SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.232 DEL 06/11/15

Ascolta con webReader

SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N.232 DEL 06/11/15

 

INDICE

  • Ergonomia e rischio psicosociale
  • La gestione del fumo di tabacco in azienda
  • Ispettorato Nazionale del Lavoro: chiarimenti del Ministero e delle politiche sociali
  • Cassazione: va risarcito il dipendente che lavora nei giorni festivi e senza riposo compensativo
  • L’esposizione ad agenti chimici e biologici nelle imprese di pulizia
  • I rischi degli ambienti lavorativi: microclima, illuminazione, struttura e igiene
  • Il Decreto Legislativo 151 del 2015 e l’abrogazione del Registro Infortuni
  • Rischio amianto: le questioni aperte

 

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

 

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210

 

——————————————-

 

ERGONOMIA E RISCHIO PSICOSOCIALE

 

Da Orizzonte degli Eventi

http://orizzontedeglieventi.it

20/06/15

Di Franco Simonini, Gabriele Corbizzi Fattori e Vincenza Bruno

 

Come in ogni disciplina scientifica anche lo studio delle regole che reggono il mondo del lavoro contiene due anime: la classica e la sistemica.

Il metodo d’osservazione del mondo del lavoro classico si basa su una cultura lineare dove ogni aspetto o segmento del fenomeno osservato può essere separato dal resto della linea e analizzato in laboratorio per ogni sua, anche infinitesima, manifestazione. In generale l’esperienza scientifica classica ha generato il mondo che conoscevamo fino alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso. In seguito il pensiero sistemico ha rivoluzionato il nostro mondo di vita, le macchine da scrivere, i dischi di vinile, le cassette videoregistrate, la cornetta del telefono, sono strumenti raccolti dalle botteghe di antiquariato.

 

Eppure anche di fronte all’evidente trasformazione tecnologica della nostra vita quotidiana il mondo delle organizzazioni del lavoro persiste, in massima parte, a mantenere le antiche strutture lineari tayloristiche, elevati livelli gerarchici, compiti e procedure vincolate, linee produttive monotone e ripetitive.

Tuttavia, anche se minoritarie, esistono organizzazioni del lavoro che dovendo produrre oggetti ad alta qualità: nuovi modelli di autoveicoli, telefoni cellulari, DVD bluray, computer touch screen, hanno indicato al mondo dei processi produttivi modelli organizzativi del lavoro ad alta qualità attraverso le normative universali ISO.

 

In particolare nel nostro paese molte aziende hanno dovuto “obtorto collo” uniformarsi alle norme internazionali senza tuttavia capirne il significato culturale innovativo e ottemperando solo agli aspetti formali senza realizzare nessuna trasformazione sostanziale della loro vecchia organizzazione del lavoro. Di fronte al cambiamento la paura dell’ignoto ci costringe a cercare la massima sicurezza, rifugiandosi nella vecchia organizzazione scientifica non si può sbagliare, se andava bene per il nonno e poi anche per il padre deve andare bene anche per il figlio.

La rivoluzione tecnologica porta con se un mondo di incertezza, le cose che prima potevano essere misurate con precisione oggi divengono probabilità, è possibile attraverso molti stratagemmi rallentarne la diffusione, ma Galileo aveva ragione la Terra è davvero rotonda e rimane tale anche dopo abiura.

 

In Europa, tra la fine degli anni ottanta ed i primi anni novanta, diversi studi di diverse discipline mettono in luce l’importanza di ricontestualizzare i paradigmi scientifici su basi sistemiche: tale processo evolutivo evidenzia l’importanza funzionale di elaborare i processi organizzativi in un’ottica sistemica.

Il pensiero sistemico applicato ai processi produttivi, cosciente delle difficoltà prodotte dai cambiamenti culturali, promuove e produce un riordino delle materie riguardanti la sicurezza e salute sul lavoro a livello comunitario. Il recepimento delle direttive comunitarie si struttura in Italia attraverso l’emanazione del D.Lgs.626/94 oggi D.Lgs.81/08: una legge sulla sicurezza e la salute dei lavoratori che se applicata in tutta la sua complessità è in grado di aiutare i datori di lavoro nelle necessarie trasformazioni culturali legate alla qualità produttiva.

Secondo la nuova cultura sistemica il datore di lavoro attraverso la sua “attenta” valutazione dei rischi aziendali, oltre a conoscere approfonditamente la propria azienda, produce e documenta un progetto di miglioramento nel tempo di tutte quelle variabili che ne determineranno l’evoluzione.

Inoltre dovrà costruire egli stesso le regole di comportamento e comunicazione che permetteranno la “gestione dei rischi” mantenendoli al loro stato di minima probabilità di produrre un danno alla salute.

 

La “ratio legis” quindi non è più una serie di azioni od omissioni da imporre, come ogni punto di una linea, (da parte del datore di lavoro), per cui il problema è risolto una volta applicato ogni elemento della “check list”, ma un impegno, nel tempo, a costruire un sistema (un gruppo di persone) adibito a tenere sotto controllo ogni rischio presente nel processo produttivo a partire non da dati oggettivi, validi per tutti i differenti contesti, ma dalla valutazione specifica del proprio processo produttivo inteso come un mondo particolare e specifico, dinamico e in continua evoluzione, sempre diverso e vivo, come un paesaggio e non la sua fotografia.

 

Questa legge, frutto di un confronto culturale sulle basi produttive del futuro, è stata spesso osteggiata e “banalizzata”. In particolare nel nostro paese, la carenza culturale su questa tematica ha prodotto un esisto meramente burocratico, facendo percepire più l’aggravio documentale che l’opportunità di sviluppo imprenditoriale.

In questo modo il pensiero classico come nel Medio Evo ha oscurato la possibilità di ampliare la conoscenza dei fenomeni della crisi strutturale del vecchio modo di produrre, costringendo molte aziende che avrebbero potuto ristrutturarsi alla chiusura o dismissione di parti.

 

Tuttavia le chiese possono fermare per un poco di tempo l’evoluzione e la diffusione delle nuove conoscenze, ma come è vero che la terra è rotonda così le imprese dovranno obbligatoriamente cambiare la loro cultura produttiva.

Anche sul piano cognitivo l’ergonomia deve tenere conto della funzionalità del sistema cerebrale per cui il designer o la progettazione degli ambienti di lavoro devono rispondere della compatibilità con le “forme del lavoro” (organizzazione) rispetto alla dinamica funzionale del sistema cerebrale.

Ad esempio le immagini spiegano le azioni da compiere molto più efficacemente di qualsiasi forma scritta, per questo motivo i cartelli che indicano i percorsi da seguire in caso d’emergenza, per un imminente pericolo negli abitati, sono completamente basati su semplici immagini e segni. I simboli inoltre hanno una natura universale comprensibili al di là della propria lingua.

Molti esempi possono dimostrare l’importanza del principio di compatibilità cognitiva nelle organizzazioni del lavoro ed esprimere la necessità di comunicare attraverso forme che tengano conto delle esigenze dell’intero sistema e non solo di una sua parte.

 

Da tutto ciò nasce la logica sistemica con cui devono essere affrontati i problemi connessi ai rischi psicosociali presenti negli ambienti di lavoro già a livello della loro progettazione.

I nuovi luoghi di lavoro devono essere immaginati rispondenti alle necessità di socializzazione e di comunicazione umana per cui diviene necessaria la collaborazione tra differenti figure professionali già nella prima fase di studio del progetto. Architetti, psicologi, sociologi, ecc. dovrebbero unire le loro competenze attraverso una conoscenza comune data dall’ergonomia cognitiva e delle organizzazioni.

 

Le leggi Italiane ed Europee fin dall’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso impongono alle aziende un impegno significativo in queste direzioni. Purtroppo in Italia, abbiamo assistito a un vuoto legislativo e regolamentare sulla qualità di sistema capace di inibire qualsiasi vantaggio competitivo basato sulla gestione qualitativa dei processi produttivi. Le imprese così isolate e incapaci di reagire di fronte alle difficili prove della concorrenza globale, dell’evoluzione tecnologica, della crisi economica e strutturale, non sono riuscite nemmeno a ipotizzare un rinnovamento culturale delle organizzazioni del lavoro perché eccessivamente preoccupate del mantenimento produttivo e perciò poco inclini a pensare nuovi orizzonti di sviluppo.

 

Eppure, un valido aiuto, in particolare per le piccole e medie imprese italiane, sarebbe venuto dalla necessità di ripensare l’organizzazione del lavoro attraverso la riflessione articolata sui vari rischi nelle aziende, ma in particolare su quelli psicosociali

La gestione del rischio psicosociale potrebbe costituire una grande opportunità sia per la produttività aziendale, sia per la salute e la sicurezza dei lavoratori: purtroppo ancora oggi questi due elementi sono ancora considerati separati (ciò é dimostrato dal fatto che non esiste un termine per descriverli insieme), ma di fatto non lo sono.

Le opportunità che potrebbero derivare dalla gestione di questo rischio sono diverse: diminuzione di fenomeni quali mobbing, bournout, molestie, stress, infortuni, miglioramento dei sistemi sociotecnici, della comunicazione all’interno dell’azienda, maggiore trasparenza di procedure aziendali quali l’evoluzione della carriera ecc.; miglioramento dei processi decisionali; miglioramento delle interazioni tra le diverse parti componenti l’azienda ecc.

Purtroppo la cultura classica (di tipo causale) impostata su modelli di ergonomia correttiva ha condizionato e ridotto la necessaria riflessione sistemica a un mero intervento correttivo da effettuarsi attraverso l’arcaico modello della check-list scartando, di fatto, il principio base dell’ergonomia stessa: l’uomo al centro del processo.

 

L’osservazione corretta dei fenomeni psicosociali non può che tenere conto della logica sistemica che vede l’uomo (sistema vivente) in relazione con i sistemi circostanti (organizzativo, tecnologico, culturale, ecc.) che compongono l’intero mondo (azienda) e questo in relazione con gli altri mondi, in breve: l’uomo come sistema di sistemi.

L’ergonomia cognitiva e delle organizzazioni ha oggi, in particolar modo, il difficile compito di trasformare il modo di percepire il proprio e l’altrui mondo esperienziale. E’ difficile per coloro che sono abituati a vedere l’albero con le sue numerose sfaccettature allargare il proprio orizzonte e vedere il sistema in cui vive e si relaziona: la foresta.

All’aumentare della complessità della vita, negli animali, l’isolamento dal sistema ecologico comporterebbe addirittura la fine della loro esistenza.

 

E’ sicuramente molto più difficile osservare un intero sistema anziché una parte però oggi non è più possibile fare altrimenti. L’evoluzione della ricerca è diretta verso la direzione sistemica.

Anche nella madre di tutte le scienze: la fisica, la ricerca si sposta su valutazioni sistemiche. La stessa legge di gravità può essere vista in modi differenziati. Nell’esempio del professor Emilio Del Giudice se lascio cadere dalla stessa altezza, non troppo alto, un gatto e un sasso essi toccheranno terra nello stesso momento dimostrando appunto l’ineccepibile legge di gravità. Se l’esperimento finisce a questo punto non ci sarebbero problemi, se però l’osservazione continua ci accorgiamo che il sasso rimane perennemente al suo posto, il gatto invece ha la capacità di reagire in differenti modi imprevedibili, potrebbe miagolare perché gli è piaciuto e vorrebbe rifarlo, oppure graffiare rabbioso il ricercatore, oppure scappare e nascondersi in luoghi inaccessibili all’osservatore, ecc.

 

Questo bellissimo esempio serve a spiegare bene la differenza tra l’osservazione classica lineare e quella sistemica. Se osservo un mondo fatto di oggetti inerti in grado di muoversi solo se spinti dall’applicazione di forze esterne le cose sono relativamente semplici e prevedibili, posso trovare leggi universali di comportamento costante.

Ma se osservo la vita o l’infinitamente piccolo o grande le cose non dipendono solo da forze esterne all’oggetto osservato ma anche e in massima parte da forze interne che non sono in grado di prevedere.

 

Grazie a queste novità scientifiche anche le leggi sulla sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro hanno trovato una loro cospicua evoluzione.

Come nella vita, le cose cambiano e si trasformano, per cui il datore di lavoro è tenuto a valutare nel tempo questi cambiamenti trasformando i rischi che essi comportano in opportunità di miglioramento dell’intero sistema.

Se questo concetto basilare dell’ergonomia cognitiva e delle organizzazioni fosse divenuto un patrimonio culturale, anche degli “addetti ai lavori”, ci saremo evitati di avere come linee guida, per l’intervento sui rischi psicosociali, prodotti paradossali e ambivalenti frutto dell’assenza di una corretta mediazione tra le due culture.

 

Le culture manageriali, datoriali, sindacali, devono comprendere che le dinamiche prescrittive di risultato sono fallimentari e ormai “obsolete” di fronte alla complessità e alla crisi dei sistemi.

Forse nel panorama presente conviene ricercare spazi di miglioramento continuo dell’intero processo produttivo, facendo della valutazione delle dinamiche psicosociali tra gli operatori (considerati come parti fondamentali dell’intero sistema) un elemento indispensabile allo sviluppo produttivo dell’intero processo.

 

——————————————-

 

LA GESTIONE DEL FUMO DI TABACCO IN AZIENDA

 

Da Portale Consulenti

http://www.portaleconsulenti.it

19 ottobre 2015

di Marcello Parrella

 

E’ stato pubblicato da INAIL il Manuale informativo per Datori di Lavoro, Medici Competenti e Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione “La gestione del fumo di tabacco in azienda”.

 

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “il controllo del fumo di tabacco è il più importante intervento che un paese possa promuovere per migliorare al tempo stesso la salute dei propri cittadini e i conti della spesa sanitaria” ed è considerato una priorità a causa dei dati d’incidenza delle patologie fumo-correlate.

 

Già il Piano Sanitario Nazionale 2006 – 2008 aveva incluso il fumo tra i parametri di rischio delle grandi patologie (tumori, malattie cardiovascolari, diabete e malattie respiratorie) individuando lo sviluppo di programmi multisettoriali di contrasto al tabagismo, in linea con le indicazioni dell’OMS e dell’Unione Europea, che auspicavano la prevenzione del fumo tra i giovani, il sostegno alle politiche di tutela dal fumo passivo e il supporto alla disassuefazione.

 

In coerenza con il Piano Nazionale della Prevenzione 2014 – 2018, la realizzazione di ambienti di lavoro liberi dal fumo risponde agli obiettivi di trasversalità degli interventi tra i diversi settori, istituzioni, servizi, aree organizzative, anche in considerazione dell’individuo e della popolazione in rapporto al proprio ambiente, e rientra tra le azioni e strategie “evidence based” determinando minor consumo di sigarette tra i fumatori e riducendo la prevalenza dei fumatori e dei sintomi respiratori tra i lavoratori.

Inoltre, anche negli ambienti di lavoro è possibile promuovere azioni di sostegno e di monitoraggio per l’applicazione dell’articolo 51 della Legge 3/03, attraverso una costante informazione accompagnata da interventi educativi/dissuasivi rivolti ai fumatori.

 

L’INAIL, con i propri piani di ricerca, si occupa anche di comportamenti e abitudini che concorrono al benessere psicofisico dei lavoratori, non da ultimo il fatto che l’adesione dei lavoratori alle iniziative aziendali sulla promozione della salute comporta un effetto positivo anche sul rendimento lavorativo, sulla produttività aziendale e sulla spesa sanitaria pubblica.

 

Il manuale, realizzato dal Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro ed Ambientale, nell’ambito della Linea di ricerca “Studio dei comportamenti a rischio dei lavoratori (tabagismo, scorretta alimentazione e scarsa attività fisica) e promozione di stili di vita salutari come contributo al miglioramento del benessere personale e sul lavoro”, accorpa le informazioni e le varie problematiche legate al fumo di tabacco nei luoghi di lavoro in modo che le figure interessate al benessere psicofisico dei lavoratori possano trovare un ausilio per l’informazione nei luoghi di lavoro, per contribuire al miglioramento della salubrità degli ambienti di lavoro, per favorire l’adozione di comportamenti non dannosi per i non fumatori, per promuovere la disassuefazione dal tabagismo, per diminuire i costi aziendali per l’assenteismo da patologie fumo-correlate, per ridurre gli infortuni e gli incidenti dovuti al fumare e gli eventuali costi per il risarcimento dei danni.

 

Il Manuale informativo per Datori di Lavoro, Medici Competenti e Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione “La gestione del fumo di tabacco in azienda”, INAIL 2015 è scaricabile all’indirizzo:

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/intranet/documents/document/ucm_201604.pdf

 

——————————————-

 

ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO: CHIARIMENTI DEL MINISTERO E DELLE POLITICHE SOCIALI

 

Da Portale Consulenti

http://www.portaleconsulenti.it

23 ottobre 2015

di Antonello Ruggiero

 

Si riporta a seguire una Nota di chiarimenti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in merito all’effettiva entrata in funzione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, introdotto dal D.Lgs.149/15.

Da tale Nota emerge che a oggi non sussiste l’operatività in giudizio dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e che quindi quanto emanato da tale Ispettorato non ha alcun valore probante nei processi in corso relativi a questioni di Diritto del lavoro.

 

* * * * *

 

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Direzione generale per l’Attività Ispettiva Divisione II

Attività di interpello

Supporto tecnico-giuridico

 

Alle Direzioni Interregionali del Lavoro

Alle Direzioni Territoriali del Lavoro

e, per conoscenza, all’Avvocatura Generale dello Stato

 

OGGETTO: ARTICOLO 9 DEL D.LGS. 149/15, CHIARIMENTI

 

Come è noto, il Decreto Legislativo n. 149 del 14/09/15, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 23/09/15, che ha istituito l’Ispettorato nazionale del lavoro, è entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione.

Nonostante ciò, nel corpo del Decreto in più occasioni si ribadisce che l’efficacia delle disposizioni in esso contenute è rinviata alla piena operatività del nuovo assetto istituzionale successivo all’adozione dei Decreti attuativi che definiscono funzioni e attribuzioni a oggi esercitate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per il tramite delle proprie articolazioni territoriali.

 

Ne consegue che l’articolo 9 del D.lgs.149/15, che regola la rappresentanza in giudizio dell’Ispettorato non può allo stato attuale dispiegare alcun effetto, riferendosi a un soggetto che ancora non opera effettivamente.

Eventuali contenziosi, infatti, non potranno che essere instaurati nei confronti delle articolazioni territoriali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che hanno adottato gli atti impugnati e che continueranno ad operare sino alla loro soppressione decorrente dalla data indicata nei menzionati Decreti attuativi.

 

Nelle more della piena operatività dell’Ispettorato, quindi, l’attività del contenzioso resta regolata dal combinato disposto dell’articolo 6 del Decreto Legislativo n.150 del 2011 e dell’articolo 22 della Legge 689/81 che limita la competenza delle Strutture ministeriali alla rappresentanza nel primo grado di giudizio.

La difesa nei gradi di giudizio successivi continuerà, pertanto, a essere curata esclusivamente dall’Avvocatura dello Stato, anche, evidentemente, in relazione alla promozione dell’impugnativa avverso le sentenze di soccombenza di primo grado rese nei confronti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

 

Il Direttore Generale

dottor Danilo Papa

 

——————————————-

 

CASSAZIONE: VA RISARCITO IL DIPENDENTE CHE LAVORA NEI GIORNI FESTIVI E SENZA RIPOSO COMPENSATIVO

 

Da Studio Cataldi

http://www.studiocataldi.it

26/10/15

di Lucia Izzo

 

Il riposo non fruito dopo sei giorni di lavoro rappresenta un danno da usura psico-fisica per il lavoratore del Comune.

 

Il dipendente del Comune che lavora nei giorni festivi, senza godere dei riposi compensativi, deve essere remunerato con una maggiorazione del 20% sul lavoro domenicale svolto e per i giorni di riposo compensativo non fruiti.

La mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro rappresenta danno da usura psico-fisica, distinto dall’ulteriore ed eventuale danno alla salute o danno biologico che si concretizza, invece, in un’infermità del lavoratore determinata dall’attività “usurante” svolta in conseguenza del lavoro continuo a cui non seguono riposi settimanali.

 

Lo precisa la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 21225/2015 (vedi link a seguire) originata dal ricorso di un Comune avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’Appello di Napoli che condannava l’Ente a pagare in favore di un suo dipendente una somma per aver costui svolto attività di custodia nelle domeniche e nei giorni festivi, senza godere dei riposi compensativi.

 

Per i giudici di Piazza Cavour le doglianze del Comune sono, tuttavia, infondate a fronte di una corretta applicazione della Corte territoriale dei principi in materia.

Ai sensi dell’articolo 17 del D.P.R.268/87, al lavoratore spetta la maggiorazione del 20% per il lavoro svolto di domenica, nonché la retribuzione per i giorni di riposo compensativi non fruiti.

La norma svolge una funzione retributiva-corrispettiva e non anche risarcitoria, ma comunque al lavoratore spetta il risarcimento del danno da usura psico-fisica per il mancato godimento dei riposi compensativi, liquidati ai sensi dell’articolo 1226 del Codice Civile.

 

Per gli Ermellini “una cosa è la definitiva perdita del riposo, agli effetti sia dell’obbligazione retributiva che del risarcimento del danno per lesione di un diritto della persona, altra il semplice ritardo della pausa di riposo”.

In questa seconda ipotesi, poiché la legge (salvo deroghe) impone la concessione di un giorno di riposo dopo sei di lavoro, il compenso avrà natura retributiva ai sensi dell’articolo 2126, comma due del Codice Civile, fatto salvo il risarcimento del danno subito per effetto del comportamento del datore di lavoro stante un pregiudizio del diritto alla salute o di altro diritto avente natura personale.

 

A sua volta, è da tenersi distinto il danno da usura psico-fisica, dal danno alla salute o biologico, poiché, in questo secondo caso, concretizzandosi in una infermità del lavoratore, non può desumersi presuntivamente, ma va dimostrato sia nella sua esistenza sia nel suo nesso eziologico.

Corretta la determinazione della Corte d’Appello e da condividere l’affermazione secondo cui il riposo dopo sei giorni di lavoro consecutivo costituisce un diritto irrinunciabile del dipendente, garantito dal’articolo 36 della Costituzione e dall’articolo 2109 del Codice Civile.

 

Inoltre, “corrisponde a una nozione di comune esperienza che l’attività lavorativa, come qualsiasi impegno delle energie psicofisiche, se protratta senza interruzioni, risulta via via più onerosa con il trascorrere delle giornate e il riposo che sopraggiunge dopo un arco di tempo più ampio rispetto alla normale cadenza settimanale non può, di per sé, compensare tale crescente disagio”.

 

Il ricorso è rigettato e il Comune ricorrente è condannato al pagamento delle spese del giudizio.

 

La Sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro n.21225/2015 è scaricabile all’indirizzo:

http://www.ipsoa.it/~/media/Quotidiano/2015/10/22/Lavoro-domenicale-senza-riposo-compensativo–al-lavoratore-doppio-danno/21225-15%20pdf.pdf

 

——————————————-

 

L’ESPOSIZIONE AD AGENTI CHIMICI E BIOLOGICI NELLE IMPRESE DI PULIZIA

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

27 ottobre 2015

 

Due documenti dell’ASL Milano si soffermano sulla sicurezza del personale delle imprese di pulizie. Focus sui rischi chimici e biologici: criteri di valutazione dei rischi, effetti delle sostanze e dei materiali contaminati e misure di prevenzione.

 

Se nelle imprese di pulizie i rischi principali per gli operatori sono correlati alle cadute, ad esempio dalle scale, agli scivolamenti e agli urti, non bisogna mai sottovalutare anche i rischi derivanti dal contatto con sostanze chimiche e con materiali biologici contaminati.

 

Proprio per far luce su questi rischi, torniamo a sfogliare un opuscolo informativo per lavoratori “Il settore delle pulizie” e un quaderno tecnico per datori di lavoro “La sicurezza nelle imprese di pulizia”, prodotti dal Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’ Azienda Sanitaria Locale di Milano per la prevenzione di infortuni e malattie professionali.

Riguardo ai rischi chimici, poiché nel settore sono utilizzati molti prodotti chimici per la pulizia e la disinfezione ambientale, il criterio di valutazione di questo tipo di rischio è collegato ai seguenti fattori che dovranno essere considerati dal datore di lavoro:

  • tipo di pulizia/sanificazione da effettuare;
  • caratteristiche dei prodotti in uso;
  • quantità utilizzate e modalità del loro impiego;
  • presenza/efficienza di ricambi d’aria;
  • attuazione di procedure di lavoro in sicurezza;
  • utilizzo di adeguati Dispositivi di Protezione Individuali (DPI).

E dunque l’esposizione al rischio è correlata alla qualità dei prodotti utilizzati, alla frequenza e alla modalità con cui vengono impiegati (quantità eccessiva, miscelazione incongrua) nonché dalla presenza di adeguati ricambi d’aria nel luogo di lavoro. L’applicazione di misure protettive condiziona la dose di esposizione e quindi l’effetto sulla salute del lavoratore.

Ed è importante considerare e valutare la presenza di un’adeguata aerazione nei luoghi di lavoro: negli ambienti in cui non sia presente aerazione naturale (aperture finestre) o forzata (impianto di ventilazione fermo) aumenta considerevolmente il rischio di esposizione alle sostanze chimiche.

Durante le pulizie può essere sollevata polvere che si disperde nell’aria, talvolta in concentrazioni significative. Le proprietà tossicologiche della polvere sono influenzate dai componenti biologicamente o chimicamente attivi che la polvere può contenere. Ognuno dei componenti chimici o biologici della polvere può rappresentare un diverso rischio per la salute, entrando in contatto con il corpo umano attraverso il contatto cutaneo e/o l’inalazione respiratoria.

Dopo aver riportato alcune possibili patologie diffuse tra gli operatori, ad esempio malattie della pelle e malattie respiratorie, il documento si sofferma sui rischi connessi all’utilizzo di specifiche sostanze chimiche e prodotti (disincrostanti, formaldeide, additivi, ammoniaca, ecc.).

Ad esempio il documento ricorda che i disincrostanti sono prodotti acidi molto forti (muriatico, fosforico, solforico e formico), quindi molto pericolosi, da usare con molta attenzione e solo se assolutamente necessario in quanto hanno azione corrosiva per occhi e pelle. Alcuni sono facilmente infiammabili.

Tra le sostanze nocive e tossiche troviamo l’ipoclorito di sodio, i tensioattivi, i fosfati, l’ammoniaca, il toluolo, lo xilolo, il benzolo, ecc. Inoltre tra i prodotti igienizzanti può essere ancora presente formaldeide come impurezza o come sottoprodotto di altri detergenti. La formaldeide è un gas di odore fortemente irritante (presenta una soglia olfattiva molto bassa, pari a 0,13 ppm). Può essere assorbita per via respiratoria e in minima quantità anche per via cutanea ed è in grado di determinare irritazioni a carico delle mucose, dermatiti da contatto (irritative e allergiche) e asma bronchiale. La formaldeide inoltre possiede potere mutageno e cancerogeno (“sufficiente evidenza” di cancerogenicità per l’animale e “limitata” per l’uomo).

 

Ricordiamo poi che l’ammoniaca è presente in quasi tutti i prodotti detergenti in concentrazioni variabili dal 5 al 30%: respirarne i vapori provoca arrossamento e tumefazione delle mucose. A concentrazioni più elevate si possono avere spasmi della glottide, edema polmonare fino alla morte per asfissia. Può provocare ustioni.

E un problema significativo è quello legato alla miscela di prodotti non compatibili: la più segnalata è quella tra ipoclorito di sodio e acidi (ad esempio acido fosforico per pulire il WC o acido cloridrico per decalcificare) con rilascio di cloro. La miscela di ipoclorito di sodio con ammoniaca provoca rilascio di cloramine, fortemente irritanti per le vie aeree.

Il quaderno tecnico riporta poi una tabella con gli effetti sulla salute delle diverse sostanze, un elenco dei simboli che si possono trovare sulle etichette dei prodotti (anche con riferimento al Regolamento CLP) e una sottolineatura dell’importanza delle Schede di Sicurezza (SdS).

Veniamo brevemente ad alcuni possibili interventi migliorativi, ricordando che le misure di protezione collettiva sono prioritarie rispetto alle misure di protezione individuale.

Misure di protezione collettiva possono essere:

  • sostituzione delle sostanze tossico/nocive con prodotti meno irritanti;
  • cura ed attenzione nel mantenere l’etichetta sull’apposito contenitore e a seguire le istruzioni d’uso;
  • divieto di eseguire travasi di prodotti chimici in contenitori adibiti ad altri usi;
  • interventi sull’organizzazione del lavoro soprattutto mirati a ridurre i tempi di esposizione;
  • limitazione del numero dei lavoratori esposti;
  • informazione, formazione e addestramento adeguati per ciascun lavoratore sull’utilizzo delle sostanze chimiche.

Misure di protezione individuale possono essere:

  • occhiali per la proiezione delle mucose oculari da schizzi di sostanze irritanti o corrosive durante le operazioni di travaso e miscelazione;
  • guanti fino all’avambraccio per l’utilizzo di prodotti indicati come pericolosi;
  • guanti normali quando vengono utilizzati prodotti che non hanno simboli di pericolo;
  • stivali o scarpe chiuse e con suola antiscivolo per il lavaggio dei pavimenti;
  • mascherine con filtri per l’utilizzo di prodotti riportanti la dicitura “tossico per inalazione”;
  • qualsiasi altro DPI necessario all’espletamento del servizio richiesto.

Ci soffermiamo brevemente anche sui rischi biologici del personale addetto alle pulizie.

Il personale può essere esposto a differenti tipi di agenti biologici come microrganismi, batteri, virus e muffe e ai loro prodotti, come secrezioni fungine ed endotossine batteriche presenti in particolare nella polvere e nelle dispersioni di aerosol durante le fasi di pulizia, o nella manutenzione dell’aspirapolvere.

 

Le modalità di esposizione agli agenti biologici sono inalazione, assorbimento cutaneo, contatto accidentale. L’esposizione a muffe o a spore si verifica soprattutto durante le operazioni di svuotamento dell’aspirapolvere e pulizia dei filtri, e può essere causa di manifestazioni allergiche e patologie irritative a naso, occhi, gola.

 

Inoltre l’esposizione a virus (epatite A) e batteri (Escherichia coli) può avvenire per trasmissione orofecale portandosi alla bocca le mani sporche o i guanti da lavoro contaminati. Uno studio di Kroger (1993) evidenzia un’alta prevalenza di “epatite A” negli addetti alle pulizie all’interno di ospedali e in una scuola dell’infanzia. Uno studio su un focolaio gastroenterico in una casa di cura ha mostrato un incremento del rischio di infezioni da Norovirus nel personale che esegue le pulizie simile a quello dei lavoratori che offrono assistenza sanitaria con un elevato contatto con i residenti.

Il quaderno tecnico si sofferma in particolare anche sulle possibilità di infezioni da Salmonella, Campylobacter, legionellosi, ecc., senza dimenticare che il contatto accidentale con materiale biologico contaminato può anche avvenire attraverso ferite cutanee, punture da ago, contatto diretto con le mucose e può causare infezioni importanti.

L’adozione di comportamenti e dispositivi utili a evitare l’esposizione a materiale biologico rappresenta la strategia più efficace per prevenire la trasmissione del virus dell’epatite B (HBV), del virus dell’epatite C (HCV) e del virus dell’immunodeficienza umana acquisita (HIV) che, anche se poco probabile va comunque presa in considerazione per la sua gravità.

Veniamo in conclusione alle misure generali di sicurezza:

  • vaccinazione nei casi previsti;
  • utilizzo di DPI adeguati;
  • al bisogno dotazione dei lavoratori di apposite ‘pinze’ per la presa di materiale tagliente e pericoloso qualora fosse depositato fuori dagli appositi contenitori;
  • istruzioni operative per lavorare in sicurezza;
  • informazione, formazione dei lavoratori in merito al rischio specifico.

Il documento della ASL Milano “La sicurezza nelle imprese di pulizia” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150604_Expo_quaderno_tecnico_imprese_pulizia.pdf

 

Il documento della ASL Milano “Il settore delle pulizie” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150604_Expo_quaderno_tecnico_imprese_pulizia_lavoratori.pdf

 

——————————————-

 

I RISCHI DEGLI AMBIENTI LAVORATIVI: MICROCLIMA, ILLUMINAZIONE, STRUTTURA E IGIENE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

28 ottobre 2015

 

Un documento sulla prevenzione dei rischi nelle aziende metalmeccaniche riporta indicazioni sui rischi correlati ai luoghi di lavoro.

Focus su microclima, aerazione sfavorevole, illuminazione inadeguata, carenze nella struttura e nell’igiene dei locali.

 

Quando si parla dei rischi lavorativi, specialmente se con riferimento ai comparti industriali, generalmente si fa riferimento principalmente ai rischi correlati all’uso delle macchine, alle cadute, ai rischi chimici e cancerogeni, alla movimentazione e ai movimenti ripetitivi.

Più raramente vengono invece presi in considerazione i rischi correlati al luogo di lavoro, i rischi correlati agli ambiente in cui si svolge l’attività lavorativa e in cui i lavoratori autorizzati ad accedervi possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro.

 

Per parlare dei rischi correlati ai luoghi di lavoro, con particolare riferimento alle aziende del comparto metalmeccanico, è stato redatto il documento “Labor Tutor: un percorso formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio tipici del settore metalmeccanico”, opuscolo realizzato dall’INAIL in collaborazione con ENFEA (Ente Nazionale per la Formazione E l’Ambiente).

Il documento indica che i rischi connessi ai luoghi di lavoro sono dati dalla struttura dei locali e degli impianti accessori, dalla tipologia d’uso degli stessi, dalla disposizione e dall’organizzazione dei flussi delle persone, dei veicoli e dei materiali.

Diamo uno sguardo ad alcuni fattori di rischio correlati agli ambienti lavorativi:

 

Se il microclima di un ambiente e il benessere termico dipendono da una serie di fattori (temperatura, umidità relativa, velocità dell’aria) bisogna anche considerare il tipo di vestiario indossato dal lavoratore (classificato in base alla resistenza termica che oppone alla dispersione del calore), e l’attività svolta dallo stesso (calcolata in base al dispendio energetico).

La scelta degli indumenti indossati (tuta da lavoro, divisa, e/o DPI) deve essere fatta in relazione all’attività da svolgere; ciò è determinante per raggiungere le condizioni di benessere termico.

Tra le cause più frequenti di condizioni microclimatiche inadeguate, possiamo annoverare lo scarso isolamento termico dei locali, che può provocare temperature inadeguate nella stagione invernale ed estiva, e rapporti aeranti insufficienti; in quest’ultimo caso, se si sceglie di risolvere il problema con l’utilizzo di impianti di aerazione forzata, una cattiva progettazione e realizzazione dell’impianto può non garantire i ricambi d’aria necessari e può provocare sbalzi di temperatura eccessivi all’interno di uno stesso ambiente, nonché fastidiose correnti d’aria.

 

Per quanto riguarda l’illuminazione inadeguata, il documento sottolinea che tutti i luoghi di lavoro devono essere adeguatamente illuminati. Se la scelta del tipo di illuminazione è errata o le fonti sono collocate in posizioni non idonee, si ottiene un’eccessiva o scarsa visibilità dell’ambiente di lavoro, che comporta una diminuzione della capacità visiva, favorendo l’insorgenza di affaticamento visivo, assunzione di posture scorrette e soprattutto un aumento della possibilità di compiere errori.

Quest’ultima condizione, oltre a pregiudicare la qualità del lavoro eseguito, accresce l’eventualità che si verifichino eventi traumatici infortunistici (ad esempio scivolamenti, inciampi, urti, ecc.).

Tale problema può assumere aspetti rilevanti nelle aree magazzino, che in genere contengono in ampi spazi numerose scaffalature, sviluppate in altezza. Questi luoghi, se non sufficientemente illuminati, possono dare origine a fenomeni di ombreggiamento, rendendo difficoltosa la viabilità e la circolazione di mezzi e pedoni.

Inoltre una scarsa illuminazione dei reparti di produzione diminuisce la capacità visiva dell’operatore che utilizza macchine utensili e attrezzature, aumentando il rischio di infortunio.

Senza dimenticare che un’errata scelta della collocazione delle fonti di illuminazione può anche dare origine a fenomeni di abbagliamento e riflesso con conseguente difficoltà visiva che, se protratta nel tempo, può dare effetti negativi (affaticamento, irritazione oculare, cefalee, ecc.) oltre a creare difficoltà nello svolgimento del lavoro.

 

Si possono poi avere carenze nella struttura e nell’igiene dei locali. In tal caso fattori legati alla struttura dei locali, alla tipologia d’uso degli stessi, alla disposizione dei flussi delle persone, dei veicoli, dei materiali, possono essere causa di infortuni quali: cadute dalle scale, inciampo, investimento, ecc.

In tutte le aree di lavoro, ma in particolar modo nelle zone dove si hanno maggiori flussi di persone e di mezzi (come ad esempio nei magazzini, nelle aree di ricevimento e spedizione delle merci), l’organizzazione delle vie di transito di mezzi di trasporto dei materiali (automezzi, muletti, transpallets, ecc.) e della circolazione dei pedoni, se non progettata e realizzata in modo funzionale, può provocare investimenti di persone, urti, schiacciamenti, ribaltamenti dei mezzi ecc.

Anche la pavimentazione è importante: la presenza di buche, sporgenze e ostacoli non rimovibili è causa di sbandamento e rovesciamento dei mezzi di trasporto, ma anche di scivolamenti, inciampo e cadute dei pedoni. Non bisogna poi dimenticare che il sottodimensionamento di vie di fuga e uscite di emergenza, la presenza di ostacoli che impediscono un transito agevole, o ancora, materiali che ingombrano il passaggio, sono tutte situazioni che non consentono, in caso di pericolo grave ed immediato, il rapido raggiungimento del luogo sicuro.

Inoltre i locali di lavoro e gli impianti devono essere mantenuti in buono stato e regolarmente puliti. E in tutti i casi, occorre prestare attenzione alle possibili infiltrazioni di umidità, con conseguente formazione di muffe, che concorrono a creare un ambiente insalubre per chi vi lavora. Il documento si sofferma poi sulle condizione di igiene e ricorda anche le indicazioni normative relative all’eventuale uso di locali seminterrati o interrati.

Veniamo a qualche indicazione per la prevenzione.

Riguardo al microclima si indica che:

  • partendo dal presupposto di una corretta progettazione dei locali, nel rispetto dei parametri previsti dalla normativa vigente, è di fondamentale importanza la verifica e la manutenzione periodica degli impianti stessi, che deve avvenire in modo programmato;
  • la scelta della postazione di lavoro dell’operatore deve essere effettuata tenendo presente la posizione delle fonti di calore (macchine, vetrate, ecc.);
  • se, per ragioni legate al ciclo lavorativo e al tipo di lavoro da effettuare, non é possibile, adottando le migliori tecnologie, ottenere ideali condizioni di temperatura, umidità relativa e velocità dell’aria, è necessario prevedere periodi di acclimatazione, pause e periodi di riposo; in questi casi, è inoltre necessario indossare abiti protettivi atti a sopperire alle condizioni microclimatiche sfavorevoli.

Il documento segnala, ad esempio, che se il ciclo lavorativo prevede un passaggio continuo di un lavoratore da un ambiente interno a uno esterno, questo lavoratore nella stagione invernale sarà continuamente sottoposto a sbalzi termici. In questi casi, è buona norma organizzare il lavoro in modo da ridurre al minimo il transito tra un ambiente caldo e uno freddo, e dotare i lavoratori di abbigliamento che ripari dal freddo.

Riguardo all’illuminazione si indica che l’illuminazione dei posti di lavoro deve consentire una buona visione, in modo da poter svolgere correttamente il lavoro in tutte le ore del giorno e in tutte le stagioni.

La realizzazione di un impianto di illuminazione in un locale industriale deve essere effettuata valutando il tipo di struttura in cui l’impianto si inserisce e il tipo di attività che vi si svolge, quindi la disposizione delle postazioni di lavoro, dei flussi delle persone e gli spostamenti dei materiali che possono far mutare gli spazi di manovra e di transito, ovvero l’area da illuminare.

Inoltre posto che nei locali industriali l’attività lavorativa è svolta utilizzando macchine utensili, è opportuno che vengano installati impianti di qualità elevata, in grado di assicurare condizioni lavorative ottimali, unitamente a un elevato grado di sicurezza per il personale. In ogni caso, l’illuminazione generale dei locali industriali va molto spesso coordinata e integrata con un’illuminazione localizzata. Fondamentale, come per ogni impianto, è la manutenzione, che per edifici di vaste dimensioni, se avviene in modo programmato e periodico, garantisce notevoli vantaggi economici.

Veniamo infine alle misure di prevenzione nella struttura e nell’igiene dei locali:

  • corretta collocazione e organizzazione delle vie di circolazione di mezzi e pedoni in prossimità di zone pericolose;
  • segnalazione ed eventuale segregazione delle zone pericolose (buche e/o sporgenze, ostacoli non rimovibili, porte, portoni, ecc.): tutte le zone pericolose, se non possono essere rimosse, devono essere adeguatamente segnalate ed evidenziate; è bene ricordare che il formarsi di una buca o un gradino, non deve essere risolto apponendo un cartello di pericolo, ma programmando in modo funzionale e in linea con le esigenze aziendali, il suo ripristino in tempi ragionevoli, anche in relazione al grado di rischio;
  • verifica periodica di buona efficienza di tutte le strutture: pavimenti, passaggi, vie di transito, scale, vie e uscite di emergenza: è fondamentale effettuare periodicamente la verifica di buona efficienza di tutte le strutture dei locali di lavoro (porte, portoni, finestre, pavimenti, passaggi, porte di emergenza, soppalchi, ecc.), ed eseguirne regolarmente la manutenzione, che garantisce la funzionalità; a questo proposito, azioni di sensibilizzazione sotto forma di informazione e formazione del personale che utilizza detti locali, permettono di focalizzare meglio, e senz’altro in tempi brevi, gli eventuali problemi che si vengono via via a creare;
  • manutenzione, pulizia, e verifiche di efficienza di spogliatoi, gabinetti, docce e lavabi, locali di riposo: la manutenzione, la pulizia e la verifica di buona efficienza delle strutture devono essere effettuate, per garantire le condizioni di igiene dei servizi;
  • aerazione di locali sotterranei o semisotterranei, qualora utilizzati.

Il documento INAIL “Labor Tutor – Un percorso formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio tipici del settore metalmeccanico”, realizzato in collaborazione con Enfea, edizione 2011 è scaricabile all’indirizzo:

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_portstg_093155.pdf

 

——————————————-

 

IL DECRETO LEGISLATIVO 151 DEL 2015 E L’ABROGAZIONE DEL REGISTRO INFORTUNI

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

03 novembre 2015

di Tiziano Menduto

 

Con l’entrata in vigore del D.Lgs.151/15 si avrà l’abolizione dell’obbligo di tenuta del Registro Infortuni a decorrere dal 23 dicembre 2015.

Le modifiche del D.Lgs.81/08, il Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP) mancante e la nuova denuncia alla Commissione europea.

 

Alcune delle novità contenute in uno dei Decreti correlati all’attuazione delle deleghe del “Jobs Act” (Legge 10 dicembre 2014, n. 183) riguarda il Registro Infortuni, un documento riepilogativo finalizzato a fornire dati sull’andamento del fenomeno infortunistico all’interno delle imprese.

Un Registro che, riprendendo le parole di una vecchia circolare del Ministero del Lavoro, ha lo scopo di “fornire ai dirigenti e ai preposti delle aziende le indicazioni necessarie alla prevenzione degli infortuni”. E, soprattutto, di dare agli organi di vigilanza in materia di salute e sicurezza “uno strumento di controllo, per valutare la frequenza, la gravità e le cause degli infortuni nell’azienda e di guida per indirizzare l’attività di vigilanza”.

 

Prima di affrontare le novità del D.Lgs.151/15, ricordiamo che il D.Lgs.81/08, in relazione alla documentazione tecnico amministrativa e statistiche degli infortuni e delle malattie professionali, aveva già previsto nel 2008 una sua abrogazione.

Infatti l’articolo 53, comma 5 prevedeva che:

“Fino ai sei mesi successivi all’adozione del Decreto interministeriale di cui all’articolo 8 comma 4, del presente Decreto restano in vigore le disposizioni relative al Registro Infortuni ed ai registri degli esposti ad agenti cancerogeni e biologici”.

 

L’abrogazione sarebbe avvenuta a seguito dell’istituzione del SINP, il Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione di infortuni e malattie professionali (istituito appunto dall’articolo 8 del Testo Unico), un importante strumento nato per fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali di tutti i soggetti coinvolti nella tutela della salute dei lavoratori.

 

Uno strumento che, purtroppo, rappresenta a oggi una delle principali carenze della nostra normativa: il decreto interministeriale, dal 2008, non è mai stato emanato.

E l’interpello n.9/14, aveva chiarito che in attesa dell’emanazione del nuovo Decreto interministeriale (articolo 8, comma 4 del D.Lgs.81/08) istitutivo del SINP (che disciplinando le modalità di comunicazione degli infortuni avrebbe fatto venir meno le disposizioni relative al Registro Infortuni e le relative disposizioni sanzionatorie), le aziende che ricadevano nella sfera di applicazione del Registro erano soggette alla tenuta del Registro Infortuni. E questo mentre molte Regioni in questi anni, ad esempio la Regione Lombardia e la Regione Veneto, avevano soppresso l’obbligo di vidimazione del Registro Infortuni.

In questa situazione, complicata dall’impaludamento e dai ritardi del decreto di istituzione del SINP, interviene ora il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n.151 “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n.183”.

Vediamo innanzitutto quanto indicato dal nuovo D.Lgs.151/15 agli articoli 20 e 21.

L’articolo 20, comma 1, lettera h) prevede che:

“Al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:

[…]

all’articolo 53, comma 6, le parole al Registro Infortuni ed sono soppresse;

[…]”

L’articolo 21, comma 4 prevede poi che:

“A decorrere dal novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, e’ abolito l’obbligo di tenuta del Registro Infortuni”.

 

Dunque con il D.Lgs.151/15 si prevede la soppressione del riferimento al Registro Infortuni nell’articolo 53 del D.Lgs.81/08 e (in coordinamento con quanto previsto all’articolo 21, comma 4) l’abolizione dell’obbligo di tenuta del Registro Infortuni a decorrere dal novantesimo giorno successivo all’entrata in vigore del D.Lgs.151/15, entrato in vigore il 24 settembre 2015. Dunque l’abolizione sarà effettiva dal 23 dicembre 2015.

Riportiamo per chiarezza l’articolo 53, comma 6 del D.Lgs.81/08, come corretto dal D.Lgs.151/15:

“Fino ai sei mesi successivi all’adozione del decreto interministeriale di cui all’articolo 8 comma 4, del presente decreto restano in vigore le disposizioni relative ai registri degli esposti ad agenti cancerogeni e biologici”.

 

Rimane da chiedersi ora se l’aver anticipato l’abrogazione del Registro prima del Decreto interministeriale ex articolo 8, comma 4 del D.Lgs.81/08 e dell’operatività del SINP, non possa essere un elemento in grado di diminuire, anche solo temporaneamente, le strategie di prevenzione e di vigilanza in materia di salute e sicurezza.

Chi è sicuramente di questo avviso è Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza toscano Marco Bazzoni che in questi anni ha presentato una serie di denunce alla Commissione Europea per supposte (in molti casi riconosciute) violazioni delle Direttive europee e che ha recentemente ricevuto anche una menzione speciale del Premio giornalistico Pietro Di Donato per la sicurezza sul lavoro.

Marco Bazzoni ha recentemente presentato una nuova denuncia (già protocollata dalla Commissione con numero CHAP(2015)02849) che riguarda anche il Registro Infortuni.

Non possiamo che concludere il nostro articolo sulle novità del Registro Infortuni con alcune sue risposte alle nostre domande.

COSA RIGUARDA LA NUOVA DENUNCIA IN MATERIA DI SICUREZZA E SALUTE SUL LAVORO?

La denuncia riguarda il non corretto recepimento della Direttiva Quadro 89/391/CEE da parte del D.Lgs.151/15. In particolare, verte sulla abolizione della tenuta del Registro Infortuni e sul fatto di permettere al datore di lavoro di occuparsi direttamente di primo soccorso, antincendio e evacuazione. La denuncia si sofferma anche sul lavoro accessorio e quello volontario.

QUALI POTREBBERO ESSERE I TEMPI DI QUESTA DENUNCIA CHE E’ STATA GIA’ RICEVUTA E PROTOCOLLATA?

I tempi sono abbastanza lunghi, in genere la Commissione Europea ha 12 mesi per prendere una decisione (ma 12 mesi sono il minimo). In genere per arrivare ad aprire una procedura d’infrazione passano anche 24 mesi.

IN DIVERSI CASI L’UNIONE EUROPEA E LO STESSO LEGISLATORE NAZIONALE HANNO DIMOSTRATO CHE ALCUNE DELLE CONTESTAZIONI PASSATE ERANO FONDATE…

Si, la Commissione Europea mi ha dato ragione due volte e il Governo Italiano si è adeguato due volte con la Legge Europea 2013 bis e la Legge Europea 2014.

Ad esempio l’Italia si è dovuta adeguare, a quanto richiesto dalla Commissione, relativamente alla proroga dei termini prescritti per la redazione di un Documento di Valutazione dei Rischi per una nuova impresa o per le modifiche sostanziali apportate allo stesso documento da un’impresa esistente.

E, con la Legge Europea n.115 del 29 luglio 2015, in relazione ai limiti del campo di applicazione della Direttiva 92/57/CEE per i cantieri temporanei o mobili.

Ma non dimentichiamo che anche sull’autocertificazione del DVR per le imprese fino a 10 dipendenti c’è stato un adeguamento, ma senza legge: dopo la procedura d’infrazione, le autorità hanno smesso di prorogarla e la procedura è stata chiusa.

Il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n.151 “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.lavoro.gov.it/Strumenti/normativa/Documents/2015/Decreto%20Legislativo%2014%20settembre%202015_151.pdf

La Legge 10 dicembre 2014, n.183 “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.lavoro.gov.it/DTL/NA/news/Documents/Legge%20n.%20183_2014.pdf

 

——————————————-

 

RISCHIO AMIANTO: LE QUESTIONI APERTE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

03 novembre 2015

 

Il rischio da malattie asbesto correlate è ancora alto in tutta Italia, nonostante ciò il quadro delle conoscenze mediche e delle tutele legali è ancora incerto.

Per parlare di questo argomento, l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi sul Lavoro (ANMIL) ha tenuto il 14 ottobre il convegno “Rischio amianto: il quadro informativo aggiornato e gli strumenti pratici per la migliore assistenza e tutela”, con l’obiettivo di fornire ai professionisti della sicurezza, agli avvocati, agli addetti ad attività che comportino l’utilizzo di amianto, alle persone disabili e già esposte a tale materiale un quadro aggiornato di informazioni medico statistiche sul tema, oltre che un excursus aggiornatissimo sulla casistica giurisprudenziale, nazionale e internazionale, in tema di risarcimento dei danni da amianto.

Il seminario ha inoltre fornito alle persone esposte, ovvero ai loro familiari, tutte le informazioni necessarie per poter accedere ai migliori servizi di tutela e assistenza.

Pubblichiamo l’intervento di Paolo Varesi, membro della Commissione Consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro.

 

 

STATO DELL’ARTE E PROSPETTIVE IN MATERIA DI CONTRASTO ALLE PATOLOGIE ASBESTO CORRELATE

 

L’Italia è stata tra i primi Paesi che hanno vietato l’impiego del minerale fibroso amianto con la messa al bando delle attività a esso correlate, operata attraverso la Legge 257 del 27 marzo 1992 “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto” (propriamente vietandone l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la produzione industriale e la commercializzazione, mentre consentito è, per forza di cose l’utilizzo, considerati i necessari interventi di manutenzione e bonifica).

 

Tuttavia il nostro Paese è stato uno dei maggiori produttori e utilizzatori di amianto fino alla fine degli anni ‘80.

Dal dopoguerra al bando del 1992 sono state prodotte 3.748.550 tonnellate di amianto grezzo.

Le importazioni italiane di amianto grezzo sono state pure molto consistenti mantenendosi superiori alle 50.000 tonnellate anno fino al 1991. Complessivamente l’Italia dal dopoguerra al 1992 ha importato 1.900.885 tonnellate di amianto. Per il costo contenuto e l’ampia disponibilità, l’utilizzo dell’amianto è avvenuto in numerosissime applicazioni industriali sfruttando le proprietà di resistenza al fuoco, di isolamento e insonorizzazione.

Fra gli agenti cancerogeni, l’amianto si caratterizza per una serie di fattori di particolare pericolosità, legati alle quantità del materiale usato, in una gamma assai ampia di attività industriali, al numero di lavoratori esposti, alle ricadute in termini di matrici ambientali contaminate, con conseguenze di rischi per la salute non solo negli ambienti di lavoro.

 

La sorveglianza e la protezione dall’esposizione ad agenti cancerogeni è un tema di grande rilevanza, e ancora di grande attualità, per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.

La sorveglianza epidemiologica dei casi di mesotelioma è affidata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n.308/02 al Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) istituito presso l’INAIL, Settore Ricerca Dipartimento Medicina del Lavoro, che si struttura come un network ad articolazione regionale.

Presso ogni Regione è stato istituito un Centro Operativo Regionale (COR) con compiti di identificazione di tutti i casi di mesotelioma incidenti nel proprio territorio e di analisi della storia professionale, residenziale e ambientale dei soggetti ammalati. I COR sono oggi istituiti in tutte le Regioni e Province Autonome del Paese ad eccezione del Molise e della Provincia Autonoma di Bolzano.

Ogni anno viene pubblicato un Rapporto, (siamo in attesa della V Edizione) che riferisce dei casi di mesotelioma rilevati dalla rete dei COR del ReNaM con una diagnosi a partire dall’anno 1993.

Il IV Rapporto ha evidenziato informazioni relative a 15.845 casi di mesotelioma maligno (MM) registrati in ragione di un sistema di ricerca attiva e di analisi individuale delle storie professionali, residenziali e familiari dei soggetti ammalati.

La malattia insorge a carico della pleura nel 93% dei casi; sono presenti 1.017 casi peritoneali (6,4%), 41 e 51 casi rispettivamente a carico del pericardio e della tunica vaginale del testicolo.

L’età media alla diagnosi è di 69,2 anni senza differenze apprezzabili per genere (70,1 anni nelle donne e 68,8 negli uomini).

Fino a 45 anni la malattia è rarissima (solo il 2,3% del totale dei casi registrati) e la percentuale di casi con una età alla diagnosi inferiore a 55 anni è pari al 9,4% del totale. Il 71,6 % dei 15.845 casi archiviati è di genere maschile.

Le modalità di esposizione sono state approfondite per 12.065 casi (76,1%). Nell’insieme dei casi con esposizione definita (12.065 soggetti ammalati), il 69,3% presenta un’esposizione professionale ad amianto (certa, probabile, possibile), il 4,4% familiare, il 4,3% ambientale, l’1,6% per un’attività extralavorativa di svago o hobby. Per il 20,5% dei casi l’esposizione è improbabile o ignota.

La percentuale di casi di mesotelioma, quindi, per i quali l’analisi anamnestica ha rilevato un’esposizione ad amianto lavorativa, ambientale, familiare, o a causa di hobby è, sull’intero set di dati, pari al 79,6%.

La latenza è stata misurata per i 8.157 casi per i quali è disponibile l’anno di inizio esposizione come differenza fra questa data e l’anno di incidenza. La mediana della latenza è di 46 anni.

Considerando l’intera finestra temporale di osservazione (1993-2008) e i soli soggetti colpiti dalla malattia per motivo professionale, si conferma l’estrema ampiezza dei settori di attività economica coinvolti e il peso non esclusivo dell’esposizione in settori per i quali è più diffusa la consapevolezza e la sensibilità dell’opinione pubblica come la cantieristica navale e l’industria del cemento amianto. I dati del Registro mostrano come l’esposizione in questi due settori di attività economica riguarda meno del 10% dei casi diagnosticati nel quadriennio 2005-2008.

L’amianto è stato bandito in Italia da oltre venti anni e sono disponibili oggi informazioni solidissime in ordine alla epidemiologia, alla eziologia e alla patogenesi delle malattie amianto correlate.

Tuttavia rimangono aperte una serie di questioni rilevanti e tra queste:

  • l’identificazione parziale dei soggetti che sono stati esposti (per motivi di vita o di lavoro) ad amianto prima del bando;
  • la disomogeneità fra le diverse aree del Paese dei protocolli di sorveglianza sanitaria disponibili per i soggetti esposti;
  • l’insussistenza delle prospettive di cura e di reale allungamento della prospettiva e della qualità di vita per i soggetti ammalati di mesotelioma;
  • il consolidamento e la completa copertura territoriale del Registro Nazionale dei Mesoteliomi, che è internazionalmente riconosciuta come una delle più significative esperienze di ricerca e di sorveglianza epidemiologica delle malattie professionali;
  • la rapida attuazione ed estensione delle attività di rilevazione a tutti i tumori di sospetta origine professionale, in applicazione al D.Lgs.81/08;
  • la completa approvazione e finanziamento del Piano Nazionale Amianto e del programma di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati;
  • l’incremento del finanziamento del Fondo per le vittime dell’amianto.
Print Friendly, PDF & Email