SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 279 DEL 04/05/17

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 279 DEL 04/05/17

INDICE

  • Le “Frequently Asked Questions” di Sicurezza Sul Lavoro – Know Your Rights! – N.20
  • Tribunale di Ivrea: l’uso prolungato del cellulare può causare tumore al cervello
  • Rischio da temperature elevate nei cantieri edili: gli effetti del caldo sulla salute
  • Salute e sicurezza in alternanza scuola lavoro
  • Gli infortuni nella manutenzione elettrica
  • Le conseguenze del contatto con parti elettriche in tensione
  • Movimentazione manuale di carichi: legislazione e norme tecniche

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

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LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO – KNOW YOUR RIGHTS! – N.20

Nella mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.

In qualche caso invece le richieste che mi pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a domande su temi molto specifici e limitati.

Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia newsletter.

Ovviamente, per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.

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Buongiorno Marco

vengo a chiederti un consiglio riguardante una segnalazione fatta all’ufficio Servizio di Prevenzione Protezione della mia azienda di cui sono RLS, in merito a una attrezzatura installata su un veicolo raccolta rifiuti a mio avviso non rispondente alla normativa vigente Direttiva Macchine 17/10 e UNI EN 1501-1 2015.

Ho richiesto la verifica su questa attrezzatura che non presenta mancorrenti come protezione in base al punto 1.5.15 della Direttiva Macchine 17/10 e ha l’altezza della pedana posteriore trasporto operatori a cm 50 da terra in disaccordo con la normativa UNI EN 1501-1 2015.

Di risposta l’ufficio SPP mi ribadisce che le attuali normative prevedano solo degli ancoraggi sull’attrezzatura come unico sostegno del lavoratore posto in pedana. Non si esprime sull’altezza della pedana.

A mio modesto avviso e secondo la mia esperienza i dispositivi come sono applicati non possono salvaguardare l’operatore da cadute o scivolamenti soprattutto laterali e tantomeno da eventuali azioni di cesoiamento in caso vi fosse un altro operatore nelle vicinanze.

Ti inoltro alcune foto del mezzo e la scheda tecnica rilasciata dal costruttore richiedendo un tuo parere su ciò che è stato fatto e se queste siano sufficienti nel salvaguardare l’operatore in pedana.

Ciao,

a seguire la mia risposta.

Alla macchina in questione, Veicolo Raccolta Rifiuti (VRR), si applicano sia gli obblighi a carico del costruttore della macchina, sia quelli a carico del datore di lavoro della azienda utilizzatrice.

Secondo il D.Lgs. 17/10 (recepimento della Direttiva Macchine 2006/42/CE) vige l’obbligo del rispetto dei Requisiti Essenziali di Salute e Sicurezza (RES) di cui all’Allegato I, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, lettera a) di tale Decreto:

Il fabbricante o il suo mandatario, prima di immettere sul mercato ovvero mettere in servizio una macchina si accerta che soddisfi i pertinenti requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute indicati nell’allegato I”.

Per adempiere a tale obbligo, le macchine possono essere realizzate in maniera da soddisfare la norma armonizzata di riferimento (se esiste), in quanto il rispetto dei requisiti della norma, dà “presunzione di conformità” al rispetto di quelli di cui all’Allegato I della Direttiva, ai sensi dell’articolo 4, comma 2 del D.Lgs. 17/10:

Le macchine costruite in conformità di una norma armonizzata, il cui riferimento è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, si presumono conformi ai requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute coperti da tale norma armonizzata”.

Nel caso in questione, la norma di riferimento è la EN 1501-1:2011+A1:2015 (UNI EN 1501-1:2015) “Veicoli raccolta rifiuti – Requisiti generali e di sicurezza – Parte 1: Veicoli raccolta rifiuti a caricamento posteriore”, come da te indicato.

In questo caso, il RES relativo alla sicurezza per lo spostamento o lo stazionamento di persone su parti della macchina, come da te giustamente rilevato, è dato dal Punto 1.5.15 dell’Allegato I del D.Lgs. 17/10.

Le parti della macchina sulle quali è previsto lo spostamento o lo stazionamento delle persone devono essere progettate e costruite in modo da evitare che esse scivolino, inciampino o cadano su tali parti o fuori di esse.

Se opportuno, dette parti devono essere dotate di mezzi di presa fissi rispetto all’utilizzatore che gli consentano di mantenere la stabilità”.

I requisiti tecnici per il rispetto di tale RES per le pedane e per le maniglie di presa per gli utilizzatori delle pedane dei VRR sono definiti (per quanto riguarda esclusivamente le dimensioni delle pedane, la presenza e la dimensione delle maniglie) dai Punti 5.10.3.1 e 5.10.3.2 della norma UNI EN 1501-1:2015.

Da quanto mi dici l’altezza della pedana dal suolo è di 500 mm anziché essere inferiore a 450 mm come richiesto dalla norma UNI EN 1501-1:2015 e di conseguenza non è possibile in prima battuta garantire il rispetto dei RES dell’Allegato I del D.Lgs.17/10.

Inoltre dalle foto che mi mandi anche la posizione e la dimensione delle maniglie di presa non è conforme a quanto richiesto dalla UNI EN 1501-1:2015.

Tieni comunque conto che il mancato rispetto di uno o più punti di una norma armonizzata (in questo caso la UNI EN 1501-1:2015) non significa automaticamente che i RES dell’Allegato I del D.Lgs. 17/10 non siano rispettati, in quanto la norma armonizzata non è obbligatoria, ma dà solo presunzione di conformità ai RES di cui sopra.

In questo caso è obbligo del costruttore eseguire una specifica analisi dei rischi da inserire all’interno del Fascicolo Tecnico del VRR, in cui egli deve dimostrare che ha adottato adeguati accorgimenti tecnici per eliminare i rischi derivanti dal mancato rispetto dei RES della norma armonizzata.

L’obbligo di tale analisi dei rischi e della tenuta del Fascicolo Tecnico è dato dall’articolo 3, comma 3, lettera b) del D.Lgs.17/10, secondo cui:

Il fabbricante o il suo mandatario, prima di immettere sul mercato ovvero mettere in servizio una macchina si accerta che il fascicolo tecnico di cui all’Allegato VII, parte A, sia disponibile”.

A sua volta l’Allegato VII, parte A del D.Lgs. 17/10, al punto 1, lettera a), quarto trattino specifica che:

Il fascicolo tecnico comprende un fascicolo di costruzione composto dalla documentazione relativa alla valutazione dei rischi che deve dimostrare la procedura seguita, inclusi:

  • un elenco dei requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute applicabili alla macchina,
  • le misure di protezione attuate per eliminare i pericoli identificati o per ridurre i rischi e, se del caso, l’indicazione dei rischi residui connessi con la macchina”.

Il Fascicolo Tecnico della macchina non deve essere consegnato all’utilizzatore della macchina stessa, ma, secondo il Punto 2 dell’Allegato VII, parte A del D.Lgs. 17/10:

Il fascicolo tecnico di cui al punto 1 deve essere messo a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri per almeno 10 anni a decorrere dalla data di fabbricazione della macchina o dell’ultima unità prodotta nel caso di fabbricazione in serie”.

Sfido comunque il costruttore a dimostrare come ha fatto (cioè con quali accorgimenti tecnici) a garantire i medesimi RES dell’Allegato I del D.Lgs. 17/10, senza aver rispettato i requisiti della norma armonizzata!

Per quanto riguarda invece la responsabilità dell’utilizzatore del VRR, vale quanto disposto dall’articolo 71, comma 1 del D.Lgs. 81/08:

Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all’articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie”.

A sua volta l’articolo 70 (“articolo precedente”), stabilisce che:

Salvo quanto previsto al comma 2 [attrezzature antecedenti alla Direttive comunitarie di prodotto], le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto”.

L’obbligo del datore di lavoro in merito a quanto sopra non si esaurisce semplicemente nell’acquistare macchine immesse sul mercato secondo Direttiva Macchine e quindi marcate CE, ma deve essere adempiuto anche mediante la verifica che le macchine messe a disposizione dei lavoratori abbiano effettivamente le caratteristiche di salute e sicurezza richieste dai RES della Direttiva Macchine.

A tale proposito vale numerosa giurisprudenza in merito,

Vedi ad esempio, tra tutte, quanto affermato dalla Sentenza n. 1226 del 18 gennaio 29011 della Cassazione Penale Sezione IV, che puoi scaricare al link:

http://www.sicurlav.it/pdf/sentenza%201226_11.pdf

L’imputato aveva introdotto nella sua azienda, e messo a disposizione dei suoi dipendenti, una macchina realizzata senza il rispetto delle norme antinfortunistiche, norme del cui assoluto ed integrale rispetto egli, quale datore di lavoro della parte lesa, e responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, avrebbe dovuto accertarsi, a nulla rilevando la marchiatura CE che non esonera da responsabilità, in ragione dell’accertata non conformità della macchina ai previsti requisiti di sicurezza”.

Pertanto anche la vostra azienda è corresponsabile del mancato rispetto dei RES dell’Allegato I del D.Lgs. 17/10, in quanto le relative non conformità sono evidenti e facilmente rilevabili.

In conclusione:

  • il VRR non rispetta né i requisiti della norma armonizzata di riferimento, né i RES dell’Allegato I del D.Lgs. 17/10 (salvo che il costruttore riesca a dimostrare il contrario);
  • la vostra azienda a seguito della tua segnalazione non può lavarsene le mani, in quanto è corresponsabile del costruttore in merito al mancato rispetto dei RES;
  • la vostra azienda dovrebbe richiedere al costruttore la messa a norma del VRR, con la riserva di segnalare alla ASL il mancato rispetto dei RES.

Marco

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Ciao,

avrei bisogno di sapere una cosa riguardo la riunione periodica annuale per la sicurezza che si tiene in azienda con datore di lavoro, medico competente e RSPP.

Io sono un RSU-RLS e non ho potuto parteciparvi a causa di assenza per malattia.

La riunione mi era stata comunicata qualche giorno prima delle ferie, quindi almeno un mese di preavviso, ma al termine delle ferie sono entrato in malattia e la riunione non è stata rinviata.

Mi è stato solo chiesto se avevo delle comunicazioni o domande da fare.

Quindi venerdì scorso sono stato informato degli argomenti trattati, hanno risposto per iscritto ai miei quesiti che sono stati praticamente tutti rifiutati e hanno aggiunto che non ero presente per malattia, ma ero stato contattato telefonicamente il giorno prima e domandato se avessi richieste in merito. Adesso mi è stato consegnato il rapporto della riunione e richiedono la mia firma.

Ho il timore però, anche se firmo per sola conoscenza, che non faremo un’altra riunione con tutti gli interessati quest’anno, ma sarà considerata valida per legge che non prevede l’obbligo di fare più di una riunione periodica.

Grazie mille per l’attenzione.

Saluti

Ciao,

risposta velocissima.

In merito alla riunione periodica, l’articolo 35 del D.Lgs. 81/08, prevede che

Nelle aziende e nelle unità produttive che occupano più di 15 lavoratori, il datore di lavoro, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, indice almeno una volta all’anno una riunione cui partecipano:

  1. a) il datore di lavoro o un suo rappresentante;
  2. b) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi;
  3. c) il medico competente, ove nominato;
  4. d) il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.

Secondo la mia opinione, perché sia valida la riunione, ad essa devono partecipare tutti i soggetti da a) a d).

Altrimenti il legislatore non avrebbe scritto “partecipano”, ma “possono partecipare”.

In ogni caso il RLS può rifiutarsi di firmare il verbale perché non è potuto essere presente o aggiungere una dichiarazione firmata del tipo “Si ritiene la riunione non valida in quanto assente il RLS per giustificati motivi. Si richiede nuova convocazione della riunione”.

Un caro saluto.

Marco

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Buonasera Marco,

sono RLS in azienda metalmeccanica di medie dimensioni.

L’RSPP mi ha comunicato che a breve verrà costituita la figura del ASPP.

Sinceramente so poco e niente di questa figura (sul 81/08 non è spiegato molto bene), e avevo bisogno di qualche informazioni sulle sue funzioni e in particolare su responsabilità e tipo di formazione.

Ti ringrazio moltissimo per la disponibilità.

Ciao,

l’ASPP (Addetto al Servizio di Prevenzione e Protezione) è una figura prevista dall’articolo 31, comma 2 del D.Lgs. 81/08.

Gli addetti e i responsabili dei servizi [di Prevenzione e Protezione], interni o esterni, di cui al comma 1, devono possedere le capacità e i requisiti professionali di cui all’articolo 32, devono essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Essi non possono subire pregiudizio a causa della attività svolta nell’espletamento del proprio incarico”.

Per meglio capire la struttura del Servizio di Prevenzione e Protezione, occorre fare riferimento alle definizioni date dall’articolo 2, comma 1 del Decreto:

  • responsabile del servizio di prevenzione e protezione (lettera f): “persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi”;
  • addetto al servizio di prevenzione e protezione (lettera g): “persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32, facente parte del servizio di cui alla lettera l)”;
  • servizio di prevenzione e protezione dai rischi (lettera l): “insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori”.

L’ASPP è quindi un tecnico della sicurezza che collabora con il RSPP all’interno del Servizio di Prevenzione e Protezione.

Tale figura è in genere prevista in aziende grandi e/o complesse dove il RSPP da solo non è in grado di assolvere a tutti i compiti che gli vengono assegnati dall’azienda (e comunque previsti dal D.Lgs. 81/08), soprattutto quelli di carattere burocratico e formale.

L’ASPP può essere o meno dipendente aziendale (salvo i casi in cui il Servizio di Prevenzione e Protezione deve essere interno all’azienda, ai sensi del D.Lgs. 31, comma 6).

Come l’RSPP, anche l’ASPP deve essere in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 del Decreto: infatti anche l’ASPP deve frequentare un corso di formazione adeguato ai rischi presenti nel proprio ambiente di lavoro, organizzato in analogia a quello per RSPP. L’ASPP a differenza del RSPP deve però partecipare al corso di formazione soltanto per quanto attiene i Moduli A e B, ma non il Modulo C.

A presto.

Marco

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NOTA

Nel testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti acronimi e termini:

ASL = Azienda Sanitaria Locale

CCNL = Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro

DPI = Dispositivi di Protezione Individuali

DVR = Documento di Valutazione dei Rischi

DUVRI = Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in appalto

OS = Organizzazioni Sindacali

RSPP = Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione

ASPP = Assistente al Servizio di Prevenzione e Protezione

RLS = Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza

RSA = Rappresentanze Sindacali Aziendali

RSU = Rappresentanze Sindacali Unitarie

D.Lgs. 81/08 o Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)

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TRIBUNALE DI IVREA: L’USO PROLUNGATO DEL CELLULARE PUO’ CAUSARE TUMORE AL CERVELLO

Da Studio Cataldi

http://www.studiocataldi.it

24/04/17

di Marina Crisafi

INAIL CONDANNATA A CORRISPONDERE A UN LAVORATORE UNA RENDITA VITALIZIA DA MALATTIA PROFESSIONALE

Esiste un nesso causale tra l’uso prolungato del cellulare e il tumore al cervello. Lo ha riconosciuto il Tribunale di Ivrea, con una sentenza shock emessa il 30 marzo scorso. A renderlo noto, oggi, gli avvocati Renato Ambrosio e Stefano Bertone appartenenti a uno studio legale, difensori del lavoratore 57enne protagonista della vicenda.

Nella fattispecie, il Giudice del lavoro del Tribunale di Ivrea, Luca Fadda, ha riconosciuto che il tumore (benigno, ma invalidante) contratto dall’uomo, dipendente di una grande azienda italiana, è stato originato dall’uso scorretto del telefonino, utilizzato per più di tre ore al giorno per 15 anni, condannando dunque l’INAIL a corrispondergli una rendita vitalizia da malattia professionale.

La sentenza, prima in Italia emessa da un Tribunale di primo grado, non è l’unica sul tema. Già nel 2012, la Cassazione (vedi sentenza n. 17438/2012) aveva ritenuto sussistere una “ragionevole certezza” nell’esistenza di un legame tra l’uso intenso del cellulare e lo sviluppo di una malattia come il tumore.

“Speriamo che questa sentenza” – ha affermato D’Ambrosio commentando la decisione di primo grado – “in cui viene individuato il nesso di causa tra un uso prolungato del cellulare e una grave malattia possa servire per promuovere una campagna di sensibilizzazione che in Italia ancora manca”.

Lo studio legale, ha proseguito l’avvocato, ha lanciato a tal fine http://www.neurinomi.info, una piattaforma dedicata a chi è affetto o lo è stato da neurinoma e ha fatto un uso consistente del cellulare nonché a chi cerca informazioni per cautelarsi dall’utilizzo del telefonino.

Proprio per sollecitare ulteriori informazioni, lo studio ha depositato qualche anno fa un ricorso al TAR di Roma, chiedendo che lo Stato Italiano dia indicazioni obbligatorie sull’uso del cellulare ai propri cittadini, come accade per il fumo. Continuando a usare il telefonino senza indicazioni, ha concluso infatti il legale, “possiamo crearci problemi senza volerlo e chi ci governa deve fornirci indicazioni corrette”.

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RISCHIO DA TEMPERATURE ELEVATE NEI CANTIERI EDILI: GLI EFFETTI DEL CALDO SULLA SALUTE

Da: Portale Agenti Fisici

http://www.portaleagentifisici.it

E’ disponibile sul Portale Agenti Fisici il nuovo documento “Rischio da temperature elevate nei cantieri edili: gli effetti del caldo sulla salute” a cura del Comitato Regionale di coordinamento ex articolo 7 D.Lgs. 81/08 della Regione Toscana.

Diverse tipologie di lavoratori possono essere esposte, per la loro occupazione, a temperature ambientali elevate ed essere quindi maggiormente a rischio di sviluppare disturbi associati al caldo, in particolare se viene svolta una attività fisica intensa all’aperto (edilizia, cantieristica stradale, agricoltura, etc.).

Pertanto, i gruppi professionali a rischio devono essere informati sulle possibili misure da adottare per prevenire gli effetti negativi dell’esposizione al caldo e su come riconoscere i segni e i sintomi dello stress termico e del colpo di calore. La prevenzione nei luoghi di lavoro riveste quindi una grande importanza per ridurre il rischio di danni alla salute dei lavoratori dovuti all’eccessiva esposizione alle alte temperature.

Il documento “Rischio da temperature elevate nei cantieri edili: gli effetti del caldo sulla salute” fornisce un contributo alle imprese, a tutti i soggetti della prevenzione e ai lavoratori per valutare il rischio conseguente a esposizione ad alte temperature nei cantieri edili e per adottare conseguenti misure di prevenzione.

L’adozione delle misure di prevenzione indicate nel documento non costituisce un obbligo per le imprese che possono adottare diversi criteri per la valutazione del rischio e altre misure di prevenzione purché di pari efficacia.

La corretta applicazione delle misure indicate nel documento costituisce quindi una delle possibili modalità (in questo caso validata preventivamente dagli organi di vigilanza) per adempiere agli obblighi di legge relativamente al rischio alte temperature nei cantieri edili.

La sezione Normativa e Linee Guida del Portale Agenti Fisici, da cui scaricare il documento, si trova al link:

http://www.portaleagentifisici.it/fo_normative_e_documentazione.php

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SALUTE E SICUREZZA IN ALTERNANZA SCUOLA LAVORO

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

04 aprile 2017

Alcune risposte dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) per la sicurezza degli studenti impegnati in attività di alternanza scuola lavoro.

Pubblichiamo alcune FAQ tratte dal sito del MIUR.

QUALE FORMAZIONE SULLA SICUREZZA E’ NECESSARIO GARANTIRE AGLI STUDENTI IN ALTERNANZA?

La Guida operativa per la scuola per le attività di alternanza scuola lavoro affronta il tema della salute e sicurezza degli studenti nelle strutture ospitanti ribadendo quanto già esplicitato dal Manuale INAIL-MIUR “Gestione del sistema sicurezza e cultura della prevenzione nella scuola” (pagina 233): l’impegno per l’istituzione scolastica riguarda sempre la formazione generale, che viene certificata da un attestato di frequenza e superamento della prova di verifica, costituente un credito formativo permanente in base a quanto indicato dall’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011.

Con riguardo, invece, alla formazione specifica, lo studente che partecipa alle esperienze di alternanza dovrà svolgere attività di formazione di durata variabile, in funzione del settore di attività svolta dalla struttura ospitante e del relativo profilo di rischio.

Detto segmento di formazione, secondo il D.Lgs. 81/08, articolo 37, comma 1, è a cura del datore di lavoro, identificato nel soggetto ospitante, che conosce i rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda.

Qualora la struttura ospitante non fosse in grado di assicurare la formazione specifica, può delegare la scuola a impartirla in relazione alla valutazione dei rischi a cui è sottoposto lo studente in alternanza rispetto ai compiti assegnati, alle macchine e attrezzature da utilizzare, ai tempi di esposizione previsti, ai dispositivi di protezione individuale forniti.

Gli accordi sono definiti nell’ambito della Convenzione sottoscritta tra scuola e struttura ospitante nella quale sono dettate le disposizioni sul soggetto a carico del quale rimane l’onere della formazione.

E’ OBBLIGATORIA LA VISITA MEDICA PER GLI STUDENTI IN ALTERNANZA SCUOLA LAVORO?

Nel D.Lgs. 81/08 gli studenti sono equiparati ai lavoratori e sono sottoposti al controllo sanitario nei casi previsti dalla legge.

La garanzia sanitaria stabilita dall’articolo 41 del D.Lgs.81/08, qualora necessaria, vale per i laboratori della scuola e per le attività di stage, tirocinio o alternanza. Il documento ASL-MIUR “Attività di alternanza scuola lavoro: guida operativa per la scuola”, nel paragrafo 11 (salute e sicurezza degli studenti in ASL nelle strutture ospitanti), per quanto riguarda la sorveglianza sanitaria, precisa che:

“Si ritiene opportuno prevedere specifici accordi in modo che i prescritti adempimenti si considerino assolti mediante visita medica preventiva da effettuarsi da parte del medico competente dell’istituzione scolastica, ovvero dal Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda Unità Sanitaria Locale.

Tale visita medica dovrebbe:

  1. avere una validità estesa a tutta la durata del percorso di alternanza;
  2. consentire agli studenti di svolgere le attività in diverse strutture ospitanti, per la stessa tipologia di rischio.

Qualora, invece, sussistano rischi specifici in base al documento di valutazione dei rischi, sarà cura della struttura ospitante accertare preliminarmente l’assenza di controindicazioni alle attività a cui gli studenti saranno destinati. La sorveglianza sanitaria potrà essere assicurata dall’istituzione scolastica, in presenza di specifiche convenzioni attivate dagli Uffici scolastici regionali con le aziende sanitarie locali o altre strutture pubbliche che dispongano di personale sanitario in possesso dei requisiti prescritti per lo svolgimento delle funzioni di medico competente”.

LE REGOLE PER LA TUTELA DEL LAVORO DEI FANCIULLI E DEGLI ADOLESCENTI VALGONO ANCHE PER GLI STUDENTI IMPEGNATI IN ATTIVITA’ DI ALTERNANZA SCUOLA LAVORO?

La Legge 977/67, che tratta della “Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”, si riferisce espressamente ai casi in cui esiste un rapporto di lavoro (ad esempio apprendistato), condizione che non sussiste per gli studenti in alternanza.

Per esempio, la Legge 977/67 prevede una visita medica obbligatoria e preventiva per i minori che accedono a un rapporto di impiego, a seguito della quale il giovane, se riconosciuto idoneo, può essere ammesso alle attività lavorative, mentre per le attività svolte a scuola o in alternanza, in cui non c’è un rapporto di lavoro, la sorveglianza sanitaria, per mezzo del medico competente, è prevista solo nei casi in cui la valutazione dei rischi, considerati i compiti richiesti (che prevedono l’affiancamento e non lo svolgimento diretto) e la durata della permanenza degli allievi in azienda, evidenzi concrete situazioni di esposizioni a rischi per la salute degli studenti.

Con l’occasione, si ribadisce che: l’alternanza scuola lavoro è una metodologia didattica svolta sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica; il giovane che sviluppa l’esperienza rimane giuridicamente uno studente; l’inserimento in azienda non costituisce un rapporto di lavoro; le competenze apprese nei contesti operativi integrano quelle scolastiche al fine di realizzare il profilo educativo, culturale e professionale previsto dal corso di studi prescelto.

Il documento INAIL-MIUR “Gestione del sistema sicurezza e cultura della prevenzione nella scuola”, edizione 2013 è consultabile all’indirizzo:

https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/pubblicazioni/catalogo-generale/gestione-del-sistema-sicurezza-e-cultura-della-prevenzione.html

Il documento ASL-MIUR “Attività di alternanza scuola lavoro: guida operativa per la scuola” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.istruzione.it/allegati/2015/guidaASLinterattiva.pdf

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GLI INFORTUNI NELLA MANUTENZIONE ELETTRICA

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

13 aprile 2017

di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni degli operatori impegnati in attività di manutenzione elettrica. La sostituzione di una lampada, la manutenzione di una plafoniera e l’attività sopra un traliccio. Le dinamiche degli infortuni e i fattori che li hanno causati.

Ogni tanto le puntate della rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni, si soffermano non solo sulle attrezzature di lavoro o sugli strumenti di protezione e prevenzione, ma anche sui rischi connessi a specifiche attività e mansioni.

E benché (come rilevabile nell’analisi degli infortuni mortali nell’arco temporale 2002/2012) solo il 30% di eventi infortunistici dovuti a contatto elettrico diretto siano legati a interventi di manutenzione e installazione di impianti elettrici o parti di essi, sono ancora troppi gli infortuni mortali che avvengono durante le attività di manutenzione elettrica.

E per migliorare la consapevolezza dei rischi e delle conseguenze dei possibili “errori” dedichiamo alcune puntate della rubrica agli incidenti che avvengono, spesso gravi o mortali, in queste attività.

I casi presentati sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda un infortunio in attività di manutenzione di una plafoniera.

Un’elettricista sta effettuando un intervento di manutenzione alla plafoniera di un gazebo installato ai bordi di una piscina.

L’intervento viene effettuato senza aver preventivamente sezionato l’impianto.

Durante l’intervento l’operatore rimane folgorato e cade dalla scala.

Chiaramente il fattore causale dell’incidente rilevato dalla scheda è il lavoro su impianto elettrico in tensione.

Il secondo caso riguarda un infortunio avvenuto durante la sostituzione di una lampada.

All’interno del locale compressori, al piano interrato di una industria, un elettricista manutentore esperto, di una ditta in appalto, è intento da solo nella sostituzione dei neon delle lampade d’illuminazione. Al momento della sostituzione di una lampada, il manutentore accede ad essa posizionandosi in ginocchio sul pianale di sostegno di un motore sottostante il sistema di illuminazione.

Mantenendo una posizione così protesa in avanti e verso l’alto, rimuove il reattore dalla lampada, rimanendo improvvisamente folgorato.

Viene ritrovato dopo qualche ora dai dipendenti della ditta appaltatrice ormai privo di vita. Dagli accertamenti è risultato che l’impianto elettrico non era conforme e che al momento dell’infortunio era attivo. Inoltre l’elettricista non utilizzava guanti o altri dispositivi specifici per lavori elettrici che aveva in dotazione.

Questi i fattori causali individuati:

  • il manutentore lavora senza staccare energia elettrica e da solo;
  • impianto elettrico non conforme.

Il terzo caso riguarda un infortunio in lavori di manutenzione lungo una linea ferroviaria sopra un traliccio a circa 6 metri di altezza.

L’infortunato, elettricista, sta effettuando i lavori di manutenzione sopra il traliccio. Durante la sua attività tocca con la sommità del capo il cavo di discesa dell’alimentatore, rimanendo folgorato e cadendo a terra. L’infortunato non indossava il casco di protezione dielettrico ed operava a una distanza inferiore ad un metro da parti con tensione a 3.000 V.

Questi i fattori causali individuati:

  • l’infortunato lavorava in zona pericolosa;
  • mancato uso casco protettivo.

Per raccogliere alcuni spunti per la prevenzione generale, non correlata ai singoli casi presentati, del rischio elettrico, ci soffermiamo su un documento dell’istituto elvetico SUVA correlato alla campagna “Elettricità sicura”.

Senza dimenticare le differenze nella distribuzione di energia tra Svizzera e Italia, ricordiamo brevemente le regole di sicurezza riportate nel documento “5 + 5 regole vitali per chi lavora con l’elettricità. Per gli elettricisti. Vademecum”, una pubblicazione nata per formare e informare i lavoratori del ramo delle installazioni elettriche:

  • Regola 1: Lavoriamo con un incarico preciso e sappiamo chi è il responsabile;
  • Regola 2: Eseguiamo i lavori solo se siamo qualificati e autorizzati;
  • Regola 3: Utilizziamo solo attrezzature di lavoro in perfetto stato;
  • Regola 4: Utilizziamo i Dispositivi di Protezione Individuale;
  • Regola 5: Mettiamo in funzione gli impianti solo quando sono stati eseguiti i controlli prescritti.

Entriamo nel dettaglio di alcune delle regole evidenziate.

La quarta regola è relativa all’importanza dei Dispositivi di Protezione Individuale.

Per le attività ad alto rischio di arco voltaico e passaggio di corrente occorre utilizzare i Dispositivi di Protezione Individuale. Questi lavori possono essere effettuati soltanto se non esiste alcuna alternativa.

La quinta regola indica, invece, la necessità di mettere in funzione gli impianti solo quando sono stati eseguiti i controlli prescritti.

Dopo ogni importante modifica e ampliamento di un impianto elettrico bisogna controllare, prima della messa in servizio, se è garantita la protezione di persone e cose. Questa verifica comprende i sopralluoghi, le prove (di funzionamento) e le misurazioni.

Le installazioni devono essere verificate subito dopo la realizzazione. Al momento della verifica utilizzare tutti i sensi:

  • percepire il calore, superfici calde;
  • controllare visivamente la protezione dal contatto;
  • sentire il ronzio di un trasformatore;
  • sentire l’odore del surriscaldamento.

Concludiamo segnalando che il documento elvetico indica che i lavoratori devono rispettare altre 5 regole di sicurezza per i lavori in assenza di tensione:

  • disinserire e sezionare l’impianto su tutte le fasi: prima di iniziare il lavoro, disinserire l’impianto elettrico, sezionandolo dalle parti attive su tutte le fasi (ad esempio spegnere l’impianto ed estrarre i fusibili);
  • impedire il reinserimento accidentale: impedire che venga accidentalmente riattivato un impianto su cui si sta lavorando (ad esempio portare con sé i fusibili, bloccare con un lucchetto l’interruttore e il punto di sezionamento, esporre il segnale di divieto);
  • verificare l’assenza di tensione: l’addetto ai lavori deve verificare con mezzi adeguati l’assenza di tensione su tutti i poli dell’impianto; prima di questa operazione, deve verificare il funzionamento dell’apparecchio di misura (ad esempio usare rilevatori di tensione adatti, verificare i conduttori esterni tra di loro e verso terra);
  • mettere a terra e cortocircuitare: mettere a terra tutte le parti sotto tensione con dispositivi di messa a terra e in cortocircuito; negli impianti a bassa tensione si può evitare di eseguire la messa a terra e in cortocircuito se non esiste alcun pericolo di tensioni indotte o di alimentazione di ritorno, mentre occorre fare attenzione in caso di alimentazione di ritorno (ad esempio in impianti solari, collegamenti ad anello, impianti elettrogeni di emergenza);
  • proteggersi dagli elementi vicini sotto tensione: se gli elementi vicini sotto tensione non possono essere disinseriti, questi vanno coperti o isolati (ad esempio usare tappeti, tubi e lastre isolanti).

Ricordiamo che in Italia il Decreto del 4 febbraio 2011 regolamenta il settore dei lavori elettrici sotto tensione definendo i criteri per il rilascio delle autorizzazioni, con indicazioni per l’organizzazione aziendale, le attrezzature, i DPI, i preposti ai lavori e la zona dei lavori sotto tensione.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 2119, 4443 e 1501 è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

Il documento “5 + 5 regole vitali per chi lavora con l’elettricità. Per gli elettricisti. Vademecum” dell’istituto elvetico SUVA è scaricabile all’indirizzo:

http://www.utsbasilicata.it/attachments/article/980/Manuale%20SUVA%205+5%20regole%20vitali%20per%20gli%20elettricisti.pdf

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LE CONSEGUENZE DEL CONTATTO CON PARTI ELETTRICHE IN TENSIONE

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

27 aprile 2017

di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni degli operatori impegnati in attività di manutenzione elettrica. Le dinamiche degli infortuni, i fattori causali individuati, la normativa tecnica per la sicurezza di chi opera su impianti elettrici e il D.Lgs. 81/2008.

Torniamo a parlare, come abbiamo fatto in una scorsa puntata della rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni, degli infortuni che avvengono in attività di manutenzione elettrica e dovuti a contatto con parti in tensione.

Tuttavia se recentemente ci siamo occupati di questa tipologia di accadimenti con riferimento agli infortuni con esito mortale, oggi ritorniamo sull’argomento presentando anche il racconto di alcuni infortuni gravi.

I casi presentati sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Nel primo caso un operaio elettricista durante un intervento di manutenzione urta con un cacciavite parti in tensione di una cassetta di derivazione, provocando un corto circuito e rimanendo colpito dalla fiammata che si è scaturita. La cassetta è dotata di un sistema di sezionamento che toglie tensione alla parte a valle del sezionatore, ma, a sportello aperto, rimane la possibilità, con attrezzo come il cacciavite, di far venire in contatto elementi sezionati, con possibilità di provocare un corto circuito. Esiste un attrezzo studiato appositamente per togliere i fusibili che l’azienda aveva fornito ai lavoratori, ma tale strumento non era stato considerato sufficiente dall’operatore, che si aiutava con il cacciavite anche perché la posizione della cassetta (in alto e sottoposta a fumi e a umidità) e il tempo (l’installazione risaliva infatti a diversi anni prima) avevano fatto sì che i fusibili fossero ossidati, richiedendo quindi una forza superiore al normale. Il lavoratore, che aveva già tolto 4 fusibili, per togliere un fusibile fa dunque leva con il cacciavite e va ad urtare nella parte in tensione. L’infortunato è esperto nel suo lavoro, e non era la prima volta che faceva quell’operazione.

Chiaramente il fattore causale dell’incidente rilevato dalla scheda è

  • il lavoro su parti in tensione senza utilizzo di apposita attrezzatura.

Nel secondo caso l’infortunato, un diretto dipendente della ditta nella quale è avvenuto l’infortunio, è un elettricista della manutenzione interna. Il giorno dell’infortunio la ditta è ferma per la pausa estiva e sono in corso le operazioni di manutenzione ordinaria della cabina elettrica di trasformazione di Media Tensione 15 KV/380 V della ditta stessa. Assieme all’infortunato sono presenti due suoi colleghi della manutenzione elettrica, fra cui il responsabile; i lavori che devono eseguire consistono essenzialmente in: serraggio bulloni, controllo olio interruttori e rabbocchi, controllo livello miscela terminali cavi, pulizia cabina. E’ inoltre presente un lavoratore di un’impresa elettrica esterna incaricata della pulizia degli isolatori. Dopo che il responsabile ha effettuato tutte le manovre di messa fuori tensione e in sicurezza della cabina si procede per l’esecuzione delle operazioni sopra citate. In particolare l’infortunato viene incaricato di rabboccare la miscela del terminale cavo della linea 2. Mentre esegue tale operazione e sta effettuando il rabbocco, rimane folgorato. Le indagini successive, tese a stabile la causa del fatto che il cavo si trovasse in tensione nonostante fossero state eseguite le operazioni stabilite per la messa fuori tensione completa della cabina, hanno individuato quale causa il non corretto funzionamento di una lama del sezionatore di messa a terra della linea. Il mancato completo funzionamento di tale dispositivo non ha consentito il completo drenaggio verso terra delle cariche elettrica che permangono, per un certo tempo, anche quando il cavo non è più alimentato. La tensione rimasta è stata sufficiente a provocare la fulminazione nel momento in cui l’infortunato è andato a contatto con la testa del cavo e contemporaneamente con parti metalliche collegate a terra. Si precisa che tale cabina era molto vecchia e non disponeva dei più moderni dispositivi, ed in particolari dei segnalatori luminosi che indicano la permanenza della tensione, che avrebbero permesso di accorgersi della presenza della tensione. In cabina era inoltre presente un dispositivo per la messa in corto circuito e la messa a terra locale che non è stato utilizzato.

Questi i fattori causali individuati:

  • mancata verifica effettiva assenza di tensione e non utilizzo di dispositivo per la messa a terra locale;
  • mancato funzionamento dispositivo di messa a terra linea elettrica MT (Media Tensione).

Nel terzo caso l’infortunato, un elettricista esperto, deve scollegare la vecchia linea elettrica e il relativo morsetto, contenuti in una canalina porta-cavi posizionata ad un’altezza da terra di circa 4 m. Raggiunta la quota dove operare, utilizzando una scala regolare (poggiata stabilmente su un tirante in acciaio della struttura edile), individuati i conduttori, con molta probabilità, mentre cerca di svitare con un cacciavite il morsetto per sfilare i conduttori elettrici collegati alla vecchia linea, va in contatto con una parte in tensione e per la folgorazione subita perde l’equilibrio precipitando nel vuoto ed urtando, nella caduta, una scaffalatura. E’ stato appurato che l’infortunato operava su una parte dell’impianto sotto tensione.

Ricordiamo brevemente che, riguardo alla normativa tecnica, dal mese di febbraio 2014 è in vigore la quarta edizione della Norma CEI 11-27 “Lavori su impianti elettrici”, una norma che contiene le prescrizioni minime per la sicurezza di attività di lavoro sugli impianti elettrici e che “costituisce corretta attuazione degli obblighi di legge”, come ricordato dall’ Interpello n. 3/2012 del 22 novembre 2012.

Concludiamo questa puntata di “Imparare dagli errori” ricordando il contenuto dell’articolo 82 del D.Lgs. 81/2008 relativo ai lavori sotto tensione:

“1. E’’ vietato eseguire lavori sotto tensione. Tali lavori sono tuttavia consentiti nei casi in cui le tensioni su cui si opera sono di sicurezza, secondo quanto previsto dallo stato della tecnica o quando i lavori sono eseguiti nel rispetto delle seguenti condizioni:

  1. a) le procedure adottate e le attrezzature utilizzate sono conformi ai criteri definiti nelle norme tecniche;
  2. b) per sistemi di categoria 0 e I purché l’esecuzione di lavori su parti in tensione sia affidata a lavoratori riconosciuti dal datore di lavoro come idonei per tale attività secondo le indicazioni della pertinente normativa tecnica;
  3. c) per sistemi di II e III categoria purchè:

1) i lavori su parti in tensione siano effettuati da aziende autorizzate, con specifico provvedimento del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, ad operare sotto tensione;

2) l’esecuzione di lavori su parti in tensione sia affidata a lavoratori abilitati dal datore di lavoro ai sensi della pertinente normativa tecnica riconosciuti idonei per tale attività”.

Segnaliamo, infine, alcuni dei Decreti attuativi correlati all’articolo 82 del D.Lgs. 81/08:

  • Decreto Interministeriale 4 febbraio 2011 relativo alla definizione dei criteri per il rilascio delle autorizzazioni di cui all’articolo 82, comma 2), lettera c), del D.Lgs. 81/08;
  • Decreto Direttoriale 1 agosto 2016 che contiene il quinto elenco delle aziende autorizzate e dei soggetti formatori a effettuare i lavori sotto tensione su impianti elettrici, di cui all’articolo 82, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 81/08.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 5849, 5842 e 3634 è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

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MOVIMENTAZIONE MANUALE DI CARICHI: LEGISLAZIONE E NORME TECNICHE

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

2 maggio 2017 – Cat: Movimentazione carichi

di Tiziano Menduto

Un tavolo di lavoro ha prodotto un documento con linee di indirizzo per l’applicazione del D.Lgs. 81/08 e per la valutazione e gestione del rischio connesso alla movimentazione manuale di carichi. Focus sulla normativa vigente.

In questi anni molti piani regionali di prevenzione hanno individuato linee di indirizzo sulla movimentazione manuale dei carichi e sulla prevenzione delle malattie dell’apparato muscolo scheletrico (MSK).

Tuttavia, anche attraverso l’attenzione al tema offerta dal Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018, si è costituto, come già ricordato in nostri precedenti articoli, un tavolo di lavoro nazionale (al quale partecipano le Regioni Puglia, Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Sardegna, Toscana, Veneto, Umbria e l’INAIL) che vuole definire strumenti e strategie nazionali in grado di avviare politiche di prevenzione complessive coerenti e condivise.

In precedenti articoli abbiamo presentato un documento, elaborato dal gruppo di lavoro, dal titolo “Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018: linee di indirizzo per l’applicazione del Titolo VI e dell’Allegato XXXIII del D.Lgs. 81/08 e per la valutazione e gestione del rischio connesso alla Movimentazione Manuale di Carichi (MMC)”.

E prima di inoltrarci nel dettaglio dei temi legati all’individuazione e alla valutazione del rischio, ci soffermiamo sull’utile riepilogo che il documento fornisce sulla legislazione e sulla normativa tecnica in materia.

Si ricorda, ad esempio, che già diversi anni fa l’Unione Europea aveva emanato una norma (la Direttiva 90/269/CEE) tesa a condizionare, entro livelli accettabili, l’impiego della forza manuale nelle operazioni lavorative di movimentazione di carichi. Direttiva che è stata recepita nell’ordinamento italiano dapprima con il Titolo V del D.Lgs. 626/94 ed è stata, più recentemente, aggiornata con il Titolo VI del D.Lgs. 81/08.

Dopo aver ricordato anche importanti Linee Guida prodotte nel 1999 dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Provincie Autonome, il documento riporta alcune note di introduzione e commento relativamente alle principali novità introdotte sul tema dal D.Lgs 81/08 (Titolo VI e Allegato XXXIII).

Ad esempio si segnala che con l’articolo 167 del D.Lgs. 81/08 rispetto al D.Lgs. 626/94 viene introdotto il riferimento al “rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico”, laddove la norma precedente si riferiva, in modo più generico, al “rischio, tra l’altro, di lesioni dorso-lombari”. Con tale formulazione, le patologie di altri distretti corporei (ad esempio dell’arto superiore, in particolare della spalla, o del ginocchio), in occasione di attività di movimentazione, sembrano più chiaramente incluse.

L’articolo 168 disciplina poi gli obblighi del datore di lavoro, con testo largamente sovrapponibile alla precedente formulazione del D.Lgs. 626/94 e della Direttiva 90/269/CEE.

Rimandando alla lettura integrale del documento (che si sofferma nel dettaglio di tali obblighi) ci soffermiamo, invece, su una novità assoluta rispetto al passato (e anche, in generale, come tecnica legislativa).

L’articolo 168 contiene, infatti, un riferimento relativo alle norme tecniche e ad altri strumenti di indirizzo: “Le norme tecniche costituiscono criteri di riferimento per le finalità del presente articolo e dell’Allegato XXXIII, ove applicabili. Negli altri casi si può fare riferimento alle buone prassi e alle linee guida”.

E in particolare le norme tecniche (nazionali ed internazionali) di rilievo per la movimentazione manuale dei carichi, rispondenti alla definizione, sono le seguenti:

  • UNI ISO 11228-1:2009 “Ergonomia – Movimentazione manuale – Parte 1: Sollevamento e Trasporto”;
  • UNI ISO 11228-2:2009 “Ergonomia – Movimentazione manuale – Parte 2: Spinta e Traino”;
  • UNI ISO 11228-3:2009 “Ergonomia – Movimentazione manuale – Parte 3: Movimentazione di bassi carichi ad alta frequenza”;
  • UNI EN 1005-2:2009 “Sicurezza del macchinario; Prestazione fisica umana: Movimentazione manuale di macchinario e di parti componenti il macchinario”.

E a tutte queste norme (in particolare a quelle della serie ISO 11228, per via delle successive specifiche riportate in Allegato XXXIII) ci si deve riferire per le finalità del Titolo VI e dell’Allegato XXXIII. Nei casi in cui le norme tecniche non siano applicabili si potrà fare riferimento a linee guida e buone prassi approvate secondo le procedure al proposito previste all’articolo 2 del D.Lgs. 81/08.

Il documento, che si sofferma anche sul articolo 169 del D.Lgs. 81/08 relativo alla formazione dei lavoratori, riporta informazioni sull’Allegato XXXIII e segnala che nell’allegato è stato inserito un più specifico riferimento alle norme tecniche così formulato “Le norme tecniche della serie ISO 11228 (parti 1-2-3) relative alle attività di movimentazione manuale (sollevamento, trasporto, traino, spinta, movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza) sono da considerarsi tra quelle previste all’articolo 168, comma 3”. Questa formulazione, che ha permesso di fare riferimento alle norme tecniche “volontarie” esistenti sulla materia, di fatto indica come primo riferimento le norme esplicitamente citate (che pertanto divengono un riferimento vincolante, ove applicabili) ma, se le stesse risultassero non esaustive, non esclude il ricorso ad altre pertinenti, ove applicabili (ad esempio, la UNI EN 1005-2:2009), secondo la formulazione generale dell’articolo 168 comma 3. Va ricordata a questo proposito la emanazione di un Technical Report di ISO (ISO TR 12296:2012) relativo alla movimentazione manuale di persone nelle strutture sanitarie.

Ad esempio il ricorso a UNI ISO 11228-1:2009 e, come vedremo, a ISO TR 12295:2014, consente ad esempio di disporre di valori di “riferimento” nella valutazione delle attività di sollevamento in sostituzione del valore di 30 kg che è stato cancellato. E a tale proposito, tenuto conto della indicazione di cui all’articolo 28 di considerare, nella valutazione del rischio, le differenze di genere e di età, si adotta la seguente griglia di valori di riferimento da utilizzare per sollevamenti occasionali e come “punto di partenza” per l’applicazione della procedura della RNLE (Revised Niosh Lifting Equation) e di calcolo del Lifting Index:

  • maschi (18-45 anni): 25 kg;
  • femmine (18-45 anni): 20 kg;
  • maschi giovani (<18 anni) e anziani >45 anni): 20 kg;
  • femmine giovani (<18 anni) e anziane >45 anni): 15 kg.

Il documento ricorda poi che lo standard UNI ISO 11228-2:2009 è destinato alla valutazione e gestione delle attività di traino e spinta effettuate con tutto il corpo: lo standard prevede metodi di primo livello in cui si adottano le “classiche” tavole di Snook&Ciriello per forze iniziali e di mantenimento, articolate per genere (copertura al 90° percentile), e metodi, più dettagliati e complessi, di secondo livello.

Inoltre il documento specifica che lo standard UNI ISO 11228-3:2009, formalmente destinato a valutare e gestire condizioni di movimentazione manuale dei carichi leggeri ad alta frequenza, nella sostanza riguarda attività con movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori, anche indipendentemente da movimentazione di carichi significativi, che pertanto non necessariamente fa parte dello specifico campo di applicazione del Titolo VI; più in particolare si vuole qui chiarire che il lavoro manuale ripetitivo (movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori) in assenza di movimentazione di carichi, è unicamente ascrivibile all’obbligo di valutazione di “tutti i rischi” di cui al comma 1 dell’articolo 28 del D.Lgs. 81/08.

In questo senso la norma UNI ISO 11228-3:2009 va pertanto usata come riferimento tecnico per la conduzione della valutazione di cui all’articolo 28 nei confronti del potenziale rischio da movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori. Tenuto conto di tale rilievo, tuttavia questo standard è il riferimento specifico da utilizzarsi comunque per valutare condizioni di sovraccarico biomeccanico di distretti dell’arto superiore in tutte le attività di sollevamento di carichi superiori a 3 kg e anche laddove si movimentino carichi leggeri (inferiori a 3 kg) ad alta frequenza e ricorrano le condizioni di applicabilità dello standard stesso.

Queste linee di indirizzo del tavolo nazionale MSK segnalano, infine, che è stato pubblicato un Technical Report (TR) di fondamentale rilievo, l’ISO TR 12295:2014, applicativo (e, a suo modo, esplicativo) della intera serie di norme ISO 11228; un Technical Report a cui PuntoSicuro ha dedicato in passato diversi articoli e interviste.

Questo Technical Report specifica nel dettaglio campo e modalità di applicazione delle norme della serie ISO 11228. Da un lato, nel testo principale e per utilizzatori meno esperti, si forniscono indicazioni per operare standardizzate “identificazioni del pericolo” e “valutazioni veloci”. In una serie di annessi poi, per utilizzatori già esperti, si orienta ad un uso più circostanziato dei metodi e strumenti già identificati nelle norme della serie ISO 12228.

Concludiamo ricordando che il TR ISO 12295:2014, come esplicativo delle norme della serie ISO 11228 indicate nell’Allegato XXXIII del D.Lgs. 81/08, viene dunque assunto come riferimento applicativo, utile ma non vincolante, per queste linee di indirizzo sulla materia.

Il documento “Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018: linee di indirizzo per l’applicazione del Titolo VI e dell’Allegato XXXIII del D.Lgs. 81/08 e per la valutazione e gestione del rischio connesso alla Movimentazione Manuale di Carichi (MMC)” del tavolo di lavoro nazionale MSK è scaricabile all’indirizzo:

https://www.puntosicuro.it/_resources/MMC-indirizzo%20nazionale-testo%20definitivo%2023.11.2016.pdf

 

 

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