FORMAZIONE PER LA SICUREZZA : IL NUOVO ACCORDO STATO-REGIONI IN ARRIVO (FORSE …)

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Nel testo che segue presento una serie di informazioni e considerazioni sul nuovo accordo stato-regioni sulla formazione (dei lavoratori, dei datori di lavoro, dei responsabili e addetti ai servizi di prevenzione e protezione, dei rappresentati dei lavoratori per la sicurezza, dei coordinatori per la esecuzione nei cantieri, degli operatori di attrezzatture, dei ponteggisti ecc ecc) che sembra in dirittura d’arrivo,

Il testo completo sarà pubblico su un prossimo numero di Medicina Democratica.

IL NUOVO ACCORDO STATO-REGIONI SULLA FORMAZIONE : UN CAMBIAMENTO IN MEGLIO PER I LAVORATORI ?

Ad ogni infortunio, in particolare se plurimo che emerge dal generale chiacchiericcio dei media, segue puntualmente una litania di buona propositi e di “obiettivi di miglioramento” (mutuo questa espressione dal testo unico della sicurezza sul lavoro, il dlgs 81/2008) ove compaiono due costanti : più controlli da parte degli organi di vigilanza e più “formazione” dei lavoratori.

Il tema dei controlli merita approfondimenti specifici, qui ricordiamo solo che non è possibile, come per il resto delle “prestazioni sanitarie”, che i controlli aumentino in quantità e qualità se il personale è sempre meno ed altrettanto poco motivato. Abbiamo inoltre fatto emergere recentemente la gravissima previsione normativa (dlgs 103/2024) della “annunciazione” alle imprese, dieci giorni prima degli accessi ispettivi, da parte degli organi di vigilanza, ASL incluse. Al palese “ritorno” di competenze e di entità di personale di vigilanza dalle ASL all’Ispettorato Nazionale del Lavoro (dalla sanità regionale al ministero del lavoro come ante riforma sanitaria del 1978) si aggiunge la “mordacchia” per gli ispettori (perlomeno per quelli che vorrebbero poter continuare a svolgere i propri compiti valorizzando la propria professionalità). Che dire poi del tanto fumo e poco arrosto della prossima “patente a crediti” per le imprese edili ? Tutte cattive notizie ancor più a fronte di un contesto sociale dove la principale causa prima di infortuni e malattie professionale è la precarietà contrattuale e la difficoltà dei lavoratori/lavoratrici di individuare e quindi mettere in campo vertenze sulla propria incolumità. Il conflitto di classe scemando a favore del capitale lascia morti e malattie nella classe più debole….

La formazione dei lavoratori viene per lo più intesa come una forma di “educazione” nei confronti di persone con uno spirito adolescenziale (che si mettono improvvidamente a rischio nonostante le misure a disposizione) e di teste vuote da “riempire” di concetti corretti di “prevenzione” che altri possiedono (in realtà per la maggior parte dei datori di lavoro, significa indossare i dispositivi di protezione individuale). Nella pratica per poter adempiere agli obblighi “formativi” occorre adempiere a quanto previsto da diversi Accordi Stato-Regioni, oltre a quanto di diretto indica il dlgs 81/2008, con la produzione di montagne di attestati che troppo spesso non valgono molto di più della carta ove sono stampati.

Se seguiamo l’evoluzione della normativa sulla formazione in materia di sicurezza vediamo molte buone intenzioni, molte soluzioni pasticciate per non scontentare nessuno e la totale assenza di una volontà di controllo effettivo sulla effettività e la qualità della formazione.

Ovviamente vi sono difficoltà intrinseche nella materia data la estrema varietà dei rischi esistenti nelle attività produttive e la esistenza di peculiarità psicologiche e culturali, individuali e collettive, che costituiscono quel “fattore umano” che può fare la differenza tra un quasi infortunio (una condizione lavorativa non sicura : un rischio) e un danno fisico spesso non reversibile.

In particolare con gli accordi Stato-regioni a partire dal 2011 si è costruito un “corpus” normativo che ha mostrato molte pecche su diversi aspetti a partire dalla individuazione dei “soggetti formatori”, alle modalità di progettazione e svolgimento dei corsi (spesso non calibrati sui rischi specifici delle attività), al controllo su questo rinnovato mercato di molto ampliato rispetto a prima (anche solo riferendoci al precedente “testo quasi unico”, il dlgs 626/1994).

Tra le inadeguatezze del sistema così costruito “a puntate” si inserisce la assenza di strumenti incisivi di intervento da parte degli organi di vigilanza (ASL ma anche le diverse istituzioni, a partire dalle regioni, che hanno i compiti di controllo della offerta formativa in generale) su quella parte del “mercato formativo” occupata da pirati e da nulla facenti interessati solo dai ricavi ottenibili. Il tema l’ho anche trattato in un articolo apparso sul Manifesto nel 2019.

Ma veniamo all’oggi. Da oltre due anni è in corso una ampia discussione Stato-regioni sulla riformulazione degli accordi in tema di formazione per la sicurezza. A parte interventi spot, tra un infortunio e un altro, con modifiche del dlgs 81/2008 le istituzioni hanno, opportunamente, voluto affrontare una rivisitazione complessiva del “sistema” creato dall’accumularsi di accordi nazionali e delibere delle singole regioni spesso contraddittori, con obblighi agevolmente aggirabili e nella pressocchè totale assenza di un sistema di sorveglianza dedicato e senza indirizzi chiari.

Sembra, pare, forse che questo nuovo accordo che sostituisce i previgenti sia in dirittura di arrivo e il testo sia ormai assestato ancorchè in bozza.

Possiamo pertanto, almeno per gli aspetti essenziali, procedere ad una prima valutazione prospettica cioè tenendo conto della esperienza attuativa rispetto alle novità e alle modifiche che si intendono introdurre.

LA SITUAZIONE ATTUALE

(omissis)

IL NUOVO ACCORDO SULLA FORMAZIONE, LUCI ED OMBRE

  1. I soggetti formatori e i docenti

La nuova scrittura conferma i soggetti “ope legis” (istituzioni scolastiche, enti pubblici, sindacati, comitati paritetici, soggetti accreditati in regione). Nel caso delle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori e degli organismi paritetici era ed è ancora consentito l’utilizzo di “strutture formative di loro diretta ed esclusiva emanazione” accreditate secondo “i modelli definiti dalle regioni”.

Il  “riconoscimento” ope legis di strutture quali quelle delle associazioni sindacali (di datori di lavoro e dei lavoratori) non sempre ha corrisposto una condizione sufficiente per disporre di una organizzazione adatta in quanto gli accordi del 2011 hanno determinato una “esplosione” di nuovi sindacati prima inesistenti o con valenza di fatto locale e rappresentatività quasi nulla. Anche l’assenza di una normativa nazionale chiara sul riconoscimento dei sindacati ha favorito questa deriva.

Questi “neo” sindacati si sono buttati sull’affare e alcuni (non pochi) di questi non hanno fatto altro che “concedere” il proprio logo, a pagamento, ai tanti pirati senza requisiti per svolgere i corsi più impegnativi (e importanti per la salvaguardia dei lavoratori) da mettere su attestati che, non sono rari i casi, vengono semplicemente venduti ai datori di lavoro senza svolgere un corso con i requisiti prescritti od anche senza svolgere alcun corso.

La modifica introdotta non incide sul ruolo dei sindacati e dei comitati paritetici (questi ultimi, in quanto riconosciuti in una lista positiva nazionale, sono difficilmente improvvisabili dal primo venuto) ma costituisce una stretta per singoli docenti o studi di consulenza che vogliono inserirsi o mantenersi nel mercato della formazione. Per poter rimanere – senza caricarsi degli oneri dell’accreditamento regionale – devono “essere di proprietà esclusiva o almeno partecipata in modo prevalente dell’associazione sindacale dei datori di lavoro o dei lavoratori”. Questa definizione apparentemente rigorosa è stata finora spesso aggirata costituendo delle “partecipazioni” tra sindacato (o comitato paritetico) e soggetto erogatore di corsi assolutamente non “prevalente” ovvero con semplici forme di “associazione” singola al soggetto ope legis riconosciuto dagli accordi.

Tutto da vedere se la nuova formulazione riuscirà a migliorare l’affidabilità dei docenti/studi di consulenza o se il “genio italico” riuscirà a trovare il modo di aggirare i maggiori vincoli introdotti.

Un particolare che può sembrare banale ma non lo è (almeno per chi fa vigilanza) è l’obbligo di indicare negli attestati un univoco e chiaro soggetto formatore del corso, non è infrequente trovare oggi corsi, anche quelli di tipo generale per i lavoratori, che sono pieni di loghi di soggetti disparati che sembrano rimandare a dei veri e propri master universitari e non a corsi di base. Pertanto questa modifica porta chiarezza da un lato e dall’altro una maggiore facilità di controllo ed evita un surplus di indicazioni pubblicitarie del tutto inutili se non fuorvianti.

2. DURATA E CONTENUTI DELLA FORMAZIONE DEI LAVORATORI

Si conferma la distinzione tra un corso sui rischi generali e uno sui rischi specifici connessi con quelli della singola impresa/comparto di appartenenza.

Si conferma durata e contenuti del corso generale (4 ore) quale credito permanente (una tantum). Ricordo a tale proposito che è un diritto del lavoratore (e un dovere del datore di lavoro) ricevere TUTTI gli attestati di ogni genere che potrà “portarsi” anche al momento di un cambio di attività (come ognuno di noi si “porta” la propria dote formativa che ha cumulato nel corso della propria esistenza).

Viene eliminata la durata della parte specifica prima definita in 4,8,12 ore a seconda del rischio (basso, medio, alto) che la norma attribuiva ai singoli settori individuati secondo i codici ATECO (di iscrizione della impresa alla Camera di Commercio).

La durata del corso per i rischi specifici viene portata a 6 ore “minime”

Fa eccezione il corso per i lavoratori del comparto edile (rischio alto) che rimane complessivamente di 16 ore (4+12)

Si riduce pertanto la durata dei corsi per rischi specifici per le categorie di rischio medio e alto ad eccezione degli edili che rimangono nella attuale configurazione. Chi scrive ritiene che prima della durata di un corso ( e il relativo “rapporto aritmetico” con il rischio attribuito alle attività – sulla falsariga dell’approccio INAIL sui premi assicurativi) contano i contenuti e le modalità didattiche per renderlo effettivamente utile ovvero fornire alle persone strumenti di autonoma capacità di valutazione del contesto di lavoro e orientamenti sulle principali misure di protezione/prevenzione rispetto ai rischi cui si è esposti quotidianamente.

L’accordo sottolinea (ma lo faceva già la precedente norma e lo stesso dlgs 81/2008) che la parte specifica deve essere riferita ai rischi individuati sulla base della valutazione dei rischi.

A parte le valutazioni di rischio che non valutavano tutti i rischi presenti e/o li valutavano approssimativamente, raramente i corsi sono stati effettivamente “personalizzati” sulle specificità aziendali e ancor meno ai rischi dei “gruppi omogenei” come richiamato nel nuovo accordo. La corretta individuazione di temi “specifici” per la seconda parte della formazione rimane difficile da valutare in modo agevole da parte dell’organo di vigilanza che sarà costretta a esaminare il numero di ore svolte, la correttezza delle modalità di registrazione delle attività formative e la qualifica dei docenti e dei soggetti formatori.

L’aggiornamento quinquennale viene mantenuto della durata di 6 ore ma questo obbligo va ancor più “riempito” di contenuti per renderlo utile e sta al datore di lavoro come al RLS (ricordiamo che la formazione deve essere oggetto della riunione periodica e in tale ambito il rappresentate dei lavoratori può davvero fare la differenza) fare in modo che sia aderente non solo alle “novità” ma soprattutto alle criticità presenti nel luogo di lavoro per garantire a tutti i lavoratori e lavoratrici (qualunque sia il contratto di lavoro sottoscritto, spesso loro malgrado) un miglioramento collettivo nel tempo (o almeno un non peggioramento !).

3. MODALITA’ DELLA FORMAZIONE

Gran parte del testo del nuovo accordo si spende per proporre i criteri di progettazione dei corsi e “riempire” di contenuti da trasmette correttamente a partire dal numero di ore “minime” di formazione (da qui la importanza dei soggetti formatori che non possono e non devono essere improvvisati). Un esercizio interessante di metodologia didattica. Ma questo sforzo, ad avviso di chi scrive, viene reso vano dalla decisione di estendere, in particolare per i lavoratori, modalità e-learning di formazione anche per la parte specifica oltre a quella generale, già prevista.

Questa modalità rispetto a quella tradizionale “in presenza” (del docente e degli altri discenti) ed anche a quella in videoconferenza sincrona (in cui tutti, docenti e discenti, sono comunque collegati contemporaneamente a un terminale  e possono interloquire tra loro) lascia il discente solo davanti a uno schermo a seguire lezioni preimpostate senza o con limitate possibilità di confronto con i docenti.

Anche se le lezioni fossero ben impostate non sfugge che l’assenza di contatti con il soggetto formatore/docente snatura la didattica soprattutto se riferita alla parte dedicata ai rischi specifici per l’attività e/o l’impresa. In verità tale aspetto era già critico in precedenza, anche con lezioni in presenza, per la pessima abitudine dei formatori di proporre “prodotti” formativi preimpostati, quasi mai vengono realizzati corsi tenuto conto dei rischi effettivamente (si spera correttamente) presenti nella impresa che implicherebbe un rapporto più approfondito tra formatore e datore di lavoro (e magari anche RLS visto che la riunione periodica annuale prevista dal dlgs 81/2008 ha anche lo scopo di discutere e programmare le esigenze formative per i lavoratori anche oltre il “minimo”).

Inoltre questa modalità favorisce la fruizione dei corsi in orari al di fuori di quello lavorativo (non previsto dal dlgs 81/2008) come rende più difficile il superamento di gap/differenze culturali e/o linguistiche di cui il nuovo accordo sembra pressocchè disinteressarsi (anche rispetto ai precedenti accordi) nonostante la sempre più elevata presenza di lavoratori extracomunitari nelle attività a maggiore rischio è sia un dato di fatto che un fattore di rischio aggiuntivo.

(omissis …. continua)

a cura di Marco Caldiroli – tecnico della prevenzione

 

 



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