
L’immagine riguarda un racconto da Il Milione, ove Marco Polo incontra l’amianto e le “pietre ardenti”.
L’eterna ingiustizia dell’amianto
Giovedì 17 aprile 2025 la Corte d’Appello di Torino ha condannato il padrone dell’Eternit Stephan Schmidheiny a 9 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio colposo. L’imputazione riguarda centinaia di cittadini del Monferrato ed ex-dipendenti Eternit deceduti per aver respirato fibre di amianto che nelle fabbriche di Schmidheiny veniva lavorato fino agli anni ’80, a Casale e a Cavagnolo, Rubiera dell’Emilia e Bagnoli. Pur non accogliendo in toto la richiesta dei PG Panelli, Colace e Compare di riconoscere l’omicidio volontario con dolo eventuale, dopo aver stralciato gran parte delle vittime per la prescrizione e ridotto pena e risarcimenti, i giudici hanno comunque confermato la condanna in primo grado.
Venerdì 21 marzo 2025, la Corte di Cassazione aveva invece annullato con rinvio una più lieve condanna di un anno e 8 mesi a Schmidheiny della stessa Corte d’Appello di Torino per una vittima dello stabilimento di Cavagnolo. È la seconda volta che la Cassazione annulla con rinvio la sentenza di secondo grado in questo processo che come molti riguardanti l’amianto, più che a un percorso di giustizia, somiglia a un gioco dell’oca fra vari gradi di giudizio. Ne è causa la difficoltà di statuire in tribunale la realtà lampante: la lavorazione dell’amianto ha esposto in luoghi di lavoro e vita le vittime che ne hanno respirato le fibre per decine d’anni prima di sviluppare malattie letali. I responsabili delle aziende non hanno fatto nulla per proteggere lavoratori e cittadini e a lungo hanno censurato la pericolosità delle lavorazioni.
Oltre all’asbestosi, l’amianto causa malattie terribili come il mesotelioma, di cui in Italia muoiono ogni anno 2000 persone, e il tumore del polmone. Ogni suo uso è vietato in Italia dal 1992 e nell’UE dal 2002, ma la Conferenza di Rotterdam che regola gli scambi di sostanze pericolose, permette il commercio del crisotilo, un minerale d’amianto. Secondo l’OMS, i lavoratori nel mondo quotidianamente esposti alle sue fibre sono 125 milioni e più di 200.000 ogni anno muoiono per amianto.
Nei tribunali per il giudizio di colpevolezza occorre stabilire il nesso di causalità fra l’esposizione e le malattie. Le evidenze scientifiche spiegano la relazione causale grazie a una solida base epidemiologica e confermano che la polvere d’amianto respirata causa tumori con processi fisiologici patogeni e immunodepressivi che si cronicizzano per la permanenza delle fibre nell’organismo. Poiché la malattia resta latente per decenni, la difesa ha buon gioco nel porre dubbi sui momenti e luoghi esatti in cui la fibra killer è stata respirata. Ai giudici non basta la statistica per avere certezza su ogni singolo caso e chiedono all’accusa di definire per ciascun decesso quando, quali e quante fibre l’abbiano causato. Così, la pretesa assolutezza di razionalità cozza con i principi della ragione: in tribunale si nega la colpevolezza di chi ha causato stragi esponendo interi territori all’amianto e anche dopo il divieto ne ha continuato il commercio fuori dall’UE in Brasile, India, Sudafrica, Russia. L’Italia è l’unico paese che osa giudicare penalmente i vertici di una multinazionale dell’amianto. I processi sono cruciali nella lotta internazionale per il riconoscimento delle responsabilità e i risarcimenti alle comunità colpite, unite nella rete International Ban Asbestos che segue le udienze fin dal primo processo Eternit avviato nel 2004 con più di 2000 parti civili e chiuso in Cassazione nel 2014 per prescrizione.
Il secondo processo Eternit-bis è iniziato nel 2015 quando la procura di Torino ha contestato a Schmidheiny l’omicidio doloso per centinaia di mesoteliomi occorsi dove sorgevano stabilimenti Eternit. Il GUP di Torino nel 2019 ha derubricato il reato di omicidio da doloso a colposo separando il fascicolo nei 4 filoni di Cavagnolo, Bagnoli, Casale Monferrato e Rubiera. Quest’ultimo è stato archiviato nel 2023 perché secondo i PM di Reggio Emilia è “impossibile attribuire agli indagati la responsabilità per le morti delle persone offese (…) per la mancanza di accertamento del nesso di causalità tra il momento della incubazione e quello della morte”. Casale, Cavagnolo e Bagnoli sono ancora in corso nell’incombenza della prescrizione.
Per la difficoltà di trasferire sul piano giuridico le evidenze scientifiche, le associazioni della vittime d’amianto aspettano che la Cassazione, per assicurare l’esatta e uniforme interpretazione della legge, chiarisca i parametri probatori per riconoscere le figure di garanzia e le loro responsabilità per l’esposizione di lavoratori e cittadini a sostanze pericolose. Dopo più di vent’anni di processi, non sembra questa la preoccupazione delle Corti di Roma, che anziché fare chiarezza invitano i giudici a una precisione impossibile che imbriglia le carte e rinvia sine die la giustizia. Così, mentre i governi abbreviano la prescrizione, il perdurare dello stallo risolve non la razionalità del quadro giuridico ma l’unica ragione del profitto contro la collettività.
Enzo Ferrara, Redazione di Medicina Democratica e AIEA (Associazione Italiana Esposti Amianto)