
Il processo “Miteni” per la contaminazione del territorio di mezzo veneto e, indirettamente delle falde di quasi tutta Italia dovuto alla produzione di poli e perfluoroalchili (PFAS) si avvia alla sentenza di primo grado.
Medicina Democratica è parte civile nel procedimento e vogliamo ringraziare innanzitutto il nostro legale Avv. Edoardo Bortolotto che ha seguito la vicenda da oltre 15 anni, dalle prime evidenze rese pubbliche della contaminazione a partire dalle falde idriche e dai corpi idrici superficiali della provincia di Vicenza. Il suo impegno e la sua passione sulla vicenda vanno, a nostro avviso, ben oltre gli obblighi deontologici della sua professione.
Le udienze si sono dipanate in un confronto tra parti civili, pubblica accusa e difese volto da un lato a evidenziare e documentare le responsabilità “dolose” degli imputati e dall’altro a cercare di minimizzare o negare l’evidenza o giocare a scaricabarile.
Le “principali” leve della difesa sono state le seguenti : se vi è una colpa è delle aziende che hanno preceduto Miteni (ovvero la Rimar già responsabile negli anni ’70 di una importante contaminazione del suolo e del sottosuolo, comunque per sostanze diverse dai PFAS anche se sempre nel gruppo delle sostanze fluorurate organiche), Miteni ha fatto tutto in regola anzi ha ridotto in modo consistente sia gli impatti ambientali che la tutela dei lavoratori . I PFAS (quelli vecchi come PFOA e PFOS a catena lunga e ancor più quelli “nuovi”, a catena corta) non fanno molto male, al più incrementano un po’ il colesterolo. All’epoca non vi erano norme ambientali specifiche per queste sostanze e quindi nulla è stato violato, quel poco che c’era è stato sempre rispettato.
Nel corso del processo le parti civili, Medicina Democratica inclusa, hanno portato elementi per confutare tali affermazioni a partire dalla pericolosità delle sostanze (PFOA e PFOS) nel frattempo identificati come cancerogeni umani per lo IARC (oltre che interferenti endocrini con danni pesantissimi nei feti e nei neonati), la Miteni non ha applicato le migliori tecnologie disponibili e non ha rispettato la normativa (del 1996) sulla riduzione e prevenzione integrata dell’inquinamento a partire dalla evidenza che quegli impianti erano dei colabrodi e le acque madri finivano per percolare nel sottosuolo, la caratteristica di tensioattivo dei PFAS non ne determina le concentrazioni allo scarico indicate da Miteni, concentrazioni ripetutamente “derogate” e in molte occasioni non rispettate e potremmo continuare come documentato nelle arringhe del PM e dei legali delle parti civili.
L’esposizione dei lavoratori alle sostanze fluorurate (ed altri tossici) nei luoghi di lavoro e le relative patologie invece non ha avuto il rilievo e l’attenzione che meritava , anche l’assenza tra gli imputati del medico di fabbrica che ha scientemente occultato e/o minimizzato l’esposizione e gli effetti prevedibili per i lavoratori non ha permesso che il procedimento fosse completo anche se ha riguardato temi ambientali, tecnologici e normativi ampi e complessi.
Come non ha avuto rilievo la manifesta incapacità degli enti pubblici, durante tutto il periodo di funzionamento degli impianti, ovvero un tardivo risveglio solo dopo il 2013 che conferma una carenza intrinseca nelle capacità (possibilità e volontà) degli enti pubblici – in collaborazione tra loro – di rigorosi controlli ed azioni efficaci in caso di difformità. Una conferma che rende ancora oggi inaffidabili le posizioni tranquillizzanti degli enti rispetto ad eventi incidentali come a nuove richieste autorizzative di impianti ad elevato impatto.
Ulteriore elemento di “insegnamento” : la normativa deve andare di pari passo con l’evoluzione tecnologica, se abbiamo oggi in Europa norme (regolamento REACH) in grado di eliminare dai cicli produttivi le sostanze particolarmente pericolose come PFOA e PFOS, le procedure di intervento sono talmente lente e articolate che si arriva a eliminare una sostanza quando questa è oramai ritirata dal mercato e sostituita da un’altra, dichiarata meno pericolosa dai fabbricanti …. fino a prova contraria. Non siamo ancora ad una piena attuazione dell’ “onere sulle cose e non sulle persone” richiesto da Maccacaro come unica forma di tutela per rimanere vittime della tossicità come pure non sembra funzionare, impastoiato tra le tante lobby industriali e commerciali, il principio di precauzione sancito dai trattati europei.
E la prospettiva per quest’ultimo tema non è assolutamente positiva : una economia di guerra oltrechè essere autodistruttiva per i diritti sociali non metterà certo in prima posizione la preoccupazione della nocività per le persone, le armi sono “merci oscene” finalizzate al massimo di nocività possibile : la distruzione e la morte.
Contiamo su una sentenza che riconosca le responsabilità degli imputati. In ogni caso le vicende che hanno anticipato il processo, con l’entrata in campo delle popolazioni esposte, e quelle successive che hanno esteso la consapevolezza che queste sostanze sono un problema per tutto il pianeta e il genere umano, non potranno essere nè cancellate nè negate.
A cura di Marco Caldiroli
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