Dal Mario Negri uno studio sulle case di comunità in Lombardia

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PROGETTO COLLABORATIVO VALUTAZIONE DEI MODELLI ORGANIZZATIVI  DELLE CASE DELLA COMUNITÀ

 Alessandro Nobili, Angelo Barbato, Giuseppe Remuzzi a nome del Gruppo di Lavoro Progetto Case della Comunità Lombardia*

 Centro Studi di Politica e Programmazione Socio-Sanitaria Dipartimento di Politiche per la Salute

Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano.

 

SINTESI DEI RISULTATI

Il 24 giugno scorso si è conclusa la seconda fase dell’indagine conoscitiva sulle Case della Comunità in Regione Lombardia, realizzata dal Dipartimento di Politiche per la Salute dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano.

È stato verificato quante delle 195 Case della Comunità previste entro il 2026 dal Piano Operativo Regionale approvato con delibera XII/2562 del 17.6.2024 fossero già operative.

In assenza di informazioni da parte della Regione sulle Case della Comunità aperte si è proceduto a una ricognizione delle informazioni disponibili sui siti istituzionali degli enti gestori, cioè le 26 Aziende Socio Sanitarie Territoriali (ASST) della Lombardia, se necessario procedendo a una verifica diretta attraverso un contatto con le direzioni delle ASST. Sulla base di queste verifiche sono state identificate 132 Case della Comunità.

I dati raccolti accedendo alla documentazione fornita dalle ASST ed effettuando una o più visite alle strutture si riferiscono alle loro caratteristiche organizzative.

Non tutte le Direzioni Generali delle ASST interpellate hanno acconsentito a collaborare all’indagine e 4 su 26 sino ad ora non hanno consentito le visite per raccogliere le informazioni necessarie. Si tratta delle ASST Spedali Civili di Brescia, ASST Valle Olona, ASST Rhodense e ASST Pavia, che servono un territorio complessivo di 1.980.000 abitanti, cioè quasi il 20% della popolazione regionale, e dovrebbero istituire entro il 2026 41 Case della Comunità.

Le informazioni raccolte hanno permesso di avere dati completi su 99 Case della Comunità, che formeranno l’oggetto di un rapporto, in cui saranno presentati dati aggregati, mentre i dati relativi alle singole strutture saranno comunicati alle rispettive ASST che potranno farne oggetto di analisi e dibattito pubblico, come auspichiamo.

Il contenuto del rapporto verrà illustrato in dettaglio dal Dipartimento di Politiche per la Salute dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS in un incontro in videoconferenza con i Dirigenti delle ASST il 3 luglio. A seguito di questo incontro, verranno resi pubblici i principali risultati.

In mancanza di un database unico che contenga i dati sulle Case della Comunità e i flussi informativi specifici per le attività da esse svolte, le informazioni raccolte sono inevitabilmente caratterizzate da difformità derivanti da scelte diverse fatte dalle ASST su una serie di indicatori.

Il quadro complessivo mostra un panorama eterogeneo per tipologie organizzative, quantità e qualità dei servizi offerti e presenza di personale, non sempre corrispondenti a specifici bisogni dei territori di riferimento.

La maggior parte delle Case della Comunità sono state collocate in strutture già esistenti, soprattutto poliambulatori, e sono spesso il frutto di una riorganizzazione di servizi già precedentemente disponibili. In generale le scelte organizzative sembra siano state guidate dall’uso di risorse esistenti, piuttosto che da una vera e propria programmazione. Naturalmente va considerato che i tempi rapidi richiesti per utilizzare le risorse del PNRR non hanno certo facilitato una pianificazione accurata in una regione come la Lombardia in cui non vi erano state in precedenza esperienze di Case della Salute, come invece si era verificato in altre regioni.

Ad oggi, nessuna di esse risponde completamente agli standard nazionali e regionali, anche se la situazione è migliorata rispetto alla prima rilevazione dello scorso settembre e va considerata in continua evoluzione. Un certo numero soddisfa almeno in parte alcuni standard, riferiti soprattutto al Punto Unico di Accesso, alla presenza di infermieri e ambulatori specialistici.

I principali servizi forniti sono le prestazioni specialistiche gestite ed erogate con poche differenze rispetto a quello che già avveniva nei poliambulatori che in genere sono stati dislocati fisicamente nelle Case di Comunità col personale e l’organizzazione del lavoro che già avevano. Anche l’accesso è possibile il più delle volte solo attraverso i canali burocratici tradizionali. Diversi aspetti amministrativi come per esempio la scelta e revoca del medico di medicina generale sono ancora gestiti con un sistema tradizionale di appuntamenti attraverso numeri telefonici regionali o aziendali. Solo in pochi casi sembra vi sia una reale presa in carico dei bisogni di salute delle persone e dei territori di competenza delle Case della Comunità.

Ancora molto sporadica e frammentata è la presenza dei medici di medicina generale. Non c’è evidenza di integrazione e interazione del medico di medicina generale del territorio di competenza con il personale delle Case della Comunità, soprattutto con i medici specialisti. Non risulta avviato se non in pochi casi il lavoro in équipe multidisciplinari. Mancano inoltre quasi totalmente i servizi per l’infanzia e la salute di genere.

È scarso il coinvolgimento dei comuni, dei loro servizi sociali da essi gestiti e delle associazioni del terzo settore. C’è una potenziale disponibilità al coinvolgimento dei cittadini, ma non si riesce a stimare quanto sia praticata.

In sostanza, sembra che manchi una visione di primary health care, rivolta ad un rinnovamento culturale, nel quale l’oggetto dell’azione non sia limitato solamente alle singole prestazioni e al trattamento delle singole patologie (disease-oriented), ma orientato alla salute e centrato sulle persone e sulle comunità (community-oriented), dove alla dimensione del trattamento si affianchino in modo inscindibile la promozione della salute, la prevenzione, la cura e la riabilitazione.

Nella maggior parte dei casi persiste ancora la logica dei poliambulatori e della erogazione di singole prestazioni da parte di servizi e operatori spesso indipendenti tra loro. La presenza di diverse figure professionali sembra che non si traduca ancora in approccio integrato, integrante e contaminante. Fascicolo sanitario elettronico condiviso, telemedicina e teleassistenza sono ancora all’orizzonte. Manca infine un fattore estremamente importante per una svolta innovativa e culturale, ovvero una formazione specifica al lavoro in équipe.

L’innovazione principale riguarda la dotazione di figure di nuova introduzione come gli infermieri di famiglia e comunità, che al momento sono l’asse portante di tutto il sistema e fanno in molti casi da nodo di raccordo e coordinamento tra diversi operatori e servizi. Tuttavia gli attuali vincoli normativi, che andrebbero superati riducono e rendicontano le attività degli infermieri di famiglia e comunità frammentate come singole prestazioni.

L’aspetto più incoraggiante è l’entusiasmo e l’impegno di questi operatori il cui coinvolgimento dimostra la percezione di un nuovo ruolo che rappresenta il possibile sviluppo di una diversa professionalità.

A partire dai risultati emersi da questa indagine formuliamo alcune proposte operative, non esaustive, ma coerenti con le funzioni innovative che ci si aspetta dalla realizzazione delle Case della Comunità:

  • Definizione chiara del bacino di utenza della Case della Comunità.
  • Integrazione con il Distretto per poter effettuare regolarmente analisi dei bisogni di salute dei territori e delle comunità.
  • Integrazione del personale amministrativo con gli operatori sanitari.
  • Definizione formale dei margini di autonomia degli infermieri di famiglia e comunità in una prospettiva di lavoro su MICROAREE territoriali.
  • Superamento degli attuali vincoli normativi che riducono e rendicontano le attività degli infermieri di famiglia e comunità nelle Case della Comunità come singole prestazioni.
  • Inserimento strutturale della figura dello psicologo di comunità nell’équipe di cure primarie.
  • Possibilità per i giovani medici di medicina generale di avviare la loro professione all’interno delle Case della Comunità con contratti anche di dipendenza.
  • Riorganizzazione degli ambulatori specialistici con una visione territoriale in integrazione con i medici di medicina generale.
  • Accesso diretto ai servizi principali delle Case della Comunità.
  • Integrazione dei consultori con le Case della Comunità per una maggiore attenzione e presa in carico dei problemi dell’infanzia e della salute di genere.
  • Proposta all’ANCI di organizzare una formazione specifica per i sindaci sui rapporti con la Case della Comunità.
  • Ridefinizione e valorizzazione del rapporto delle Case della Comunità con i comuni, i territori, le comunità locali e il terzo settore.
  • Inserimento della formazione del lavoro in équipe nei percorsi di formazione continua degli operatori delle Case della Comunità.

 

Milano, 1 Luglio 2024

 

*Gruppo di Lavoro Progetto Case della Comunità Lombardia

Germana Agnetti, Fausto Banzi, Natale Battevi, Luca Bertagna, Alberto Bertolini, Paola Bovolato, Luigi Bracchitta, Rita Caldarelli, Marco Contessa, Annette Corraro, Simone Cosmai, Martina Doneda, Simone Finazzi, Alessia Galbussera, Valentina Gritti, Daniele Grossi, Ettore Lanzarone, Fulvio Lonati, Ambrogio Manenti, Daniela Mantovanelli, Claudia Medda, Concetta Monguzzi, Igor Monti, Antonio Muscolino, Celestino Panizza, Tommaso Rossi, Mario Todeschini, Cinzia Zaninoni, Barbara Zapparoli, Stefania Zazzi.

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