavoratori informazioni sul controllo sanitario “nonché sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione”.
Se leggiamo attentamente il passaggio riportato sopra ci rendiamo conto che l’art. 279 viene “tirato” impropriamente dalla parte di chi ritiene vi sia già oggi nella normativa un obbligo vaccinale anticovid per tutti i lavoratori pena l’inidoneità al lavoro fino a una possibile giusta causa di licenziamento.

In ogni caso, prima di parlare di “obblighi” dei lavoratori sulla base dell’art, 279 occorre verificare se il datore di lavoro ha adempiuto ai propri obblighi di valutazione ex art. 271 del dlgs 81/2008 (previa consultazione del RLS). Dopodichè, all’esito della valutazione, il medico competente ha attivato la sorveglianza sanitaria e definito la necessità/opportunità che ai lavoratori non già immunizzati propone il vaccino anticovid. In caso di rifiuto, il medico competente deve valutare se il lavoratore è ancora idoneo alla mansione cui è adibito. In caso contrario dovrà redigere e consegnare al lavoratore un giudizio di non idoneità (temporanea) alla mansione, nonché informare il datore di lavoro di questa nuova condizione del lavoratore affinchè lo stesso sia adibito ad altra mansione (se esistente) cui la limitazione (non idoneità) non determina impedimenti al suo svolgimento. Solo a questo punto può verificarsi la “occasione” del datore di lavoro per licenziare il lavoratore/lavoratrice ove non possa adibirlo ad altra mansione.

Una flusso ben definito con una serie di passaggi obbligati e “incatenati” tra loro a carico del datore di lavoro e del medico competente, in primis, e di converso del RSPP, come pure di diritti del RLS (e dei lavoratori/lavoratrici).

E’ opportuno anche segnalare quanto segue.
Riconoscere che l’attività sia soggetta a rischio biologico da Sars Cov 2 significa, come detto, individuare la presenza di un rischio da un agente di gruppo 3 .

Questo riconoscimento determina a sua volta una serie di obblighi aggiuntivi (se l’attività non era già soggetta a un rischio per un altro agente del medesimo gruppo), in particolare (non esaustivamente):
 Comunicazione alla ASL dell’esercizio di una attività che comporta l’uso di un agente biologico di tale gruppo (il che è palesemente in contrasto con la prassi che considera il Sars-Cov-2 un agente esogeno e non intenzionalmente prodotto).
 Attuare le misure tecniche, organizzative, procedurali (art. 272).
 Attuare le misure igieniche (art. 273)
 Definire misure di emergenza (art. 277)
 Fornire informazione e formazione ai lavoratori (art. 278)
 Registro nominativo degli esposti all’agente da inviare ad INAIL e tenere aggiornato (art. 280 dlgs 81/2008).

In altri termini, se si vuole “attivare” un obbligo vaccinale per motivi lavorativi con riferimento all’art. 279 del dlgs 81/2008 occorre rispettare anche gli articoli precedenti e successivi, le norme sulla sicurezza e l’igiene del lavoro non si applicano “a piacere”.

Per facilitare azioni di corretta attuazione delle norme soprattutto a fronte di richieste di non chiaro fondamento normativo mettiamo a disposizione una check list di verifica per agevolare i successivi atti di resistenza ove necessari.
La check list è articolata per mostrare la complessità della questione, i punti salienti, lo si ribadisce sono :

– Giudizio di idoneità alla mansione (vigente ed eventuali successive modifiche)
– Ruolo centrale del Medico Competente
– Documento di valutazione dei rischi specifico per gli agenti biologici.

Punti di verifica (1)

A cura di Marco Caldiroli

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