
Vi sono dei casi (frequenti nelle indagini ambientali come nell’ambito dei processi) in cui le indagini epidemiologiche sembrano parlare con la voce di Cassandra, dicono il vero ma non sono ascoltate.
Il caso che raccontiamo è certamente uno di questi.
Che le emissioni di un impianto di incenerimento costituiscano un pericolo è pacifico, la combustione in genere ed in particolare di un “combustibile” eterogeneo come sono i rifiuti (anche pretrattati) determina la formazione e il rilascio di numerosi contaminanti (solo in parte oggetto di monitoraggio) .
Per rispettare le normative europee sempre più restrittive i gestori hanno dovuto nel tempo realizzare sistemi di abbattimento sempre più complessi e sofisticati (e costosi) trasferendo una quota maggiore di inquinanti nei residui solidi (in particolare le “ceneri leggere” e le “polveri” da tali sistemi) sempre più tossici.
Non sempre è invece considerato il rischio per la salute di tali impianti ovvero come le emissioni possono esporre le popolazioni ai contaminanti incrementando la probabilità di effetti (solo negli ultimi anni sono previste delle Valutazioni di Impatto Sanitario per i nuovi progetti) e ancor meno è valutato il danno nel tempo lungo di esercizio di un inceneritore. Un danno che può essere apprezzato solo con gli strumenti dell’epidemiologia, se lo studio è ben impostato e realizzato con completezza di dati disponibili, dato che gli effetti, siano essi di tipo cardiovascolare, respiratorio o neoplastico, necessitano di tempo (e di costanza) di esposizione per avere una evidenza diagnostica ufficiale.
L’insieme degli studi epidemiologici su inceneritori condotti su tempi adeguati (quindi perlomeno un decennio) hanno mostrato evidenze di danno (eccessi statistici in alcune patologie) ma ovviamente mostrano gli effetti dovuti al cumulo di condizioni di un periodo “passato” su una data popolazione.
Quasi sempre per effetto dell’evoluzione normativa, il gestore del singolo impianto ha affrontato interventi per adeguare (ridurre) le emissioni. Pertanto ogni volta si è daccapo, come nel caso cui accenniamo in queste note : l’inceneritore di oggi (gestito da A) non è più l’inceneritore di ieri (gestito da B) pertanto una indagine epidemiologica viene considerata, al più, dimostrare quanto facevano male i vecchi inceneritori e le colpe di B che non c’è più, per i nuovi, il signor A, è tutta un’altra storia …. che verrà verificata quando oramai l’impianto avrà concluso la sua vita e verrà spento o sostituito a sua volta da un impianto ancor più moderno e B oramai sarà un ricordo del passato o sarà completamente diverso da oggi.
A Busto Arsizio questo racconto viene presentato alle popolazioni esposte da quando è stato realizzato il primo impianto (ACCAM) nel 1972 fino all’impianto attuale (Neutalia) che sta subendo profonde ristrutturazioni (revamping) spetto a quello che ha sostituito il primo impianto. E’ questo il racconto messo a disposizione del pubblico nella commissione consigliare comunale del 6.02.2025 anticipata dalle trombe mediatiche di Neutalia – con l’accompagnamento del Sindaco di Busto Arsizio – secondo cui le evidenze epidemiologiche emerse dall’ultimo studio nulla hanno a che fare con l’attuale impianto (nuovo gestore dal 2021) semmai è colpa del precedente gestore (consorzio comunale ACCAM).
Diverse le indagini che si sono susseguite negli anni a partire da fine anni ’90, la precedente, richiesta dai comitati, è del 2016, riguardava i dati degli anni 2012 al 2014, come “traccianti” degli inquinanti gli ossidi di azoto, ossidi di zolfo e le polveri (tipiche di ogni combustione) . Le conclusioni, in estrema sintesi, sono state (per le popolazioni con maggiore esposizione data la ricostruzione della distribuzione dei contaminanti nel territorio).
<< La significatività statistica è presente per i ricoveri per cause cardiovascolari selezionate evidenziando un eccesso di circa il 10% per gli ossidi di azoto (NOx) e di circa il 20% per il biossido di zolfo (SO2). Non sono state riscontrate associazioni significative con i ricoveri per le altre esposizioni e con la mortalità. Non emergono, inoltre, associazioni significative nei minori di 17 anni.>> Qui lo studio integrale.
Indagine epidemiologica ACCAM Busto Arsizio
In quel momento l’impianto viveva una fase critica, economica (un forte passivo) e tecnica (dovendo investire per adeguare le emissioni al rinnovo della autorizzazione ancorchè meno rigoroso del dovuto), nel 2018 si arrivò quasi a decretarne la chiusura nel giro di qualche anno ma i Comuni consorziati riuscirono a “mollare” l’impianto a un nuovo soggetto (Neutalia) che riuscì a far approvare un piano industriale di ristrutturazione e a trovare finanziamenti (anche con il PNRR). In ogni caso l’allora (e attuale) Sindaco sepe c ne uscì affermando che 60 ricoveri per malattie cardiovascolari in eccesso erano un giusto prezzo da pagare per non lasciare i rifiuti per strada.
Su insistenza dei comitati è stata svolta una nuova (con impostazioni variate) indagine relativa agli anni 2017-2019. In estrema sintesi : “decessi: nel complesso si rilevano eccessi per i decessi sia per i tumori causa-specifici che per tutti i tumori per la coorte soggetta ad alte esposizioni a PTS e NOx … Si osserva un aumento di rischio di ricoveri per cause respiratorie tra gli altamente esposti a NOx … Per quanto concerne gli accessi pediatrici (ai Pronto Soccorso, ndr) si osserva un aumento significativo degli accessi in codice rosso e giallo per gli altamente esposti ad entrambi gli inquinanti”.
Nonostante queste evidenze lo studio delle due ATS territoriali (provincia di Milano e Varese) chiude il tutto con “i rischi osservati non sono direttamente associabili con un nesso di causalità con le ricadute dell’inceneritore, anche considerando che i rischi comunque non aumentano all’aumentare dell’esposizione agli inquinanti” (questa ultima considerazione lascia un po’ straniti, forse si intende segnalare che l’area di ricaduta è già abbondantemente martoriata dall’inquinamento atmosferico per molteplici cause che il contributo di una fonte come l’inceneritore non incrementa il rischio già elevato ….. ma allora perchè vi sono rischi maggiori per la popolazione nelle area considerate di maggiore ricaduta dei contaminanti utilizzati come rappresentativi ??). Infatti lo studio più volte sottolinea che – per polveri e ossidi di azoto – la fonte inceneritore rappresenta un contributo ridotto, del 1,7 % per NOx e 0,3 % per le polveri, rispetto alla area di riferimento dello studio (ben 400 kmq e 51 comuni, includendo anche l’aeroporto di Malpensa …).
Le conclusioni “indefinite” pur a fronte delle evidenze degli eccessi riportati, hanno fatto felici sia gli amministratori dell’inceneritore (Neutalia) che ha confermato l’attuazione del progetto di revamping sia il Sindaco di Busto Arsizio che ha dichiarato che non saranno necessari altri studi epidemiologici, l’inceneritore non rappresenta un rischio, quindi finiamola qui.
Date le dimensioni dell’area di riferimento e alle molteplici e importanti fonti di inquinamento da ossidi di azoto e polveri non stupisce che un impianto relativamente piccolo : nel 2019 sono stati inceneriti meno di 100.000 t di rifiuti urbani e speciali, rispetto alle oltre 735.000 t di rifiuti bruciati nell’inceneritore di Brescia nello stesso anno. In realtà, utilizzando gli stessi dati (INEMAR) per gli stessi Comuni/territorio possiamo vedere che l’inceneritore di Busto Arsizio contribuisce anche alla emissione di Cadmio per il 20% del totale dell’area, per il 17 % di Mercurio, per il 4 % di ossidi di zolfo e potremmo continuare ricordando che il contributo all’inquinamento di un inceneritore corrisponde a un cocktail di sostanze, per uno studio epidemiologico è corretto utilizzare dei “traccianti” ovvero delle sostanze rappresentative per tipologia e sulle quali si hanno a disposizione abbastanza dati ma occorre ricordare che l’emissione di un inceneritore non è identica qualitativamente a quella di una automobile o di una caldaia a metano ….
Qui lo studio completo.
Indagine epidemiologica Borsano
Quello che sorprende ancor più è la “ricetta” proposta da ATS a conclusione della indagine. Siccome vi sono evidenze di eccessi di patologie (bambini inclusi) dovuti alle condizioni ambientali della zona vengono proposti “interventi di mitigazione volti a migliorare lo stato di salute della popolazione residente, incentrati sulla promozione di stili di vita sani. La riduzione della pressione dei fattori di rischi individuati – quali il consumo di tabacco, l’alcool, le abitudini alimentari poco equilibrate e la scarsa attività fisica – è infatti determinante per ridurre la suscettibilità agli effetti negativi delle esposizioni ambientali”. Che un miglioramento degli stili di vita individuale sia un obiettivo condivisione è certo ma a fronte di condizioni ambientali critiche il ruolo della sanità (ATS) dovrebbe essere quello, nell’ambito delle funzioni di prevenzione istituzionali, di segnalare ai decisori che occorre 1) evitare ulteriori peggioramenti (quindi no ulteriori strade di alta percorrenza, no ulteriori cementificazioni, no impianto ad elevato impatto ecc) 2) intervenire per ridurre gli impatti esistenti.
Questo “topolino” conclusivo dello studio di ATS conferma il pessimo servizio alla salute che la struttura pubblica (sic !) ha dato nel contraddire le evidenze riscontrate (magari da approfondire …..) : dall’alto dei tecnicismi e delle espressioni che dicono e nascondono nello stesso tempo non hanno saputo (voluto) nemmeno interpretare il ruolo di Cassandra, perdendo di credibilità agli occhi delle popolazioni finendo per venir considerata complice della continuità dell’inquinamento (non solo quello dovuto all’incenerimento dei rifiuti).
Inoltre la questione principale relativa agli impianti di incenerimento va oltre il loro diretto (e locale) impatto ambientale quanto il fatto che rappresentano e confermano la continuità di processi produttivi e di “consumo” di merci estremamente nocivo, per la salute e l’ambiente, il loro impatto si ripercuote (giustifica) il mantenimento di una linearità dei processi (dalla estrazione della materia dal pianeta, alla trasformazione, al “consumo”, fino al fine vita) che determina continui e cumulati impatti ambientali. Non a caso ultimamente tendono a presentarsi con una veste “green” dichiarandosi falsamente “dentro” l’economia circolare quando non lo sono per nulla. E’ un approccio obsoleto al problema rifiuti che perpetua la produzione di merci “tossiche” (basti pensare alle materie plastiche).
Per non dire del ruolo “economico” distorto che si accompagna spesso con gli impianti di trattamento rifiuti, siano essi discariche, inceneritori o finti recuperatori.
Nel nostro caso la presentazione della indagine epidemiologica lasciando indefinito il ruolo dell’inceneritore ha confermato la sottoscrizione di un finanziamento di 42 milioni di euro pochi giorni dopo la presentazione dello studio in Comune di Busto Arsizio, tra banche e il gestore Neutalia (società “benefit”) per completare il revamping (entro il 2027) e quindi proseguire con l’incenerimento di rifiuti almeno fino al …. 2047 !
Gli eccessi di patologie evidenti dallo studio ma non riconosciuti dallo stesso soggetto che lo ha realizzato continueranno a essere considerati “accettabili” unitamente agli altri rischi ambientali e sanitari presenti nell’area perpetuandone ed incrementandone il numero, l’estensione e gli effetti (più urbanizzazione, più strade. più traffico aereo …..).
Se Cassandra non crede in se stessa si perde uno strumento di tutela della salute, pessimo risultato, ad oggi, di questa vicenda.
a cura di Marco Caldiroli
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