SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 284 DEL 31/07/17

Ascolta con webReader

SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 284 DEL 31/07/17

INDICE

  • Lavoro all’aperto e protezione dai fattori microclimatici
  • Cosa si intende per eventuali effetti a lungo termine dei campi elettromagnetici?
  • Imparare dagli errori: giovani, lavoro e apprendistato
  • Imparare dagli errori: i rischi interferenti nei cantieri edili
  • Luoghi di lavoro, caldo estivo e rischio microclimatico

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

——————————————-

LAVORO ALL’APERTO E PROTEZIONE DAI FATTORI MICROCLIMATICI

RIFERIMENTI NORMATIVI

Le modalità di esecuzione del lavoro all’aperto, con riferimento alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, in funzione anche delle condizioni meteorologiche o climatiche, è regolato (come per la maggior parte delle attività lavorative) dal Decreto Legislativo n.81 del 2008 e successive modifiche e integrazioni (nel seguito Decreto).

SISTEMAZIONE DEGLI AMBIENTI DI LAVORO

L’argomento del lavoro all’aperto è trattato a livello generale nell’ambito del Titolo II “Luoghi di lavoro”.

All’interno di tale Titolo, l’articolo 64, comma 1, lettera a) definisce quali siano gli obblighi a carico del datore di lavoro (o dei dirigenti) di un’azienda relativamente ai requisiti generali dei luoghi di lavoro:

1. Il datore di lavoro provvede affinché i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’articolo 63, commi 1 […]”.

A sua volta l’articolo 63, comma 1 del Decreto stabilisce che:

I luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell’allegato IV [del Decreto].

Pertanto obbligo a carico del datore di lavoro è il rispetto delle prescrizioni tecniche dei luoghi di lavoro contenute all’interno dell’Allegato IV del decreto.

Va osservato che tale obbligo (quello di cui l’articolo 64, comma 1, lettera a) del Decreto) è sanzionato penalmente dall’apparato sanzionatorio del Decreto stesso.

Infatti il mancato adempimento da parte del datore di lavoro o dei dirigenti di tale obbligo è sanzionato dall’articolo 68, comma 1, lettera b) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.000 a 4.800 euro.

All’interno dell’Allegato IV che definisce i requisiti che obbligatoriamente devono possedere i luoghi di lavoro, un paragrafo specifico (il 1.8.7.1) è dedicato alla difesa dei lavoratori dagli agenti atmosferici, in caso di lavoro all’aperto:

Quando i lavoratori occupano posti di lavoro all’aperto, questi devono essere strutturati, per quanto tecnicamente possibile, in modo tale che i lavoratori sono protetti contro gli agenti atmosferici […]”.

Pertanto secondo tale punto i luoghi di lavoro all’aperto devono essere realizzati in maniera tale da proteggere con opere provvisionali (tettoie, barriere) i lavoratori dalle intemperie.

LA VALUTAZIONE DEI RISCHI DEI PARAMETRI MICROCLIMATICI

Quanto sopra specificato non entra però nel dettaglio di come debbano essere realizzate le opere provvisionali, né niente specifica sulla necessità, ove non sia possibile realizzare tali opere, di dotare i lavoratori di Dispositivi di Protezione Individuali (DPI) contro il freddo.

In merito a tali aspetti va considerato che, a parte l’obbligo generico sopra richiamato, il datore di lavoro è in ogni caso obbligato a valutare i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori derivanti anche dalle condizioni microclimatiche (le condizioni appunto di freddo o di caldo che possono costituire fattori di rischio) dei luoghi di lavoro interni ed esterni e ad adottare di conseguenza misure di prevenzione o protezione.

Tale obbligo è contenuto all’interno del Titolo VIII “Agenti fisici” del Decreto.

In tale ambito, l’articolo 180, comma 1 definisce il campo di applicazione del Titolo VIII:

Ai fini del presente decreto legislativo per agenti fisici si intendono il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori”.

Pertanto tale articolo stabilisce che tutto il Titolo VIII si applica anche alle condizioni microclimatiche.

In particolare, per meglio comprendere l’estensione del significato della parola microclima, si può fare riferimento alla Linea Guida “Microclima, areazione e illuminazione nei luoghi di lavoro – Requisiti e standard – Indicazione operative e progettuali” redatta dal Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Provincie autonome del giugno 2006.

Secondo tale Linea guida si definisce microclima:

il complesso dei parametri fisici ambientali che caratterizzano l’ambiente locale (ma non necessariamente confinato) e che, assieme a parametri individuali quali l’attività metabolica e l’abbigliamento, determinano gli scambi termici tra l’ambiente stesso e gli individuano che vi operano”.

L’inciso “ma non necessariamente confinato” lascia intendere che la caratterizzazione del microclima interessa non solo luoghi di lavoro al chiuso, ma anche luoghi di lavoro all’aperto.

Per quanto riguarda il microclima il datore di lavoro deve quindi adottare tutti gli obblighi specificati dal Titolo VIII.

In particolare all’interno della valutazione dei rischi di cui all’articolo 28 del Decreto, il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici (tra cui anche il microclima) al fine di identificare e adottare specifiche misure di prevenzione e protezione con riferimento anche a norme di buona tecnica.

L’obbligo della esecuzione e formalizzazione della valutazione dei rischi fisici (tra cui anche il microclima) è sancito dall’articolo 181, comma 2 del Decreto:

La valutazione dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici é programmata ed effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia […] I dati ottenuti dalla valutazione, misurazione e calcolo dei livelli di esposizione costituiscono parte integrante del documento di valutazione del rischio”.

Il mancato adempimento di tale obbligo da parte del datore di lavoro è sanzionato penalmente dall’articolo 219, comma 1, lettera a) con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.

Sulla base dei risultati derivanti dal processo di valutazione dei rischi, il datore di lavoro deve individuare e adottare misure di prevenzione e protezione per ridurre i rischi per la salute dei lavoratori, secondo quanto definito anche da norme di buona tecnica.

A tale proposito l’articolo 182, comma 1 del Decreto stabilisce che:

Tenuto conto del progresso tecnico e della disponibilità di misure per controllare il rischio alla fonte, i rischi derivanti dall’esposizione agli agenti fisici sono eliminati alla fonte o ridotti al minimo. La riduzione dei rischi derivanti dall’esposizione agli agenti fisici si basa sui principi generali di prevenzione contenuti nel presente Decreto”.

L’articolo 182 fa riferimento, nella individuazione delle misure per ridurre i rischi derivanti dagli agenti fisici, ai “principi generali di prevenzione contenuti nel presente Decreto”.

In particolare il riferimento è alle misure generali di tutela contenute all’interno dell’articolo 15 del Decreto.

Tra tali misure sono rilevanti le seguenti:

  • la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza;
  • l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;
  • la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale.

Giova mettere in evidenza che, ai sensi del comma 2 dell’articolo 15 del Decreto:

Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”.

Le misure generali di tutela sopra richiamate diventano obblighi sanzionabili a carico del datore di lavoro in virtù dell’articolo 28 del Decreto.

In particolare l’articolo 28 comma 1 del Decreto impone che:

La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) [la valutazione dei rischi], anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori

Quindi nell’ambito del processo di valutazione dei rischi, il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi (compresi quelli da microclima, come specificato dall’articolo 181, comma 2 del Decreto sopra citato) anche in considerazione della “sistemazione dei luoghi di lavoro”, cioè, nel caso particolare della necessità di eseguire lavorazioni all’aperto.

L’obbligo della esecuzione della valutazione dei rischi con le modalità e i contenuti previsti dall’articolo 28 è sancita dall’articolo 29, comma 1 del Decreto:

Il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, nei casi di cui all’articolo 41”.

Va messo in evidenza che il mancato adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 29, comma 1 (esecuzione della valutazione dei rischi) da parte del datore di lavoro è sanzionato penalmente dall’articolo 55, comma 1, lettera a) del Decreto con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.

LA DEFINIZIONE DELLE MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

A seguito della valutazione dei rischi, il datore di lavoro deve definire quali misure di prevenzione e protezione adottare per eliminare o ridurre i rischi individuati e individuare il programma temporale di attuazione di tali misure.

Infatti l’articolo 28, comma 2, lettera b) del Decreto specifica che:

Il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) deve contenere l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati”;

mentre l’articolo 28, comma 2, lettera c) specifica che:

Il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) deve contenere il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza”.

Il mancato adempimento degli obblighi di cui sopra da parte del datore di lavoro è sanzionato penalmente dall’articolo 55, comma 3 del Decreto con l’ammenda 2.000 a 4.000 euro.

A seconda dei fattori di rischio individuati e delle possibili soluzioni tecniche il datore di lavoro dovrà adottare misure di prevenzione (eliminazione del rischio alla fonte), protezione collettiva (cioè di tutti i lavoratori esposti contemporaneamente), protezione individuale (cioè di ogni singolo lavoratore esposto, per mezzo dei DPI), con le priorità definite dall’articolo 15 del Decreto

Nel caso dei fattori microclimatici legati al lavoro all’aperto:

  • le misure di prevenzione possono consistere nel far eseguire le lavorazioni nelle ore meno calde d’estate e meno fredde d’inverno;
  • le misure di protezione collettiva possono consistere in opere provvisionali (tettoie, barriere);
  • le misure di protezione individuale possono consistere in abbigliamento adeguato: leggero e traspirante d’estate e antifreddo l’inverno.

Nel seguito verranno indicate misure di prevenzione e protezione, come definite da linee guida e norme tecniche.

A seguito di quanto sopra specificato queste misure di prevenzione e protezione sono obbligatorie e la loro mancata attuazione costituisce reato penalmente perseguibile con le sanzioni citate.

Per una corretta valutazione del rischio da fattori microclimatici e una corretta individuazione delle misure di prevenzione e protezione, il datore di lavoro deve fare riferimento a linee guida e norme tecniche.

A tale proposito, trattandosi di fattori microclimatici, trova applicazione quanto contenuto all’interno del citato documento “Microclima, areazione e illuminazione nei luoghi di lavoro – Requisiti e standard – Indicazione operative e progettuali”.

In particolare con riferimento anche al lavoro all’aperto (d’estate o d’inverno) il documento specifica che

Gli ambienti termici nei quali specifiche e ineludibili esigenze produttive o condizioni climatiche esterne in lavorazioni effettuate all’aperto determinano la presenza di parametri termoigrometrici stressanti e vengono definiti severi.

Un ambiente severo (tanto caldo quanto freddo), dati i rischi alla salute che comporta, trova una sua giustificazione soltanto quando esso permane tale a valle della adozione di tutte le possibili misure tecniche a protezione dei lavoratori”.

In altre parole ciò significa che nel caso di lavoro all’aperto, ove sicuramente le condizioni microclimatiche comportano la presenza di “ambienti termici severi”, il datore di lavoro deve adottare “tutte le possibili misure tecniche a protezione dei lavoratori”.

Infatti il documento aggiunge che:

In tali ambienti i lavoratori vanno infatti tutelati con misure organizzative (ad esempio pause), con Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), con una specifica informazione e formazione e un adeguato controllo sanitario”.

In merito alla valutazione del rischio, il documento specifica poi che:

Per i rischi che gli ambienti severi caldi o freddi comportano, è importante sottolineare come essi vadano sempre valutati anche sulla base di dati oggettivi, ottenuti con adeguati rilievi strumentali e non solo sulla base di semplici e generiche sensazioni del valutatore”.

La mancata esecuzione della valutazione del rischio da ambienti severi caldi o freddi, anche mediante rilievi strumentali, da parte del datore di lavoro, costituisce reato penale ai sensi dell’articolo 29, comma 1 del Decreto.

FATTORI DI RISCHIO, MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE, PROCEDURE DI LAVORO PER AMBIENTI TERMICI SEVERI

Nel seguito vengono riportati (a titolo esemplificativo e non esaustivo) i fattori di rischio, le misure di prevenzione e protezione, le procedure di lavoro per ambienti termici severi (caldi o freddi) come desunti da linee guida e norme tecniche di riferimento (primo tra tutti il documento “Microclima, areazione e illuminazione nei luoghi di lavoro – Requisiti e standard – Indicazione operative e progettuali” del Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Provincie autonome del giugno 2006”.

Con riferimento a ambienti termici severi caldi (lavorazioni eseguite d’estate) i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori sono tipicamente:

  • disturbi dermatologici sotto forma di eruzioni cutanee e vescicole;
  • sudorazione eccessiva con perdita di sali e conseguente spossatezza, vertigini, nausea, cefalea;
  • sbalzi termici (soprattutto nel caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto condizionati o accesso alle baracche di cantiere se condizionate) con conseguenti disturbi muscolari o del sistema respiratorio;
  • congestioni da ingestione di bevande molto fredde;
  • modificazioni delle attività psicosensoriali e psicomotorie, quali affaticamento e abbassamento del livello di attenzione;
  • crampi muscolari da calore;
  • instabilità del sistema cardiocircolatorio;
  • sincope da calore con possibile ipossia cerebrale e perdita di coscienza;
  • colpo di calore con possibile perdita di coscienza, coma.

In tale ambito le possibili misure di prevenzione e protezione definite da norme tecniche e linee guida sono:

  • definire turni di lavoro solo nel periodo mattutino (dalle 6 alle 12) o serale (dalle 18 alle 24);
  • programmare le lavorazioni più impegnative fisicamente nelle prime ore della mattina o nelle ultime ore della sera;
  • prevedere adeguati periodi di riposo per le lavorazioni più impegnative fisicamente;
  • evitare lavorazioni in aree con scarso ricambio di aria;
  • predisporre ripari dal sole (teloni, ombrelloni);
  • se possibile prevedere l’umidificazione periodica delle pareti e dei pavimenti in prossimità dei luoghi di lavoro;
  • mettere a disposizione adeguati quantitativi di acqua minerale naturale con soluzioni saline e di acqua corrente per inumidirsi;
  • fornire ai lavoratori indumenti di lavoro in tessuto naturale e non sintetico;
  • fornire ai lavoratori adeguati copricapi (berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia);
  • eseguire manutenzione preventiva dei sistemi di climatizzazione dei mezzi di sollevamento e trasporto e delle baracche di cantiere, con verifica dell’efficienza e pulizia dei filtri;
  • sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria per rischio per la salute da ambiente severo caldo.

Possibili misure procedurali da definire da parte del datore di lavoro e da adottare da parte dei lavoratori sono:

  • evitare l’esposizione prolungata ai raggi solare, alternando lavori al sole con lavori in zone d’ombra;
  • evitare l’esposizione a zone fortemente ventilate, specie se molto sudati;
  • bere regolarmente acqua minerale naturale non fredda;
  • asciugarsi regolarmente il sudore;
  • inumidirsi regolarmente il capo;
  • se non obbligatorio indossare il casco antinfortunistico, indossare berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia;
  • in caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto condizionati, mantenere una temperatura non eccessivamente bassa e prevedere un periodo di acclimatazione con riduzione graduale della temperatura impostata;
  • mantenere all’interno delle baracche, se dotate di condizionatore, temperature non inferiori di 5 °C rispetto alla temperatura esterna;
  • durante il pasto evitare l’assunzione di alimenti ricchi di grassi, mentre è consigliabile l’assunzione di frutta e verdura;
  • in caso di percezione di sintomi quali giramenti di testa, spossatezza, difficoltà di concentrazione, interrompere le attività e portarsi in zona all’ombra e moderatamente ventilata.

Con riferimento a ambienti termici severi freddi (lavorazioni eseguite d’inverno) i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori sono tipicamente:

  • disturbi all’apparato respiratorio;
  • sonnolenza, riduzione della vigilanza e della capacità decisionale;
  • fattori aggravanti relativamente alla movimentazione manuale dei carichi e all’esposizione alle vibrazioni;
  • malattie anche gravi all’apparato respiratorio;
  • instabilità del sistema cardiocircolatorio;

In tale ambito le possibili misure di prevenzione e protezione definite da norme tecniche e linee guida sono:

  • definire turni di lavoro solo nel periodo diurno (dalle 8 alle 17);
  • predisporre ove possibile ripari dal vento e dalla pioggia;
  • prevedere adeguati periodi di riposo per le lavorazioni in ambienti molto freddi;
  • fornire ai lavoratori DPI antifreddo per il corpo e per il capo conformi alla norma UNI EN 342:2004 e per le mani conformi alla norma UNI EN 511:2006;
  • fornire ai lavoratori DPI antifreddo per i piedi con grado di protezione CI per il freddo e WR per l’acqua secondo norma UNI EN 20345:2012 (e con protezione meccanica in funzione della tipologia di rischio);
  • fornire ai lavoratori DPI per la protezione dalla pioggia conformi alla norma UNI EN 343:2008;
  • eseguire manutenzione preventiva dei sistemi di riscaldamento dei mezzi di sollevamento e trasporto e delle baracche di cantiere, con verifica dell’efficienza e pulizia dei filtri;
  • eseguire manutenzione sugli impianti idraulici di cantiere per evitare perdite di acqua nei luoghi di lavoro e di passaggio e in caso di gelata, causare formazione di ghiaccio;
  • fornire ai lavoratori sale da spandere nei luoghi di lavoro e di passaggio a rischio formazione ghiaccio a terra;
  • sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria per rischio per la salute da ambiente severo freddo.

Possibili misure procedurali da definire da parte del datore di lavoro e da adottare da parte dei lavoratori sono:

  • evitare l’esposizione a zone fortemente ventilate;
  • in caso di sforzo fisico, asciugarsi regolarmente il sudore;
  • indossare berretti antifreddo (se necessario al di sotto del casco antinfortunistico);
  • in caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto condizionati, mantenere una temperatura non eccessivamente alta e prevedere un periodo di acclimatazione con aumento graduale della temperatura impostata;
  • mantenere all’interno delle baracche, se dotate di condizionatore, temperature non inferiori di 5 °C rispetto alla temperatura esterna;
  • in caso di percezione di sintomi quali giramenti di testa, spossatezza, difficoltà di concentrazione, intorpidimento agli arti, bruciore alla pelle interrompere le attività e portarsi all’interno delle baracche di cantiere;
  • non lasciare aperte manichette o rubinetti che potrebbero bagnare i luoghi di lavoro e di passaggio e in caso di gelata, causare formazione di ghiaccio;
  • in caso di possibile presenza di ghiaccio spargere il sale nei luoghi di lavoro e di passaggio;
  • in caso di ghiaccio già presente porre attenzione nel camminare, provvedere a rimuovere il ghiaccio con mezzi manuali i meccanici e spargere il sale.

La mancata applicazione da parte del datore di lavoro delle misure tecniche e procedurali sopra richiamate, costituisce reato penale, ai sensi del citato articolo 28, comma 2, lettere b) e c) del Decreto.

CONCLUSIONI

Tra gli obblighi definiti dalla normativa vigente a carico del datore di lavoro vi è quello di proteggere i lavoratori dai rischi microclimatici nel caso di lavoro all’aperto.

Tali obblighi impongono che gli ambienti di lavoro all’aperto siano protetti dalla intemperie e dagli agenti atmosferici.

Tali obblighi più in generale impongono che il datore di lavoro valuti tutti i rischi derivanti da condizioni atmosferiche e microclimatiche per i lavori che devono essere eseguiti all’aperto.

La valutazione dei rischi deve essere eseguita secondo linee guida e norme tecniche di riferimento, anche mediante rilievi strumentali.

La valutazione del rischio da parametri microclimatici derivanti dal lavoro all’aperto deve essere obbligatoriamente eseguita e formalizzata dal datore di lavoro, pena reato penale,

A seguito della valutazione dei rischi da fattori microclimatici per lavoro all’aperto, il datore di lavoro deve formalizzare all’interno del documento di valutazione dei rischi, le misure di prevenzione e di protezione collettiva e individuale con le quali eliminare o ridurre i rischi individuati.

A seguito della valutazione dei rischi, i lavori all’aperto comportano sicuramente ambienti severi caldi d’estate e freddi d’inverno.

Le misure di prevenzione e protezione da adottare devono essere di tipo organizzativo (turni di lavoro, periodo di riposo), tecnico (barriere e tettoie di protezione, consegna ai lavoratori di DPI confortevoli d’estate e antifreddo d’inverno, sorveglianza sanitaria) procedurali (modalità di lavoro).

Le misure di prevenzione e protezione devono essere obbligatoriamente adottate dal datore di lavoro, pena reato penale.

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus

——————————————-

COSA SI INTENDE PER EVENTUALI EFFETTI A LUNGO TERMINE DEI CAMPI ELETTROMAGNETICI?

Da Portale Agenti Fisici

http://www.portaleagentifisici.it

Cosa si intende per eventuali effetti a lungo termine dei Campi Elettromagnetici (CEM) e perché questi sono esclusi dall’ambito di applicazione del D.lgs 159/16?

Il D.Lgs 159/16 ha recepito in Italia la Direttiva 2013/35/UE sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti da campi elettromagnetici. La Direttiva Europea non affronta le ipotesi di effetti a lungo termine derivanti dall’esposizione a campi elettromagnetici, dal momento che non sono attualmente disponibili evidenze scientifiche consistenti dell’esistenza di una relazione causale. Tuttavia, nel caso in cui emergano prove scientifiche certe, la Commissione europea valuterà quali siano gli strumenti più appropriati per affrontare tali effetti, inclusa una possibile revisione dei valori limite di esposizione.

Per effetti a lungo termine si intendono gli eventuali effetti connessi a esposizioni prolungate a campi elettrici, magnetici o elettromagnetici, anche di intensità inferiore alle soglie di insorgenza degli effetti biofisici diretti e degli effetti indiretti presi in considerazione dalla Direttiva 2013/35/UE.

Per quanto riguarda i campi a bassa frequenza, alcuni studi epidemiologici condotti principalmente su popolazioni residenti in prossimità di elettrodotti, hanno evidenziato un incremento del rischio di insorgenza di alcuni tipi di neoplasie (ed in particolare di leucemie infantili) correlabile a esposizioni croniche ai campi magnetici a 50/60Hz. Il fatto che ci si riferisse a sorgenti esterne e a esposizioni all’interno delle abitazioni ha portato a escludere il campo elettrico in quanto, a differenza del campo magnetico, questo risulta efficacemente schermato dalle pareti degli edifici. In base a tali studi l’incremento di rischio si verificherebbe per esposizioni a campi magnetici superiori alla soglia di 0,4 microtesla e crescerebbe in funzione dell’intensità dell’esposizione. L’insieme di questi studi è al momento oggetto di analisi più approfondite e di accurata revisione, al fine di valutare in dettaglio, e con criteri omogenei, l’associazione tra esposizione a campi magnetici a bassa frequenza e rischio di neoplasie, mediante indagini che presentino la necessaria ripetibilità e accuratezza metodologica indispensabili per individuare una relazione dose-risposta attendibile. Questa problematica riveste particolare importanza anche in considerazione del fatto che a 50 Hertz il livello di riferimento per la popolazione definito nelle linee guida ICNIRP del 1998 è pari a 100 microtesla e cioè 250 volte più grande della soglia di 0,4 microtesla individuata nei succitati studi epidemiologici.

Un’altra tipologia di possibili effetti a lungo termine dei campi elettromagnetici a bassa frequenza, in corso di studio, è rappresentata dalle     malattie neurodegenerative e        in particolare dalla sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e dal morbo di Alzheimer. Tra le popolazioni lavorative maggiormente di interesse per tali studi rientrano i saldatori e i manutentori delle linee elettriche, considerate le elevate esposizioni a CEM a basse frequenze che si riscontrano spesso per tali lavorazioni. La difficoltà nell’eseguire studi epidemiologici su questi effetti è dovuta anche all’assenza di registri nazionali di tali patologie, contrariamente a quanto avviene per i tumori. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o World Health Organization) evidenzia alcune questioni ancora aperte riguardo effetti sanitari diversi dalle patologie oncologiche, come ad esempio disordini neurodegenerativi, differenze nei tempi di rilascio della melatonina, alterazioni nel controllo autonomico del cuore e variazioni nel numero delle cellule “natural killer”.

Per quanto riguarda i campi ad alta frequenza (radiofrequenze e microonde) gli studi si sono recentemente concentrati sulla valutazione dei potenziali effetti cancerogeni legati all’uso dei telefoni senza fili (cellulari e cordless), a partire da quelli relativi alla insorgenza di tumori del cervello, come il glioma. Le attuali conclusioni del gruppo di lavoro IARC si sono basate su diversi studi, principalmente retrospettivi, e in particolare sullo studio multicentrico interphone, che ha coinvolto anche l’Italia. Si è ritenuto che i risultati emersi, non potessero essere dovuti solo a distorsione presente negli studi (i quali, essendo di tipo retrospettivo, risentono di problemi di selezione dei soggetti e di raccolta delle informazioni sulla esposizione, etc.) e che invece indicassero una possibile relazione causale fra glioma e uso del cellulare, in particolare per gli utilizzatori da più lungo tempo o tra coloro che ne fanno uso intensivo. Ugualmente si è ritenuta non accertata ma da indagare ulteriormente (e dunque “possibile”) la relazione tra esposizione a CEM e l’insorgenza di un altro tra i tumori cerebrali più studiati, cioè il neurinoma acustico. Pertanto in sede internazionale lo IARC classifica attualmente sia i campi magnetici ELF (basse frequenze) che i campi a radiofrequenza non nella fascia di “probabile cancerogeno” (classe 2A), classe in cui è ad esempio sono inclusi anche il consumo di carne rossa, nitriti e nitrati, ma nella fascia per cui la cancerogenicità e ancora molto dubbia e di incerta definizione, la Classe 2B: “possibile cancerogeno”, classe in cui ad esempio sono inclusi anche l’assunzione di caffé e l’estratto di foglie di aloe.

Si ricorda che la classificazione IARC parte dalla fascia 1A “cancerogeno certo” in cui sono classificati ad esempio l’amianto, tutte le sostanze radioattive e le radiazioni ionizzanti, le radiazioni ultraviolette solari ed artificiali e tutti gli agenti e i fattori espositivi riconosciuti come certamente cancerogeni in relazione alle evidenze sperimentali ed epidemiologiche scientificamente accertate.

Nel seguito si riporta l’attuale classificazione IARC per i campi elettrici e magnetici:

  • campo magnetico a 50-60 Hz: Gruppo 2B (possibile cancerogeno per l’uomo);
  • campo elettromagnetico ad alta frequenza: Gruppo 2B (possibile cancerogeno per l’uomo);
  • campo elettrico a bassa frequenza: Gruppo 3 (non classificabile come cancerogeno per l’uomo);
  • campo elettrico e magnetico statico: Gruppo 3 (non classificabile come cancerogeno per l’uomo).

Anche le conclusioni dell’ultimo rapporto SCENIHR del 2015 concordano con tali conclusioni sostenendo che “Overall, the epidemiological studies on mobile phone RF EMF exposure do not show an increased risk of brain tumours. Furthermore, they do not indicate an increased risk for other cancers of the head and neck region. Some studies raised questions regarding an increased risk of glioma and acoustic neuroma in heavy users of mobile phones. The results of cohort and incidence time trend studies do not support an increased risk for glioma while the possibility of an association with acoustic neuroma remains open. Epidemiological studies do not indicate increased risk for other malignant diseases, including childhood cancer.” La letteratura sul tema è comunque in continuo e costante aggiornamento.

Sulla base di tali considerazioni i possibili “effetti a lungo termine” attualmente in fase di studio e approfondimento non possono essere presi in considerazione dagli attuali standard radioprotezionistici internazionali e conseguentemente dalle normative di prevenzione e protezione, essendo di fatto impossibile individuare (allo stato attuale delle conoscenze) eventuali valori limite di esposizione ed essendo ancora da individuare appropriati parametri valutativi del rischio e le appropriate metriche espositive da impiegare al fine di garantire l’effettuazione di studi epidemiologici e sperimentali consistenti.

Bisogna considerare in merito che per qualsiasi fattore di rischio i valori limite di esposizione possono essere stabiliti solo se sono noti con accettabile grado di incertezza e sono accertati con il dovuto rigore scientifico i meccanismi di azione, i valori di soglia, i metodi valutativi e le plausibili relazioni dose-risposta.

Allo stato attuale delle conoscenze sull’esposizione umana a CEM ciò è possibile solo per gli effetti biofisici diretti e per gli effetti indiretti presi in considerazione dalla vigente normativa.

——————————————-

IMPARARE DAGLI ERRORI: GIOVANI, LAVORO E APPRENDISTATO

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

29/06/17

Concludiamo, con questa puntata della rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, il nostro viaggio attorno ai rischi e agli infortuni nel mondo del lavoro giovanile, con particolare riferimento al tema dell’apprendistato. E lo facciamo analizzando le dinamiche di alcuni incidenti e ricordando, ancora una volta, che la frequenza di infortuni tra i giovani nuovi assunti e tra gli apprendisti è decisamente superiore rispetto ai lavoratori con più esperienza.

I casi presentati sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi

Il primo caso riguarda un infortunio avvenuto ad un apprendista carpentiere.

L’infortunio avviene a un apprendista carpentiere in un cantiere di ristrutturazione di una abitazione a più piani con negozi.

L’apprendista era stato assunto come apprendista dalla ditta, cui erano stati affidati i lavori di carpenteria nel cantiere menzionato. Il lavoratore aveva ricevuto dal collega l’incarico di togliere le assi di protezione laterali della parete anticaduta sistemata sul tetto lungo la grondaia in quanto gli operai della ditta dovevano tagliare con la sega da cemento un vecchio balcone e sollevarlo con la gru e per questo dovevano avvicinarsi il più possibile alla parete. Così passando attraverso un abbaino l’apprendista era salito sul tetto. La parete anticaduta era stata messa dagli operai della ditta lungo la grondaia, a un’altezza di circa 6-8 m, per lavorare in sicurezza. Mentre toglieva le assi di protezione laterali della parete anticaduta a una altezza di più di 6 m, l’apprendista perdeva improvvisamente l’equilibrio e cadeva sul suolo sabbioso, nel cortile interno dell’edificio. L’apprendista aveva cercato di fermare la caduta aggrappandosi a uno dei sostegni zincati della parete anticaduta, fissati con morsetti alle travi del tetto, ma questo aveva ceduto. L’infortunato riportava un trauma cranico, la frattura polso sinistro e contusioni multiple.

L’infortunio è da ricondurre al mancato uso da parte dell’infortunato di dispositivi personali anticaduta, come l’imbragatura, la fune di sicurezza e il dispositivo di arresto caduta.

Inoltre l’indagine metteva in luce quanto segue:

  • nel sottotetto e al pianterreno dell’edificio sono state trovate due borse della ditta, contenenti ognuna i dispositivi anticaduta sopraindicati;
  • il giorno dell’infortunio il preposto, a cui era stata affidata l’istruzione dell’apprendista, si trovava su un altro cantiere;
  • l’apprendista aveva usato i dispositivi anticaduta durante il montaggio/smontaggio della parete anticaduta, sotto la sorveglianza del suo istruttore; non sapeva però di doverli usare anche nello smontaggio delle assi di protezioni laterali.

Inoltre, contrariamente a quanto previsto nelle istruzioni di montaggio della parete anticaduta, i sostegni dovevano essere fissati con morsetto direttamente alle travi del tetto per garantire un’efficace tenuta; l’apprendista aveva fatto interporre tra le travi ed i sostegni, tavole di legno.

Nella scheda, che riporta nel dettaglio anche le violazioni accertate a carico del datore di lavoro ed istruttore, si riportano i seguenti fattori causali dell’infortunio:

  • l’infortunato operava in condizioni di pericolo;
  • mancato uso dei DPI disponibili nel cantiere;
  • la barriera anticaduta sul tetto non è stata montata secondo le istruzioni del costruttore.

Il secondo caso riguarda un infortunio avvenuto a un apprendista muratore.

L’infortunato, apprendista muratore minorenne, si trova su un cantiere edile stradale intento a pulire con il badile la zona immediatamente vicina a un piccolo scavo. Lo scavo profondo circa 50 centimetri viene eseguito con l’uso di un piccolo escavatore alla cui guida si trova un collega di lavoro anch’egli dipendente dell’impresa. Sul piccolo escavatore è montato il dispositivo che funge da martello demolitore. L’infortunato, trovandosi nelle immediate vicinanze del mezzo in manovra, viene colpito al piede dal martello demolitore montato sul piccolo escavatore riportando fratture alle dita.

Questi i fattori causali individuati:

  • l’operatore del mezzo eseguiva manovre di scavo con un piccolo escavatore mentre un altro addetto stazionava nel raggio di azione del mezzo;
  • l’infortunato eseguiva lavori di pulizia con badile in prossimità di uno scavo mantenendosi nel raggio di azione di un piccolo escavatore.

In questo articolo conclusivo sul tema dell’apprendistato vediamo di comprendere le novità legislative attraverso una nota, pubblicata su PuntoSicuro e a cura di Cinzia Frascheri, relativa al D.Lgs. 81/15 (esecutivo del “Jobs Act”), recante la disciplina organica dei contratti di lavoro e la revisione della normativa in tema di mansioni.

Nella nota si ricorda che l’apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani.

Il contratto di apprendistato si articola nelle seguenti tipologie:

  • apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;
  • apprendistato professionalizzante;
  • apprendistato di alta formazione e ricerca.

Inoltre il contratto di apprendistato ha una durata minima non inferiore a sei mesi, fatto salvo quanto previsto dalle disposizioni relative. E per gli apprendisti l’applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria si estende anche all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Si rimarca poi nella nota che gli apprendisti sono già ricompresi nella categoria dei lavoratori (ai sensi della definizione prevista all’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08) e quindi essendo titolari dei diritti a questi previsti, in tema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, viene prevista in coerenza a loro favore, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Riprendiamo, infine, dal documento dell’INAIL dal titolo “Giovani, formazione e lavoro – Le tue opportunità, la tua sicurezza”, alcune indicazioni rivolte direttamente ai giovani lavoratori.

“Hai il diritto di lavorare in modo sicuro e sano, di fare domande se qualcosa non ti è chiaro e di rifiutarti di svolgere eventuali attività pericolose. Qual è dunque la prima e fondamentale disposizione d’animo che devi avere? Sicuramente è quella dell’ascolto. Devi ascoltare attentamente le istruzioni che ricevi, è poi importante che tu possa trovare il tuo ritmo di lavoro perché l’infortunio avviene proprio quando si fanno le cose troppo in fretta. Non devi dimenticare, infatti, che la consapevolezza dei tuoi diritti e dei rischi che devi affrontare è molto importante: un giovane lavoratore deve aspettare di essere adeguatamente istruito prima di tuffarsi in qualsiasi attività lavorativa. Devi dunque collaborare con il datore di lavoro sulle questioni di salute e sicurezza, attenerti alle procedure di sicurezza per proteggere te stesso e i tuoi compagni di lavoro, utilizzare i dispositivi di protezione personale e gli eventuali indumenti protettivi messi a disposizione dalla tua azienda. Se hai problemi o difficoltà, devi informare il datore di lavoro, il responsabile della sicurezza in azienda, o il rappresentante (sindacale) dei lavoratori per la sicurezza; rivolgiti al tuo medico, parlane con genitori, tutori, o insegnanti nel caso di lavoratori ancora iscritti a un corso di studi o in situazioni di stage o tirocinio (in questi casi è prevista anche la figura di un referente aziendale)”.

E per concludere segnaliamo, attraverso il contenuto di una scheda del documento INAIL, che nel caso di un infortunio occorso ad un apprendista la persona incaricata a curare la sua formazione assume, per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, una posizione di garanzia nei confronti dello stesso e risponde direttamente dell’obbligo della sua tutela e della vigilanza finalizzata a evitare che questi, durante il periodo di formazione, possa compromettere anche per un suo incauto comportamento, la propria integrità fisica. E’ quanto emerge, infatti, dalla lettura di una sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza Cassazione Penale Sezione IV n.15009 del 7 aprile 2009) chiamata a confermare o meno la condanna inflitta dalla Corte di Appello a un dipendente di una cantina sociale per l’infortunio occorso a un apprendista, sottoposto alla sua tutela e alla sua vigilanza, a seguito del ribaltamento di un carrello elevatore alla cui guida si trovava l’apprendista.

Il documento dell’INAIL dal titolo “Giovani, formazione e lavoro – Le tue opportunità, la tua sicurezza” è scaricabile all’indirizzo:

https://www.inail.it/cs/internet/docs/allegato_giovani_formazione_e_lavoro.pdf

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 6373 e 5552 è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

——————————————-

IMPARARE DAGLI ERRORI: I RISCHI INTERFERENTI NEI CANTIERI EDILI

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

06/07/17

Riguardo al delicato tema dei rischi correlati alle interferenze nei luoghi di lavoro, che sono alla base di molti infortuni gravi e mortali, nelle scorse puntate della rubrica “Imparare dagli errori” ci siamo soffermati su un aspetto particolare, le interferenze tra mezzi e persone (anche all’interno di una stessa attività lavorativa) dipendenti, ad esempio, da una carente gestione della viabilità aziendale.

Oggi invece ci soffermiamo sulle interferenze che dipendono da una mancanza di idoneo coordinamento tra attività diverse. Infatti generalmente si parla di interferenze lavorative proprio nel momento in cui più operatori di aziende diverse, prestano la loro opera, anche non contemporaneamente, nello stesso ambiente lavorativo.

I casi presentati (che riguardano in particolare i cantieri edili) sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda un infortunio durante la costruzione di un magazzino.

In un cantiere edile, durante la costruzione di un magazzino a servizio di un’attività artigiana, sono in corso lavori di completamento di un solaio costituito da lastre alleggerite su cui viene gettato il calcestruzzo.

In cantiere sono presenti sul solaio in getto 5 operatori dell’impresa esecutrice e a terra l’infortunato, addetto di impresa fornitrice alla autobetoniera, che alimenta l’autopompa di getto. Il solaio in costruzione è a circa 4,7 metri da terra.

Durante la fase finale del getto il solaio collassa trascinando a terra gli operatori presenti su di esso e i materiali di risulta; questi ultimi colpiscono l’infortunato ferendolo al capo e alla mano sinistra.

Secondo la scheda il crollo è dipeso principalmente dall’installazione di un’armatura costituita da una doppia puntellatura sovrapposta non idonea a quel tipo di costruzione, attrezzatura non idoneamente valutata sia in fase di progettazione che in fase di realizzazione. Inoltre l’investimento dell’autista è riconducibile anche a una mancata valutazione delle interferenze in cantiere durante le fasi di fornitura dei materiali.

Questi i fattori causali individuati:

  • cedimento dell’armatura inidonea;
  • posizione inidonea dell’ operatore dell’autobetoniera comunque esposto a caduta di oggetti dall’alto.

Il secondo caso riguarda un infortunio che si è verificato per interferenza tra due ditte durante i lavori di smontaggio di un ponteggio.

Le operazioni sono condotte in quota da due lavoratori dipendenti della impresa incaricata alla gestione del ponteggio in cantiere e, a terra, da un loro collega che è addetto al ricevimento dei particolari e al loro ricovero, individuato nei pressi del ponteggio. L’infortunato, lavoratore di altra impresa intento alle pulizie di cantiere, si trova al piano campagna chinato con la schiena verso terra, intento a raccogliere un elemento di ponteggio nelle vicinanze quando, all’improvviso, viene colpito alla spalla destra da un oggetto metallico da lui non identificato. A terra sono poi stati rinvenuti due giunti in ferro (in prossimità dell’area sottostante la carrucola), costituti da tre elementi collegati tra loro mediante bulloni. La parte di ponteggio su cui lavoravano gli addetti in quota era priva di tavola fermapiede ed è probabile che i due giunti siano caduti da tale zona.

Questi i fattori causali individuati:

  • i lavoratori smontano il ponteggio facendo cadere elementi a terra;
  • la parte del ponteggio su cui lavoravano gli addetti in quota era privo di tavola fermapiede;
  • l’infortunato opera nella zona sottostante quella di smontaggio ponteggio.

Il terzo caso riguarda un infortunio avvenuto mentre un lavoratore si accinge ad eseguire il montaggio di un infisso esterno in alluminio.

Il lavoratore che deve eseguire il montaggio, transitando sul piano di una veranda, sprofonda a causa della non idonea struttura della chiusura del piano.

Il lavoratore precipita per circa 3,5 m e urta la nuca su di un laterizio decedendo a seguito di frattura del cranio.

L’infortunato non era a conoscenza del fatto che il solaio della veranda era stato parzialmente demolito, poi coperto con un pannello di cartongesso posto su di un tavolone lungo 4 m, largo 30 cm, spesso 4 cm, che lo reggeva sul vuoto nel verso longitudinale, non per tutta la superficie oggetto della demolizione che era di 1,5 m per 1,2 m. Oltretutto il pannello anzidetto era stato coperto con un telo di PVC e dei tappetti in tessuto. Era stata realizzata una vera e propria trappola per gli ignari delle condizioni del luogo. Il committente, esecutore dei lavori di demolizione e apposizione della non idonea protezione del vuoto nei solai, non ha informato il lavoratore infortunatosi del rischio presente in cantiere. Essendo un cantiere in cui dovevano essere presenti più ditte, al fine di pianificare in sicurezza le attività, gestendo anche le interferenze fra le ditte, doveva provvedere all’attuazione del coordinamento sia in fase di progettazione che di esecuzione, al fine di eseguire i lavori in sicurezza.

Abbiamo dunque presentato tre casi di infortuni dove tra i fattori causali sono presenti anche carenze di coordinamento e gestione delle interferenze.

Per ribadire il concetto di interferenze tra più imprese riprendiamo quanto indicato in una sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 44792 del 9 novembre 2015) che riporta utili indirizzi per una corretta applicazione dell’articolo 26 del D.Lgs. 81/08 per quanto riguarda il concetto di “interferenza” fra le imprese e gli obblighi di coordinamento e cooperazione. Si indica, che il concetto di interferenza fra più imprese “non può essere circoscritto alle mere ipotesi di contatto rischioso fra i lavoratori delle imprese stesse, ma va necessariamente riferito alla coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi. Se l’interferenza fosse infatti limitata alle mere ipotesi di contatto rischioso tra lavoratori di imprese che operano nel medesimo luogo di lavoro ciò condurrebbe ad escludere in capo a quei committenti che forniscono il mero luogo di lavoro qualunque posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori che, pur essendo alle dipendenze di altre imprese, operano nel medesimo luogo di lavoro”.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 8061, 8076 e 5364 è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

——————————————-

LUOGHI DI LAVORO, CALDO ESTIVO E RISCHIO MICROCLIMATICO

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

10/07/17

Il rischio microclimatico è un rischio che dipende dalla non correttezza dei parametri termici che caratterizzano un luogo di lavoro, con particolare riferimento ai luoghi di lavoro chiusi. Un rischio che, a seconda delle diverse situazioni e ambienti, può portare uno stress termico, il cosiddetto discomfort termico, oppure può anche arrivare a costituire un pericolo immediato per la salute.

E’ evidente che tale rischio da microclima tende generalmente ad aumentare con la stagione estiva e il conseguente innalzamento delle temperature esterne.

Per parlare, proprio in questo periodo estivo, di rischio/stress termico e di microclima, facciamo riferimento ai contenuti di un documento correlato al progetto Impresa Sicura, un progetto multimediale (elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e INAIL) che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013 e che ha affrontato in questi anni il tema della sicurezza in vari comparti lavorativi.

Nel documento “Settore agroalimentare – La lavorazione della carne” un intero capitolo è dedicato al microclima con riferimento a varie tipologie di ambiente:

  • ambiente termico moderato: ambienti di lavoro dove lo sforzo che deve compiere il sistema di termoregolazione del corpo umano per adeguarsi alle temperature ambientali è moderato;
  • ambienti termici severi caldi: ambienti di lavoro nei quali è richiesto un notevole intervento del sistema di termoregolazione del corpo umano per diminuire il calore che potenzialmente si accumula sul corpo, dovuto alle alte temperature dell’ambiente di lavoro (orientativamente maggiori di 30 °C);
  • ambienti termici severi freddi: ambienti di lavoro che richiedono al sistema di termoregolazione un notevole sforzo per limitare l’eccessiva perdita di calore e quindi la eccessiva diminuzione di temperatura del corpo umano, dovuta a temperature ambientali molto basse (orientativamente minori di 10 °C).

Soffermandoci in particolare sugli ambienti termici moderati, il documento ricorda che generalmente in questi ambienti non si hanno patologie dirette collegate a un discomfort termico. Tuttavia si sottolinea che un ambiente lavorativo con condizioni microclimatiche di discomfort può comportare tra l’altro il deterioramento delle condizioni e delle capacità sia fisiche-muscolari che cognitive, diminuendo la capacità di reazione ed aumentando il rischio di infortunio. Inoltre umidità relative fuori dal range 40%-60% possono causare un aumento crescente di batteri, virus, miceti, acari ecc. con aumento dei rischi di igiene.

Si segnala poi che è stato inoltre dimostrato che condizioni di disagio termico comportano una diminuzione anche della produttività.

Inoltre si indica che negli ambienti di lavoro, sebbene globalmente vi siano temperature e umidità accettabili, può essere comunque presente un “disagio termico localizzato”, che può essere costituito da:

  • una corrente d’aria fredda o calda che investe una parte del corpo;
  • differenza di temperatura tra testa e caviglie dovuta a una differenza di temperatura in verticale;
  • pavimento troppo freddo o troppo caldo;
  • differenza di temperatura, ad esempio, tra una parete posta a sud della stanza rispetto a un’altra posta a nord (asimmetria radiante);
  • una energia metabolica troppo elevata;
  • un abbigliamento troppo o poco pesante; ecc.

E, si sottolinea ancora, che il raffrescamento o riscaldamento locale aumentano il senso di disagio termico del lavoratore aumentando i rischi di infortunio.

Il documento, che vi invitiamo a visualizzare integralmente, riporta indicazioni sui parametri principali che intervengono nel “benessere termico”, anche con specifico riferimento agli ambienti delle sale di lavorazione, trasformazione e conservazione carni che richiedono una attenta valutazione e un continuo monitoraggio delle condizioni microclimatiche per armonizzare esigenze di tutela igienica del prodotto alimentare ed esigenze di tutela del benessere termico del lavoratore. Scopo del datore di lavoro è quello di garantite il benessere termico ed igrometrico dei lavoratori.

Riguardo poi alla valutazione del microclima si indica che per il giudizio sul microclima, sia di ambienti moderati che di ambienti severi, si fa generalmente ricorso ad “indici sintetici” (che esprimono in un unico valore tutti i parametri) che vengono confrontati con standard di riferimento (TEC: temperatura effettiva corretta; WBGT: temperatura al globotermometro a bulbo bagnato; HSI: indice  di stress termico; PMV: voto medio previsto, PPD: percentuale di insoddisfatti, ecc.) previsti da norme tecniche (ISO, EN, UNI). Per il calcolo di questi indici sono necessarie misure specifiche effettuate da tecnici competenti dotati di apposita strumentazione. Il loro impiego è necessario per una valutazione precisa e in particolare per valutare situazioni di stress e per il controllo di impianti di condizionamento”.

In particolare si ricorda che per una corretta valutazione del microclima in ambienti termici moderati è utile riferirsi alla norma tecnica UNI EN ISO 7730 calcolando in particolare gli indici sintetici PMV (Voto Medio Previsto) e PPD (Percentuale Prevista di Insoddisfatti) e confrontandoli con i valori di benessere indicati nella stessa norma.

Inoltre si indica che in un primo approccio per la valutazione del microclima risulta di facile applicazione il concetto di temperatura operativa (TO). Essa dipende da diversi parametri (velocità dell’aria, coefficienti di scambio termico convettivi e radiante, temperatura dell’aria e temperatura media radiante).

Concludiamo questa breve disamina sul rischio microclimatico riportando una serie di utili azioni di prevenzione.

Infatti il documento indica che il datore di lavoro già in fase di progettazione dell’edificio aziendale deve prevedere un buon isolamento termico dell’edificio e delle superfici vetrate, una sufficiente aerazione naturale tramite, un numero adeguato di finestrature apribili. Tali finestrature non devono essere distribuite da un solo lato dell’edificio, ma in maniera omogenea. Vi deve essere inoltre la possibilità di schermare l’irraggiamento solare diretto, mediante dispositivi più o meno oscuranti quali tende alla veneziana, frangisole e pellicole riflettenti.

Tuttavia qualora gli interventi in fase di progettazione non portino ad un adeguato microclima, per adeguare gli ambienti a un comfort termico accettabile per i lavoratori è possibile procedere seguendo le seguenti modalità di intervento:

  • dotarsi di impianto di condizionamento estivo e di impianto di ventilazione estivo in modo da regolare i parametri temperature e umidità ambientali conformemente alle normative tecniche;
  • aumentare in generale l’umidità ambientale in inverno e diminuire l’umidità ambientale in estate;
  • ridurre o aumentare la ventilazione dei locali a secondo del disagio termico dei lavoratori;
  • evitare di affollare troppe macchine o personale in pochi locali, ciò aumenterebbe le fonti di calore;
  • schermare le superfici calde radianti interne ad esempio le superfici di macchine che riscaldano eccessivamente;
  • potenziare l’impianto di riscaldamento e condizionamento;
  • adottare sistemi di apertura e chiusura dei portoni che riducano al minimo gli scambi termici tra l’esterno e l’interno (porte a barriera/lamina d’aria ecc.), compatibilmente con le esigenze di sicurezza per l’evacuazione in caso di emergenza;
  • posizionare postazioni fisse di lavoro a distanza dalle porte che si affacciano su ambienti esterni troppo freddi o troppo caldi ecc.;
  • dotare nei diversi ambienti termostati o regolatori della velocità dei ventilatori, permettendo ai lavoratori di regolare i parametri microclimatici più vicini alle proprie esigenze.

Concludiamo segnalando che il documento di Impresa Sicura si sofferma su molti altri aspetti relativi al microclima, ad esempio con riferimento alla legislazione comunitaria, recepita dalle normative nazionali, sui vincoli microclimatici nei locali produttivi, per la tutela delle condizioni igieniche e sanitarie dei prodotti, ove sostano o transitano le carni.

Questi ad esempio alcuni elementi analizzati dal documento in relazione al rischio microclimatico:

  • normativa tecnica;
  • rischi per la salute;
  • valutazione del microclima basata sugli indici PMW e PDD;
  • attrezzatura per misurazioni microclimatiche;
  • organizzazione di sopralluoghi per la valutazione del microclima.

L’accesso al sito “Impresa Sicura” è gratuito e avviene tramite una registrazione all’indirizzo:

http://impresasicura.org/ita/pages/home.php

Print Friendly, PDF & Email