LA TEMPESTA PERFETTA DI SERGIO BOLOGNA

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Presentiamo la recensione del libro di Sergio Bologna “Tempesta perfetta sui mari”, un’analisi del fallimento della finanza navale, mentre va in stampa il nuovo numero (N. 233-234) della rivista Medicina Democratica, con un dossier su “Ferrovie, sicurezza e velocità da Viareggio alla Valsusa passando per Brescia e Vicenza”. Assieme ad amici valsusini, ecologisti e storici dell’ambiente, Medicina Democratica ha affrontato il tema dei funesti effetti collaterali delle “grandi opere” con un approfondimento sulla sicurezza nei trasporti e nella mobilità, dal crimine ferroviario di Viareggio al TAV Torino Lione, ai rifiuti seppelliti nelle massicciate delle autostrade, attento anche alla fusione Monsanto-Bayer, ai vaccini e alla repressione del dissenso che attraversa oggi il nostro paese, dalla Valsusa al Salento.
Sergio Bologna ci ha aiutato in questo dossier a spostare lo sguardo sulla globalizzazione dei trasporti oltre i confini dell’Europa, spiegandoci quali siano i rischi economici ma anche culturali a cui ci esponiamo con le scelte imposte dalla finanza per una insostenibile rincorsa di riduzione dei costi, dei tempi e conseguentemente anche dei criteri di sicurezza nel traffico di intercontinentale delle merci nei container.

Sergio Bologna, TEMPESTA PERFETTA SUI MARI. IL CRACK DELLA FINANZA NAVALE (DeriveApprodi, Roma 2016)
di Enzo Ferrara

Sergio Bologna ha insegnato storia del movimento operaio e della società industriale a Padova e a Brera. È autore, tra gli altri, dei libri “Ceti medi senza futuro? Scritti e appunti sul lavoro e altro” (DeriveApprodi, 2007) “Le multinazionali del mare. Letture sul sistema marittimo-portuale” (Casa editrice Università Bocconi, 2010), “Vita da free lance” – sintesi e bilancio dell’attività di consulente – scritto con Dario Banfi (Feltrinelli, 2011), e “Banche e crisi. Dal petrolio al container” (DeriveApprodi, 2013).
Le sue riflessioni sulla crisi della finanza navale che pur di sostenere la speculazione ha ridotto i costi oltre ogni limite sostenibile, portando al collasso il sistema dei trasporti via mare fino al fallimento della più grande compagnia coreana – raccontato in questo numero nell’articolo La globalizzazione e il fallimento di Hanjin, – partono da una conoscenza diretta e continua di questo mondo, da esperienze vissute sul posto nei porti di Genova e Trieste. Come professionista indipendente, dalla fine degli anni ’80 Bologna si è infatti specializzato in consulenze su problematiche marittimo-portuali e ha partecipato come esperto dal 1998 al 2001 alla stesura di due Piani Generali dei Trasporti per la parte riguardante le merci e la logistica.

La parabola discendente, anche per eccesso di gigantismo, del trasporto via mare dai porti orientali verso quelli occidentali raccontata con tutta la sua drammaticità in questo libro può essere associata alla parabola di decadenza e degrado vissuta da tanti altri settori degli scambi economici che in questi anni hanno visto l’intrusione della grande speculazione. È accaduto nel 2006 con i mutui subprime, i prestiti ad alto rischio finanziario elargiti dagli istituti di credito statunitensi in favore di clienti a forte rischio di insolvenza, che determinarono i fallimenti delle “banche d’affari” più grandi al mondo: Lehman Brothers, Goldman Sachs e Morgan Stanley, aprendo la grande crisi recessiva che ancora attanaglia l’economia occidentale. Sta accadendo ancora oggi con il più noto marchio del merchandising porta a porta (Amazon), con i servizi aeroportuali (Ryan-air) e sta estendendo le sue metastasi alla produzione agroalimentare, dominata da colossi finanziari che con il cibo non c’entrano quasi più nulla, come il Gruppo Bolton che domina in Italia il commercio di pesce inscatolato (compreso quello per animali).

“Tempesta perfetta sui mari”, raccoglie interventi di Bologna già apparsi su riviste specializzate, blog, siti online assieme a interviste, commenti o traduzioni di altri autori che, analizzando le derive della logistica via mare, denunciano il peso eccessivo che la finanza esercita prelevando rendite parassitarie dall’economia reale. Gli stessi padroni del web (Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google) che appare come il settore maggiormente innovativo, privilegiano nelle loro strategie di mercato la finanza all’innovazione. Nel settore dello shipping, – lo spostamento di merci via mare – come una marea il capitale ha travolto con i suoi scambi colossali ogni altra forma di trasporto, ridisegnando i porti, i moli e gli scenari del lavoro di carico e scarico sulla dimensione dei grandi container. Poi, quando l’onda si è ritratta, sono rimasti i detriti: quelli più leggeri sono riusciti a ritornare a galla, i più pesanti sono rimasti sul fondo come relitti.

In mare, l’insostenibile pressione della finanza mette a rischio di naufragio – oltre ogni metafora economica – anche imbarcazioni d’avanguardia, ma costrette ad affrontare tempeste reali trascurando ogni misura di prudenza, per rispondere ai tempi e ai ritmi disumani che il capitale può imporre. Bologna ci dà anche spunti di storia, letteratura e cinema. Offre una recensione del documentario “The forgotten space” di Allan Sekula e Noël Burch, presentato a Venezia nel 2010, che descrive la globalizzazione mostrando la corsa dei container da un continente all’altro. Cita i Buddenbrooks di Thomas Mann, la famiglia della borghesia mercantile di Lubecca decaduta nel corso di quattro generazioni. Ricorda l’importanza della marineria nella storia dell’umanità, ma – come sottolinea anche Pier Paolo Poggio nel suo commento storico – specifica che nelle espansioni dell’occidente, nel Mediterraneo prima, verso i nuovi mondi poi, la cultura materiale, il saper fare, le tecniche, furono nobilitate soprattutto quando gli scambi permisero un reciproco aumento di “ricchezze” che diedero luogo a trasformazioni lente dei quadri ambientali, fisici e mentali in cui si è forgiata l’umanità (p.153). Nella prefazione, Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale, precisa che i ragionamenti di questi libro fanno comprendere come il vero dramma di questa tempesta sia in fondo un dramma umano. L’errore fondamentale che ha portato a forme di shipping insostenibili eppure sovrafinanziate all’inverosimile è stato quello di pensare che il settore potesse crescere in modo “disumano”. Tuttavia, prescindere dall’umanità del mondo, dei porti, delle fabbriche e dei magazzini non è stato solo eticamente sbagliato, è stato un errore strategico e gestionale.

Sergio Bologna suggerisce, insomma, che di fronte a chi vanta la dimensione colossale delle grandi navi – o la lunghezza eccessiva dei treni che dovrebbero attraversare i tunnel “abbassando i costi” – bisogna sempre chiedersi a quali condizioni questi costi si riducono e dove, invece, i costi salgono assieme ai rischi economici e di sicurezza (ne parla in queste pagine anche Claudio Cancelli, discutendo delle merci pericolose trasportate sui treni). L’autore ricorda anche che sulla questione della linea ferroviaria Torino-Lione, il Piano Generale dei Trasporti 1998-2001 espresse l’opinione chiara che non fosse una priorità: “formulazione che poteva essere interpretata come ‘è un’opera inutile’” – precisa anzi Bologna (p. 27).

Ad aggiungere chiarezza sul tema dei rischi, fra le diverse parti che compongono il libro vi è un capitolo, “Nonsoloconcordia”, di riflessioni sugli incidenti in mare come quello del dicembre 2014 occorso al traghetto Norman Atlantic andato a fuoco per 72 ore nel canale di Otranto con 500 persone a bordo (11 morti e 18 dispersi). Vi sono inoltre le dettagliate relazioni su incidenti navali, come quello del portacontainer Jupiter Indian Ocean, incagliatosi nel porto di Amburgo nel febbraio 2016 per un’avaria al timone, o come il periglio vissuto mentre superava una tempesta in Terra del Fuoco, raccontato con grande dignità da Francesco Amerigo Perasso da Chiavari, comandante di un trealberi, nel maggio 1907.

Desideriamo ricordare qui la tragedia della torre dei piloti di Genova, avvenuta la notte del 7 maggio 2013 per l’impatto tra la motonave Jolly Nero (il nome Jolly indica la capacità della nave di adattarsi rapidamente a carichi e trasporti diversi) e la torre sul molo del porto. Quella notte, durante la manovra di uscita verso Napoli, mentre procedeva di poppa accompagnata da due rimorchiatori in attesa di ruotare ed uscire dal porto di prua, la portacontainer ha urtato e abbattuto la torre piloti di 54 metri causando 9 morti e 4 feriti. Una perizia del 18 luglio 2013 ha provato che la nave, con alcuni strumenti guasti, stava andando eccessivamente veloce. Pare che anche il telegrafo di macchina non funzionasse per cui le comunicazioni con i marittimi, in gran parte russi, erano affidate ai cellulari e walkie talkie. Era in avaria anche il contagiri del motore, che non permetteva quindi di verificare la reale velocità della nave.
Non si trattò insomma di un guasto improvviso e inatteso perché la Jolly Nero aveva difetti agli apparati di propulsione e di governo, anche se una settimana prima aveva superato un controllo accurato in Spagna. Sul processo che ha visto lo scorso maggio in primo grado le condanne da 4 a 10 anni per i principali imputati, incombe il fantasma dei report ammorbiditi sulle navi pericolose eseguiti dagli enti che avevano la funzione di controllo, il Rina (Registro navale italiano) e la capitaneria di porto. Il Giudice per le indagini preliminari ha definito “evanescenti” le possibilità d’una prevenzione concreta degli incidenti, in un contesto di accertamenti falsificati come quello della Jolly Nero.
È lecita allora la preoccupazione per i troppi documenti ammorbiditi, per la variante di cantiere in Valsusa per esempio, di cui parla Mario Cavargna in questo numero. Una nave come la Jolly Nero, ma anche un treno come quello carico di GPL passato per Viareggio, non sarebbero mai dovuti partire, ma c’era un carico da spostare, costi per l’attesa, ricavi fondamentali per le merci da consegnare.

L’incidente della Jolly Nero è avvenuto nonostante fosse scortata da due rimorchiatori. Non tutti gli armatori sostengono volentieri i costi di rimorchio delle loro navi in porto tanto che esistono premi per i marittimi se riescono a evitarli. Pratiche pericolose come queste sono incontrollabili. Fra le tante cause di incidenti nei traghetti, Bologna cita il rizzaggio (ancoraggio) dei veicoli mal gestito per la fretta o per imbarcare più carico, e le dichiarazioni frequentemente contraffatte di materiali infiammabili non dichiarati che possono portare a incendi ed esplosioni in alto mare (come accaduto alla MSC Flaminia nel 2013 in mezzo all’Atlantico, p. 89). Ne tengano conto coloro che lavorano per la gestione della sicurezza nei trasporti marittimi e ferroviari – scrive Bologna – e pensino anche ai costi necessari e ai tempi per la manutenzione, per il controllo di efficienza degli strumenti e per la cura dei passeggeri e delle loro merci. La pretesa di efficienza non va determinata solo sulla velocità e sulla quantità dei prodotti in transito. Un’intera filiera di valori, saperi e diritti associati al trasporto delle merci non può essere cancellata per poter vantare chilometri di inebriante velocità, a solo conforto della speculazione e dell’imaginario malato di chi crede nella crescita infinita.

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