SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 301 DEL 19/07/18

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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 301 DEL 19/07/18

INDICE

  • Le “Frequently Asked Questions” di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights! – N.27
  • Tutela delle condizioni di lavoro: mobbing e straining
  • Sicurezza sul lavoro: dal 1° luglio sanzioni più care
  • Lavoratori anziani: invecchiamento, lavoro a turni e lavoro notturno
  • Ancora infortuni negli ambienti confinati
  • Storie di infortunio: fuori dal tunnel
  • Quando a cadere è un lavoratore anziano

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

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LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO – KNOW YOUR RIGHTS! – N.27

Nella mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.

In qualche caso invece le richieste che mi pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a domande su temi molto specifici e limitati.

Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia newsletter.

Ovviamente, per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.

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Ciao Marco,

una volta parlando mi sembrava mi avessi accennato che c’erano delle prescrizioni in merito al peso massimo sollevabile manualmente (esempio da parte dell’INAIL).

Se sì, mi puoi per favore dire quali?

Grazie

Ciao,

in realtà non esiste una prescrizione unica sul peso massimo (o meglio sulla massa limite) da sollevare, ma una procedura di valutazione normata (norma ISO 11228-1:2007, citata dal D.Lgs. 81/08 e quindi a tutti gli effetti con valore legislativo) che, tenendo conto dei seguenti parametri:

  • massa reale del carico;
  • massa di riferimento (funzione del genere e dell’età dell’operatore);
  • frequenza di sollevamento;
  • durata delle attività di sollevamento;
  • fattori posturali (distanza tra braccia e torso, angolo di torsione del busto, altezza iniziale e finale del carico da sollevare, ecc.);

definisce un indice di rischio dell’attività, da confrontare con dei limiti di accettabilità.

In merito a tale valutazione, la norma citata fissa come “masse di riferimento” i seguenti valori:

  • maschi adulti (18 ÷ 45 anni): 25 kg;
  • femmine adulte (18 ÷ 45 anni), maschi giovani (< 18 anni), maschi anziani (> 45 anni): 20 kg;
  • femmine giovani (< 18 anni), femmine anziane (> 45 anni): 15 kg.

Attenzione però che questi non sono i valori massimi della massa da sollevare, ma i valori “accettabili” per il lavoratore in condizioni ottimali del parametri sopra citati.

Scostandosi da tali condizioni, i valori “accettabili” e quindi le masse sollevabili senza creare potenziali problemi diminuiscono anche di notevoli entità.

Marco

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Ciao Marco ,

ti devo disturbare nuovamente per delle delucidazioni sulle elezioni RLS.

Nell’Azienda dove lavoro, il RLS ha finito il suo mandato e non intende ricandidarsi. I lavoratori con la RSU a questo punto vogliono portare avanti il discorso del RLS Territoriale, ma l’Azienda spinge per una figura che diciamo è “dalla sua parte” e peraltro non è componente RSU.

In passato un nostro collega non era stato accettato nonostante i lavoratori lo avessero votato all’unanimità, perchè non era un componete della RSU, quindi avendo creato un precedente, possiamo non accettare quella candidatura di comodo per l’Azienda?

Ti ringrazio anticipatamente e come sempre buon lavoro.

Ciao,

è bene chiarire che l’elezione del RLS è un diritto e una facoltà dei lavoratori di una qualunque azienda. Non è quindi un dovere o un obbligo. Soprattutto l’azienda non deve in nessun modo intromettersi nella elezione del RLS.

In merito al fatto che il RLS debba essere eletto all’interno della RSU il D.Lgs. 81/08 è molto chiaro.

Per azienda con più di 15 lavoratori come la tua, l’articolo 47, comma 4) stabilisce infatti che:

Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze, il rappresentante è eletto dai lavoratori della azienda al loro interno”.

Inoltre il CCNL Metalmeccanica del 26/11/16, alla Sezione IV Titolo V “Ambiente di lavoro” all’articolo 1 “Ambiente di lavoro Igiene e sicurezza”, comma e), specifica che:

In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza secondo quanto previsto dall’accordo interconfederale 22 giugno 1995 in applicazione dell’articolo 18 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 (attuale articolo 47, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, come modificato dal D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106)”.

A sua volta l’accordo Interconfederale 22 del giugno 1995 tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL sul Rappresentante per la Sicurezza alla Parte prima “sicurezza”, dispone che:

All’atto della costituzione della RSU il candidato a rappresentante per la sicurezza viene indicato specificatamente tra i candidati proposti per l’elezione della RSU.

La procedura di elezione è quella applicata per le elezioni delle RSU.

Nei casi in cui sia già costituita la RSU ovvero siano ancora operanti le rappresentanze sindacali aziendali, per la designazione del rappresentante per la sicurezza si applica la procedura che segue.

Entro novanta giorni dalla data del presente accordo il/i rappresentante/i per la sicurezza è/sono designato/i dai componenti della RSU al loro interno.

Tale designazione verrà ratificata in occasione della prima assemblea dei lavoratori”.

Di conseguenza l’elezione di un RLS non appartenente alla RSU non è legale, né legittimo.

I lavoratori hanno piena libertà di non eleggere nessun RLS. In quel caso il suo ruolo è svolto in tutto e per tutto dal RLS Territoriale, secondo quanto disposto dall’articolo 47, comma 8 del D.Lgs. 81/08:

Qualora non si proceda alle elezioni previste dai commi 3 e 4, le funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono esercitate dai rappresentanti di cui agli articoli 48 [RLS Territoriali] e 49 [RLS di Sito Produttivo, ma non è il tuo caso]”.

Il RLST esercita la sua funzione come fosse il RLS aziendale e ne ha le stesse attribuzioni, in forza dell’articolo 48, comma 1 del D.Lgs. 81/08:

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale di cui all’articolo 47, comma 3, esercita le competenze del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di cui all’articolo 50 e i termini e con le modalità ivi previste con riferimento a tutte le aziende o unità produttive del territorio o del comparto di competenza nelle quali non sia stato eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.

In definitiva l’azienda è bene che stia attenta a “sponsorizzare” lavoratori di comodo al ruolo di RLS poiché vi potrebbero ricorrere gli estremi di attività antisindacale.

In ogni caso il lavoratore di comodo non facendo parte della RSU non può essere eletto, secondo D.Lgs. 81/08 e secondo CCNL, come RLS.

I lavoratori sono liberi di non eleggere il RLS e di scegliere così di essere rappresentati dal RLST.

Un caro saluto.

Marco

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Ciao Marco,

volevo sapere se in caso di designazione di RLS, senza la ratifica nell’assemblea dei lavoratori, tale nomina ha valore ai fini della comunicazione dell’azienda all’INAIL?

Il CCNL di riferimento dell’azienda in cui lavoro, è quello dell’Industria Chimica del 15 ottobre 2015, in cui si specifica all’articolo 65, lettera a) che i RLS possono essere eletti all’interno della RSU (e non della RSA, come invece prescrive il D.Lgs. 81/08, che però demanda a sua volta alla contrattazione collettiva).

Il CCNL continua dicendo che: “Tale designazione verrà ratificata in occasione di una assemblea dei lavoratori convocata dall’RSU.”

Quindi se le disposizioni per l’elezione del RLS vengono fornite nell’articolo 47 del D.Lgs. 81/08 (se pur demandando ai CCNL di riferimento), nell’articolo del D.Lgs. 81/08 si afferma che: “il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori”, quindi che sia eletto direttamente dai lavoratori o che sia designato con ratifica assembleare, è una emanazione della volontà espressa dai lavoratori.

Per cui, dal punto di vista procedurale si può definire che le modalità di elezione diretta dai lavoratori ha una valenza nell’esercizio del diritto dei lavoratori di eleggere direttamente i propri rappresentanti RLS, mentre la designazione o nomina RLS tra le rappresentanze sindacali elette come RSU, si esplica un esercizio di scelta indiretto, che comunque tali designazioni sono soggetti a ratifica assembleare da parte dei lavoratori in quanto elettori.

In conclusione, la mancata ratifica in assemblea dei lavoratori degli RLS, designati nell’ambito della RSU, non ha valore procedurale ai fini della comunicazione INAIL da parte dell’azienda?

Ti ringrazio per la risposta.

Ciao.

Ciao,

Concordo in pieno con la tua analisi.

Metto in evidenza che il D.Lgs. 81/08 è legge dello Stato e che ogni altro testo normativo da esso esplicitamente richiamato ha quindi valenza di legge dello Stato.

Il D.Lgs. 81/08 non definisce in dettaglio le modalità di elezione del RLS limitandosi a fissare la regola che per aziende fino a 15 lavoratori il RLS viene eletto direttamente dai lavoratori al loro interno, mentre per aziende sopra i 15 lavoratori egli viene eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda (ma in assenza di tali rappresentanze, il RLS è eletto dai lavoratori della azienda al loro interno).

Non potendo (o meglio non volendo) entrare nel dettaglio delle modalità di elezione dei RLS, il D.Lgs. 81/08 rimanda ai singoli CCNL, affermando all’articolo 47, comma 5, che:

Il numero, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l’espletamento delle funzioni sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva”.

Pertanto quanto affermato dal CCNL dell’Industria Chimica del 15 ottobre 2015 (“Tale designazione verrà ratificata in occasione di una assemblea dei lavoratori convocata dall’RSU”) ha carattere vincolante ex lege.

Il RLS eletto in difetto rispetto a quanto fissato dal CCNL (in questo caso senza la ratifica dei lavoratori in assemblea), risulta pertanto eletto in difetto rispetto a quanto fissato dal D.Lgs. 81/08 e di conseguenza tale elezione non ha efficacia, né ha valore la comunicazione dell’azienda all’INAIL del nominativo del lavoratore.

Un saluto.

Marco

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NOTA

Nel testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti acronimi e termini:

ASL = Azienda Sanitaria Locale

CCNL = Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro

DPI = Dispositivi di Protezione Individuali

DVR = Documento di Valutazione dei Rischi

DUVRI = Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in appalto

OS = Organizzazioni Sindacali

RSPP = Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione

ASPP = Assistente al Servizio di Prevenzione e Protezione

RLS = Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza

RSA = Rappresentanze Sindacali Aziendali

RSU = Rappresentanze Sindacali Unitarie

D.Lgs. 81/08 o Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)

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TUTELA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO: MOBBING E STRAINING

Da Studio Cataldi

https://www.studiocataldi.it

26/06/18

di Francesco Pandolfi

Sintesi delle regole di base e nozioni per la protezione del diritto alla salute del dipendente in ambito lavorativo

In forza di un’espressa disposizione di legge (articolo 2087 del Codice Civile), sull’imprenditore ricade lo specifico obbligo di adottare tutte quelle misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale di chi lavora con lui e per lui: si tratta di una regola generale e fondamentale, posta dal Codice a presidio del rapporto di lavoro; le misure necessarie per conseguire le tutele possono variare in funzione della particolarità del lavoro, dell’esperienza e della tecnica.

In pratica il datore di lavoro non deve porre in essere iniziative idonee a ledere i diritti fondamentali del dipendente, ad esempio favorendo condizioni lavorative eccessive e stressanti.

Può accadere che situazioni di conflitto tra datore e dipendente in ambito lavorativo conducano alla compromissione dell’equilibrio psico-fisico di chi, in quel rapporto, patisce quale soggetto debole le conseguenze stressogene di queste tensioni.

Nel caso in cui il conflitto lavorativo abbia generato un danno a carico della vittima, documentato e potenzialmente risarcibile, a quel punto bisogna chiedersi se la condotta riprovevole sia da etichettare come “mobbing” o come “straining” e se, in un processo, quel danno possa essere concretamente individuato, definito, accertato, quantificato e infine liquidato.

Queste due nozioni (mobbing e straining) hanno una matrice medico legale e, in occasione dei processi per l’accertamento della condotta e del danno derivante dalle vicende conflittuali dette, vengono utilizzate dalle Corti per argomentare e motivare le sentenze: non è che le due nozioni siano importanti in quanto tali, ma solo perché servono in causa a misurare il grado di offensività della condotta datoriale e gli effetti che si riverberano sulla persona-bersaglio.

Stando a queste nozioni provenienti dal mondo medico, lo straining consiste in una forma attenuata di mobbing, nella quale non si nota il carattere della continuità delle azioni vessatorie come potrebbe per esempio accadere in caso di demansionamento, dequalificazione, isolamento o privazione degli strumenti di lavoro.

In buona sostanza, se la condotta nociva si realizza con un’azione unica e isolata, o con più azioni però prive di continuità allora si è in presenza di straining: si tratta di un comportamento in grado di innescare una situazione stressante, a sua volta documentabile e quindi potenzialmente risarcibile in termini economici (ad esempio: isolamento ripetuto, cambiamenti di mansioni, attacchi alla reputazione della persona, minacce di violenza o rappresaglie, posizione di inferiorità).

E’ risaputo che la reattività delle persone varia. Per esempio a carico di taluni può sorgere un disturbo psico-somatico, psico-fisico o psichico: le condotte stressogene in ambito lavorativo, messe in atto dal datore contro il dipendente, possono essere sanzionate in sede civile previa applicazione del richiamato articolo 2087 del Codice Civile, così come possono anche essere perseguite in sede penale se ne ricorrono i presupposti.

Per altre informazioni su questo argomento, contatta l’avvocato Francesco Pandolfi:

328 60 90 590

avvfrancesco.pandolfi66@gmail.com

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SICUREZZA SUL LAVORO: DAL 1° LUGLIO SANZIONI PIU’ CARE

Da Studio Cataldi

https://www.studiocataldi.it

26/06/18

di Lucia Izzo

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro rivaluta dell’1,9% le ammende e sanzioni pecuniarie per chi contravviene alla normativa su igiene, salute e sicurezza sul lavoro.

Le ammende previste con riferimento alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal D.Lgs. 81/08, nonché da atti aventi forza di legge, saranno rivalutate, a decorrere dal 1° luglio 2018, nella misura dell’1,9%.

Lo ha stabilito il Decreto Direttoriale 12/18 del Capo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e riguardante, per l’appunto, la “Rivalutazione sanzioni concernenti violazioni in materia di salute e sicurezza”.

Dal prossimo mese, dunque, vi saranno sanzioni più aspre in presenza di inadempimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Si tratta del secondo aumento quinquennale stante la previsioni del menzionato D.Lgs. 81/08, come modificato dal D.L. 76/13 (il cosiddetto “pacchetto lavoro”) che ha previsto la novità.

In pratica, a seguito delle modifiche introdotte da tale Decreto Legge, convertito dalla L.99/13, il comma 4-bis dell’articolo 306 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che le ammende previste con riferimento alle contravvenzioni in materia di igiene salute e sicurezza sul lavoro e le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente decreto nonché da atti aventi forza di legge sono rivalutate ogni cinque anni con Decreto del Direttore Generale della direzione generale per l’attività ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in misura pari all’indice ISTAT dei prezzi al consumo previo arrotondamento delle cifre al decimale superiore.

La stessa norma aveva aggiunto che, in sede di prima applicazione, la rivalutazione sarebbe avvenuta, a decorrere dal 1° luglio 2013, nella misura del 9,6%, mentre delle successive rivalutazioni quinquennali si sarebbe occupato un Decreto Direttoriale.

E’ stato il Ministero del Lavoro, in una nota dello scorso 19 aprile, a individuare nell’Ispettorato Nazionale del Lavoro l’organo che si sarebbe occupato di tali rivalutazioni. Da qui origina dunque il provvedimento in esame che, dal 1° luglio 2018, prevede una rivalutazione pari all’1,9%.

Per effetto di tale modifica, considerando a titolo esemplificativo le violazioni punite con più aspre pene pecuniarie, il datore di lavoro che dimentica di compiere la valutazione dei rischi oppure omette di nominare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) potrà incorrere in un’ammenda da 2.792,06 a 7.147,67 euro in luogo della forbice attuale (fino al 30 giugno 2018) che va da 2.740 a 7.014,40.

I rivalutati importi delle sanzioni si applicheranno alle violazioni commesse esclusivamente dal 1° luglio 2018 fino al 30 giugno 2023 e non riguarderanno gli accertamenti commessi in precedenza, posto che la rivalutazione si avrà “automaticamente” tenendo a riferimento il momento di commissione della violazione e senza applicazione di alcun arrotondamento.

Il Decreto Direttoriale 12/18 del Capo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro è scaricabile all’indirizzo:

https://www.ispettorato.gov.it/it-it/notizie/Documents/DD-n-12-del-06062018-rivalutazione-sanzioni-in-materia-di-salute-e-sicurezza.pdf

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LAVORATORI ANZIANI: INVECCHIAMENTO, LAVORO A TURNI E LAVORO NOTTURNO

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

31/05/18

di Tiziano Menduto

Un intervento si sofferma sul rapporto tra invecchiamento lavorativo, lavoro a turni e lavoro notturno. Le conseguenze del lavoro a turni, i problemi del sonno e i risultati degli studi sul deterioramento della salute.

Un’indagine europea del 2000, ormai con diversi anni sulle spalle, ma ancora significativa, ha rilevato come solo il 24% della popolazione attiva europea sia impegnata in orari “normali” o “standard” (dal lunedì al venerdì con inizio tra le 07 e le 08 e fine tra le 17 e le 18) mentre il 76% dei lavoratori sia impegnato in orario di lavoro “atipici”, ossia lavoro a turni e lavoro notturno, lavoro a tempo parziale, lavoro nel week-end, settimana di lavoro compressa, orari prolungati e straordinari, turni spezzati, lavoro a chiamata e altre forme di organizzazione del tempo di lavoro. E altre indagini successive hanno individuato una crescente diversità nelle ore di lavoro settimanali tra i 31 paesi europei, che vanno da una media di 34 ore nei Paesi Bassi a 55 ore in Turchia.

Quale può essere l’impatto delle anomalie orarie lavorative in termini di salute di una forza lavoro che tende ad invecchiare?

A fornire questi dati e a rispondere a questa domanda è un contributo, dal titolo “Invecchiamento al lavoro e lavoro a turni” a cura di Giovanni Costa (Medico del lavoro della Clinica del Lavoro Devoto di Milano), presente nel libro “Aging E-book, il Libro d’argento su invecchiamento e lavoro”, un libro curato dal gruppo “Invecchiamento e lavoro” della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP).

Il contributo si sofferma innanzitutto sull’invecchiamento come fattore di rischio e presenta alcune specifiche indicazioni sul rapporto tra invecchiamento e lavoro a turni e notturno.

A questo proposito si ricorda che il lavoro a turni, e quello comprendente il lavoro notturno in particolare, richiede alle persone di lavorare in orari che sconvolgono la loro vita in termini di sincronizzazione sia biologica che sociale.

Sono fornite anche informazioni riguardo agli effetti e breve e lungo termine:

  • a breve termine, questi cambiamenti temporali interferiscono con l’equilibrio psico-fisico (ritmi circadiani, ciclo sonno/veglia), l’efficienza della prestazione (vigilanza, errori, incidenti) e le relazioni famigliari e sociali;
  • a lungo termine, il lavoro in turni comprendenti la notte costituisce un importante fattore di rischio per la salute in termini di diversi disturbi e malattie psicosomatiche, gastrointestinali, psiconevrotiche, cardiovascolari e, probabilmente, anche neoplastiche, che si traducono in elevati costi economici e sociali per l’individuo, l’impresa e la società.

In ogni caso l’impatto del lavoro sulla salute è influenzato da molti fattori intercorrenti, che includono sia l’organizzazione degli orari dei turni, i carichi di lavoro, le condizioni sociali, le strategie di adattamento e vari fattori individuali, tra i quali l’invecchiamento (Costa 2003, Costa e Di Milia 2008, Härmä 1996).

In particolare si ricorda che l’età critica in cui si cominciano a evidenziare problemi di disadattamento o di intolleranza nei riguardi del lavoro notturno è intorno ai 50 anni. E ciò è dovuto sia a fattori cronobiologici che a condizioni psico-fisiche e sociali.

Se PuntoSicuro si è occupato recentemente, con un’intervista al professor Sergio Garbarino, del tema della qualità del sonno, il contributo di Giovanni Costa si sofferma proprio sul rapporto tra i problemi del sonno e l’invecchiamento.

Si indica che l’invecchiamento è associato a un più difficile aggiustamento dei ritmi circadiani delle funzioni biologiche ai cambiamenti di orario di lavoro, con maggiore incidenza e gravità di disturbi del sonno e ridotta tolleranza per orari di lavoro prolungati, come nel caso dei turni di 12 ore (Aguirre e altri 2000, Bourdouxhe e altri 1999).

Si segnala poi che la difficoltà nel raggiungere un’adeguata regolazione dei ritmi circadiani dipende da una serie di fattori, ad esempio da:

  • un indebolimento del sistema circadiano derivante da variazioni molecolari e funzionali nel nostro orologio biologico interno (nuclei soprachiasmatici ipotalamici), che lo rendono meno sensibile alla luce (Bliwise 1999) con conseguente maggior suscettibilità alla desincronizzazione interna (Van Good e Mirmiran 1986, Czeisler e altri 1992, Van Someren 2000);
  • una progressiva tendenza verso una anticipazione nella giornata dell’attivazione psicobiologica (“mattutinità”);
  • un aggiustamento circadiano più lento nel corso di successivi turni di notte (Härmä e altri 1994);
  • una durata e qualità del sonno ridotta con un conseguente aumento della sonnolenza durante le ore di veglia.

In particolare vi sono evidenze che indicano che l’efficienza della vigilanza e della performance dei lavoratori più anziani risente maggiormente del processo “omeostatico” del sonno (cioè della durata del precedente periodo di veglia) rispetto al processo “circadiano”, in confronto ai lavoratori più giovani.

In definitiva dal punto di vista psicofisico, il deterioramento della salute con l’aumentare dell’età può essere più pronunciato nei turnisti che nei lavoratori giornalieri a causa della stanchezza cronica connessa ai problemi di sonno (Koller 1983, Härmä 1996, Brugère e altri 1997). E una riduzione della durata fisiologica, un risveglio anticipato e una ridotta qualità del sonno portano a un sensibile aumento della sonnolenza e necessità di pisolini durante il giorno per le persone anziane.

Sono poi riportate ulteriori prove e studi che collegano il deterioramento del sonno con l’invecchiamento e si ricorda che, secondo alcuni studi epidemiologici, il rischio relativo di malattia coronarica è maggiore del 40% nei lavoratori a turni rispetto ai giornalieri, in generale, ma sale al 60% negli uomini e al 300% nelle donne di età compresa tra 45 e 55 anni.

Si cita poi uno studio italiano sulla capacità di lavoro (Costa e Sartori 2007) che rileva una più significativa diminuzione dell’indice WAI (il Work Ability Index) nei turnisti rispetto ai giornalieri e più anticipato nelle donne turniste rispetto agli uomini. E si ricorda che dal punto di vista cronobiologico, si devono anche considerare le possibili interazioni tra funzioni con scale temporali diverse, che possono aumentare la complessità del quadro. Ad esempio, sia le funzioni con ritmicità a ciclo molto breve o “ultradiana” (attività cerebrale e cardiovascolare), sia quelle a ciclo giornaliero o “circadiano” (ritmo sonno/veglia, temperatura corporea, secrezione ormonale), sia quelle a ciclo lungo o “infradiano” (ciclo mestruale, invecchiamento) impattano tutte sulla vigilanza, sull’efficienza delle prestazioni, sulla fatica e sul benessere psico-fisico. E le varie interazioni possono produrre risultati diversi a seconda della fase relativa e del peso specifico di ciascun fattore in relazione all’età. E le interazioni possono chiaramente variare in relazione alle caratteristiche peculiari dei singoli, dei gruppi e delle condizioni di lavoro in esame.

Concludiamo rimandando alla lettura integrale del contributo che riporta anche le possibili azioni da intraprendere in materia di occupazione dei lavoratori anziani con particolare riferimento ai lavoratori turnisti.

Il documento “Aging E-book, il Libro d’argento su invecchiamento e lavoro”, libro curato dal gruppo “Invecchiamento e lavoro” della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP) è scaricabile all’indirizzo:

https://www.ciip-consulta.it/index.php?option=com_phocadownload&view=file&id=1:aging-ebook&Itemid=609

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ANCORA INFORTUNI NEGLI AMBIENTI CONFINATI

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

07/06/18

Esempi di infortuni avvenuti in vari ambienti confinati: pozzi di accesso a depositi interrati di biocombustibile, pozzetti di ispezione della fognatura e camere di raccordo tra fognatura comunale e collettore consortile.

Sappiamo che sono molti gli incidenti di lavoro che avvengono ogni anno nelle reti fognarie, nelle canalizzazioni e nei pozzi, specialmente in presenza di spazi confinati e di atmosfere pericolose che non vengono rilevate.

Per questo motivo torniamo nuovamente a parlare nel nostro giornale di infortuni gravi e mortali in questi ambienti lavorativi e riportiamo anche un po’ di informazioni generali sulla prevenzione degli infortuni che possono avvenire negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati.

Anche in questo caso per la raccolta dei casi di infortunio utilizziamo le schede di INFOR.MO., un importante strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso che presentiamo riguarda un infortunio in un deposito di biocombustibile.

Un lavoratore è stato trovato all’interno di un pozzo di accesso al deposito interrato di biocombustibile (gusci di noci) che alimenta la centrale termica di una casa di riposo. L’infortunato, ispezionando il serbatoio, aveva deciso di agevolare la caduta del materiale accumulato sui fianchi della cisterna verso la coclea centrale utilizzando un badile. Mentre effettuava l’operazione perdeva conoscenza e decedeva per asfissia.

Nell’ambiente sotterraneo era presente un’elevata concentrazione di monossido di carbonio dovuto a un ritorno di fumi dalla caldaia verso il deposito della biomassa attraverso la coclea di carico. Un fenomeno imputabile alla modifica dell’impianto realizzata qualche anno prima e che ha introdotto un tratto della tubatura “a sifone” tra caldaia e camino.

La mancata pulitura periodica del tubo ha determinato il malfunzionamento dell’impianto di scarico dei fumi.

Questi i fattori causali individuati dalla scheda:

  • impianto di tiraggio fumi poco efficace a causo di tratto monossido di carbonio;
  • ambiente saturo di monossido di carbonio.

Il secondo caso riguarda un infortunio nel raccordo tra fognatura comunale e collettore consortile.

Due lavoratori devono procedere all’impermeabilizzazione delle pareti di una cameretta di raccordo tra fognatura comunale e collettore consortile. Durante tali operazioni effettuate con una pennellessa, gli addetti vengono intossicati dalle esalazioni altamente nocive dei prodotti chimici utilizzati, vernici epossidica e solvente; sono stati ritrovati privi di sensi all’interno della cameretta dai colleghi arrivati successivamente.

I fattori causali:

  • vernice non adatta al lavoro svolto in luogo confinato;
  • DPI idonei non forniti.

Il terzo caso riguarda un infortunio in un pozzetto di ispezione della fognatura.

Un operaio, con un collega, ha il compito di riparare l’imboccatura di un pozzetto di ispezione della fognatura industriale e in particolare si occupa della sostituzione dei chiusini in ghisa e del rifacimento delle basi in cemento, deteriorate dal tempo, in un cantiere aperto sul ciglio di un fiume, in aperta campagna.

Secondo quanto riferito successivamente dal collega, i lavori erano nella fase di saldatura del nuovo anello in plastica. Per eseguire la saldatura a caldo veniva utilizzata una pistola/estrusore di cui la parte finale cadeva sul fondo del pozzetto di fognatura. Volendola recuperare, avevano deciso di entrare con le gambe nel pozzetto per circa 50 cm appoggiando i piedi su di un supporto/profilo presente sul perimetro interno dell’elemento conico terminale e da quella posizione raccoglierlo con un badile. Si è appurato che il supporto/profilo citato si trova a circa 1,2 m dal bordo superiore e non a 50 cm del pozzetto (che ha una profondità di 270 cm e un diametro di 100 cm).

Per sicurezza, l’infortunato prima di entrare si vincolava con una corda avvolta attorno alla vita e assicurata a un ramo di un albero poco lontano. A questo punto il collega chiede all’infortunato di attendere prima di entrare nel pozzetto per dargli il tempo di andare a prendere le maschere facciali e il badile che si trovavano sul camion aziendale posto a una decina di metri. Quando giungeva al mezzo sentiva l’infortunato chiamarlo e, giratosi verso il pozzetto, non lo vedeva più. Accorreva per soccorrerlo trovandolo svenuto e sospeso con il busto e la testa in avanti sospeso completamento dentro al pozzetto alla corda a cui si era vincolato e che a sua volta era andata in tensione.

La posizione assunta dal corpo esamine non permetteva di superare l’imboccatura del pozzetto (diametro 60 cm) e quindi il suo recupero. Col cellulare chiamava allora dei colleghi che giunti dopo circa 15 minuti, riuscivano ad estrarre il lavoratore e a praticargli le manovre per la rianimazione. Probabilmente l’infortunato ha subito un’intossicazione da idrogeno solforato.

I fattori causali rilevati:

  • maschera antigas con riserva d’aria non fornita;
  • ingresso in un pozzetto per recuperare una pistola/estrusore senza maschere facciali.

Per concludere questo breve viaggio fatto dal nostro giornale intorno agli infortuni nei pozzi, nelle reti fognarie e negli spazi confinati correlati, ci soffermiamo su alcuni Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) utilizzabili in questi ambienti, segnalando, innanzitutto, che il materiale e l’equipaggiamento da utilizzare dipende comunque dai rischi rilevati, dal tipo di impianto/di ambiente in cui opera e dalle misure di protezione da adottare.

Ad esempio nel documento “Sicurezza nei lavori all’interno di pozzi, fosse e canalizzazioni”, pubblicato da Suva, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni, si indica che i lavoratori e il gruppo di lavoro devono poter disporre del seguente equipaggiamento:

  • respiratori indipendenti dall’aria circostante per la sosta in atmosfera pericolosa e per gli interventi di salvataggio: sono adatti gli apparecchi che alimentano l’utilizzatore con aria non proveniente dall’atmosfera circostante, ossia apparecchi non autonomi (respiratori a presa d’aria esterna assistiti e quelli ad aria compressa alimentati dalla linea) oppure apparecchi autonomi (autorespiratori a circuito aperto e autorespiratori a rigenerazione); per gli interventi in canalizzazioni si raccomanda di mettere a disposizioni apparecchi autonomi (ossia apparecchi alimentati con bombole) infatti lavorando in canalizzazioni tortuose o usando tubi di presa d’aria o di alimentazione lunghi esiste altrimenti il pericolo che il tubo rimanga impigliato;
  • autorespiratori d’emergenza (autosalvatori) per il salvataggio e la fuga (apparecchi a circuito aperto ad aria compressa e apparecchi a rigenerazione) per sostare in canalizzazioni e per prestare il primo soccorso sul posto: gli autorespiratori d’emergenza (autosalvatori) sono concepiti esclusivamente per un’immediata evasione da zone pericolose e per la prestazione dei primi soccorsi sul posto e non è consentito usarli per lavorare; apparecchi adatti sono quelli che funzionano in modo indipendente dall’aria circostante e hanno un’autonomia di 15–30 minuti, mentre non è ammesso l’uso di maschere a filtro;
  • cintura di salvataggio o indumento di sicurezza provvisto di occhiello incorporato all’altezza della nuca: gli indumenti di sicurezza con occhiello incorporato all’altezza della nuca sono indicati esclusivamente come un mezzo di salvataggio; nei casi d’intervento, la fune di salvataggio viene agganciata nell’occhiello dell’indumento di sicurezza e il sollevamento dell’infortunato avviene, per esempio, con un apposito elevatore provvisto di dispositivo di blocco dello scarrucolamento automatico; queste apparecchiature possono essere usate anche per entrare in ambienti ristretti;
  • indumenti da lavoro appropriati: gli indumenti da lavoro allacciati evitano di sporcarsi e di riportare possibili infezioni; per rendersi ben visibile agli utenti della strada è bene indossare indumenti di colore vistoso;
  • scarpe appropriate: le scarpe di sicurezza devono offrire una buona stabilità ed essere impermeabili (per esempio stivali di gomma);
  • guanti: guanti appropriati servono a proteggere le mani da ferite e dal contatto con sostanze nocive e acque inquinate;
  • casco di protezione: il casco protegge la testa contro specifici pericoli, ad esempio, per caduta di materiale oppure per contatto o urto con elementi fissi od oggetti;
  • protezione degli occhi: quando si è esposti al pericolo di lesioni agli occhi da schegge, spruzzi di sostanze pericolose, ecc., occorre proteggere gli organi della vista;
  • protezione dell’udito: quando si è esposti a rumore pericoloso per l’udito occorre usare protettori auricolari appropriati, per esempio cuffie antirumore con apparecchio ricetrasmittente incorporato.

E se si devono temere scivolamenti all’interno di canalizzazioni con il pericolo di essere trascinati via dall’acqua, bisogna usare una fune di trattenuta.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo sono state presentate le schede numero 2798, 3556 e 4012, è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

Il documento “Sicurezza nei lavori all’interno di pozzi, fosse e canalizzazioni”, pubblicato da Suva, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni, è scaricabile all’indirizzo:

https://www.suva.ch/-/media/produkte/dokumente/4/4/8/24260-1–44062_i_original_24260–d–pdf.pdf?lang=it-CH

Nota Bene.

I riferimenti legislativi contenuti nei documenti di Suva riguardano la realtà svizzera, i suggerimenti indicati possono essere comunque di utilità per tutti i lavoratori.

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STORIE DI INFORTUNIO: FUORI DAL TUNNEL

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

12/06/18

Un infortunio avvenuto a due lavoratori che stavano facendo alcuni lavori di manutenzione su una turbina della centrale: l’incidente e le raccomandazioni di prevenzione.

Pubblichiamo la storia “Fuori dal tunnel” a cura di Walter Lazzarotto, Servizio PreSAL della ASL di Novara, tratta dal repertorio delle “Storie d’infortunio” rielaborate dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, e raccolte nel sito del Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte (Dors).

COSA E’ SUCCESSO

Durante la manutenzione di una centrale idroelettrica, una rapida depressurizzazione ha provocato la proiezione del coperchio di una turbina che ha colpito gravemente al capo Ettore un operaio che si trovava nelle vicinanze che ha riportato una prognosi di 164 giorni, e ha ferito lievemente a una mano e a una spalla Achille, un suo collega.

CHI E’ STATO COINVOLTO

Ettore e Achille sono due lavoratori italiani di 43 e 46 anni: Achille è un operatore esperto che lavora da diversi anni presso questa ditta e ha anche realizzato l’impianto, Ettore invece ha meno esperienza e stava assistendo il collega.

DOVE E QUANDO

L’infortunio è avvenuto nell’autunno del 2013, in tarda mattinata verso le undici e mezza nei pressi di un edificio, un vecchio mulino, all’interno di un parco dove è stata realizzata una centrale idroelettrica che sfrutta il salto d’acqua presente in un canale irriguo.

CHE COSA SI STAVA FACENDO

Ettore e Achille dovevano effettuare la manutenzione dell’impianto approfittando dello svuotamento temporaneo del canale che fornisce l’acqua. Dopo aver sostituito le catene del sistema di sgrigliatura, i due operai sono intervenuti sulla turbina della centrale dove dovevano sostituire un giunto rotante (o distributore).

“La turbina era ferma e con il canale vuoto da lunedì di questa settimana, così mi sembra”. ha affermato uno dei due operai.

Per accedere alla turbina, hanno aperto una parte di griglia di protezione tagliando alcuni punti di saldatura e sono entrati nel tunnel che aveva un diametro di circa due metri. Hanno quindi smontato prima il bulbo idrodinamico in vetroresina e poi il coperchio che sigilla da possibili infiltrazioni di acqua il corpo che contiene le parti meccaniche ed elettriche della turbina. Il coperchio del diametro di 75 cm e con una massa di circa 75 kg è tenuto in sede da 20 viti a testa cava esagonale in acciaio inox posizionate lungo il suo perimetro. Dato il peso elevato, i due lavoratori hanno prima agganciato il coperchio a un gancio posto nella parte superiore del tunnel tramite un paranco a catena e poi hanno iniziato a smontare le viti sul perimetro del coperchio mantenendone quattro avvitate per tenerlo in posizione. Achille svitava le viti ed era in ginocchio davanti alla turbina e le passava a Ettore che era dietro di lui in piedi.

A UN CERTO PUNTO

Improvvisamente le quattro viti rimaste si sono spezzate e il coperchio è stato proiettato fuori dalla sua sede con un movimento a pendolo poiché era agganciato al paranco. Il coperchio ha colpito i due operai: Achille che era accovacciato mentre smontava le viti è stato colpito a una mano e alla spalla, mentre Ettore che era in piedi alle spalle del collega è stato colpito al busto e alla testa.

Achille ha dichiarato: “Prima di iniziare a svitare le viti abbiamo fissato il coperchio a un paranco agganciato alla volta del canale. Improvvisamente il coperchio, nonostante fosse ancora tenuto da quattro viti, è partito con violenza verso di noi colpendo me alla mano e alla spalla e il mio collega nella parte alta del busto. Quando ho riaperto gli occhi mi sono trovato sdraiato nel canale insieme al mio collega che era privo di sensi. Ho provato a svegliarlo e quando ha ripreso i sensi sono uscito dal canale e ho chiamato i soccorsi”.

COSA SI E’ APPRESO DALL’INCHIESTA?

All’interno della turbina, per evitare infiltrazioni di acqua, viene mantenuta una pressione di circa 1,5 bar. Il sistema di pressurizzazione è controllato tramite un compressore situato nella sala controllo posta nel vecchio mulino. Tuttavia, per eseguire le operazioni di manutenzione è necessario che l’impianto non sia in pressione. Per assicurarsi che fosse così, Achille, prima di entrare nel tunnel, aveva dato una veloce occhiata al quadro comandi della sala controllo e gli era sembrato di vedere che il manometro della pressione della turbina indicasse zero, condizione necessaria per svolgere i lavori di manutenzione.

Così ha dichiarato: “Prima di mettere mano sulla turbina sono andato nel locale di comando posto, sull’altro lato del mulino, per controllare il manometro della pressione dell’impianto. Rimanendo sulla scala di accesso guardando il manometro posto sopra la cassetta di metallo dove sono poste le valvole dell’impianto ad aria compressa ho verificato che l’impianto era quasi a zero. Non ho spento il compressore né ho aperto o chiuso alcuna valvola in quanto visto la pressione così bassa ho pensato che, visto che l’impianto era fermo da alcuni giorni, qualcun altro avesse svuotato l’impianto di pressurizzazione. Poi sono tornato nel canale della turbina e abbiamo iniziato a smontare la flangia, e poi come ho già dichiarato è avvenuto l’incidente. Preciso che l’impianto lo conosco bene perché l’ho montato io, e so bene qual è il manometro da controllare, quindi ipotizzo che o io abbia letto male il manometro oppure che lo stesso era bloccato per dello sporco o qualcosa del genere e non segnava la giusta pressione. Queste sono le uniche spiegazioni che riesco a trovare. La turbina non è normale che sia in pressione all’interno, anzi normalmente facciamo fatica a estrarre il coperchio a causa delle guarnizioni di tenuta. Lavoro da diversi anni facendo manutenzioni alle turbine degli impianti idroelettrici e non è mai successo niente di simile”.

La pressione, che era invece di 1,5 bar, ha prodotto una forza sul coperchio sufficiente a spezzare le quattro viti rimaste e a proiettare il coperchio fuori dalla propria sede. Il sistema di fissaggio del coperchio con il paranco alla volta del tunnel ha ridotto il raggio di proiezione del coperchio limitando la forza di impatto contro i due lavoratori.

Sicuramente Achille ha avuto un comportamento superficiale nel controllare la pressione della turbina probabilmente anche a causa della perfetta conoscenza dell’impianto che lui stesso aveva realizzato. Questo comportamento è stato possibile probabilmente anche a causa di un inefficace sistema di trasferimento delle informazioni tra le parti coinvolte nei lavori di manutenzione. Il responsabile della ditta di manutenzione in collaborazione con il committente non ha predisposto un sistema che prevedesse il passaggio delle informazioni sui rischi presenti e soprattutto sullo stato del sito di lavoro, affidandosi esclusivamente a comunicazioni verbali e alla conoscenza dell’impianto da parte dei lavoratori.

RACCOMANDAZIONI

Le normative tecniche sulle manutenzioni prevedono l’utilizzo di uno strumento semplice ma efficace per la trasmissione delle informazioni sui rischi delle attività da svolgere, denominato “permesso di lavoro” come definito dalle norme UNI EN 10148 e UNI EN 10449.

In tale documento il committente indica i rischi specifici nell’ambiente in cui l’assuntore dovrà operare e le operazioni preliminari all’esecuzione dei lavori (UNI EN 10148 punto 3.1).

In pratica il committente autorizza l’accesso all’area di lavoro informando in che stato è il sito e se ci sono delle operazioni preliminari da attuare prima della manutenzione, considerando anche altri soggetti coinvolti come ad esempio il gestore del canale per quanto riguarda il controllo delle acque.

Il D.Lgs. 81/08 all’articolo 69 definisce l’uso di una attrezzatura di lavoro come qualsiasi operazione lavorativa connessa a una attrezzatura di lavoro, quale la messa in servizio o fuori servizio, l’impiego, il trasporto, la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, il montaggio, lo smontaggio. Il successivo articolo 71 al comma 3 impone al datore di lavoro, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro di adottare adeguate misure tecniche e organizzative, tra le quali quelle dell’allegato VI. Nello stesso allegato si evidenziano i punti:

  • Le attrezzature di lavoro devono essere installate, disposte e usate in maniera tale da ridurre i rischi per i loro utilizzatori e per le altre persone, ad esempio facendo in modo che vi sia sufficiente spazio disponibile tra i loro elementi mobili e gli elementi fissi o mobili circostanti e che tutte le energie e sostanze utilizzate o prodotte possano essere addotte e/o estratte in modo sicuro.
  • Le operazioni di montaggio e smontaggio delle attrezzature di lavoro devono essere realizzate in modo sicuro, in particolare rispettando le eventuali istruzioni d’uso del fabbricante.

Inoltre, la particolarità del luogo, fa rientrare tali lavorazioni nel campo di applicazione del D.P.R. 177/11 (Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati), tale norma prevede una serie di adempimenti specifici per le aziende che operano in ambienti confinati, tra i quali rientrano tutte le indicazioni riportate anche in precedenza:

  • formazione specifica e addestramento;
  • informazione dettagliata sulle caratteristiche dei luoghi e tutti i rischi esistenti negli ambienti confinati;
  • adozione di una procedura di lavoro specificamente diretta a eliminare i rischi propri delle attività in ambienti confinati;
  • misure di prevenzione e di emergenza.

COME E’ ANDATA A FINIRE

Nell’inchiesta si sono evidenziate responsabilità a carico del committente e del datore di lavoro dei due infortunati per le carenze sopra indicate.

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QUANDO A CADERE E’ UN LAVORATORE ANZIANO

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

14/06/18

di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni correlati all’attività di lavoratori anziani e al rischio di caduta dall’alto. Infortuni in smontaggi di ponteggi, nella pavimentazione di una villa e nella potatura. Valutazione dei rischi e misure di prevenzione generali.

In buona parte dei paesi europei, anche per le modifiche apportate alle politiche pensionistiche, il numero dei lavoratori ultracinquantenni è destinato ad aumentare. E i lavoratori più “anziani” diventeranno, in parte lo sono già ora, un segmento ancora sempre più rilevante della forza lavoro.

Proprio in relazione a questa situazione, sottolineata anche dalle recente campagna europea 2016-2017 “Ambienti di lavoro sani e sicuri a ogni età”, la nostra rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto degli infortuni professionali, ha intrapreso un breve viaggio attraverso alcuni infortuni di cui sono vittima i lavoratori anziani, benché spesso per fattori causali non dipendenti o non direttamente dipendenti dall’età.

Dopo aver parlato, in una scorsa puntata, degli infortuni nel comparto agricolo, ci soffermiamo oggi su alcuni infortuni correlati al rischio di caduta dall’alto.

Per la raccolta delle dinamiche di infortunio utilizziamo le schede di INFOR.MO., un importante strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda un infortunio in attività di smontaggio di un ponteggio all’altezza del quarto piano di una palazzina.

Gli elementi smontati venivano poggiati su forche sospese collegate alla gru per la movimentazione. E un lavoratore anziano, risultato pensionato, si trovava su una pedana in lamiera zincata senza alcuna protezione verso il vuoto (montanti, correnti e parapetti).

In tale situazione di equilibrio precario ed instabile, in quanto la pedana è risultata sganciata dai cavalletti e pertanto pronta per essere rimossa, l’assenza di protezioni ha fatto sì che lo stesso perdeva l’equilibrio perché la pedana su cui sostava era traballante, precipitando sul castelletto posizionato al secondo piano da un’altezza di circa sette metri. Nella caduta urtava violentemente su un tubo in ferro, a sostegno del castelletto, che lo lacerava all’altezza dell’addome.

I fattori causali rilevati dalle schede:

  • errato smontaggio ponteggio;
  • mancato uso di cintura di sicurezza collegata a fune di trattenuta;
  • pedana in lamiera traballante e priva di protezioni.

Il secondo caso è relativo ad un infortunio avvenuto nella pavimentazione di una villa in ristrutturazione.

Un imprenditore edile in pensione è assunto da tre giorni per effettuare la pavimentazione. Alle otto di mattina si reca in cantiere e sale al primo piano dell’edificio, posizionandosi su uno dei balconi, forse per spostare del materiale con la gru, forse per i tombini posti sotto al balcone o le guaine da collocare sul tetto.

E’ ipotizzabile che avendo avuto un colpo di tosse molto forte (come riportato dai testimoni) si sia sporto troppo dal balcone e poiché le assi messe a protezione non erano state ancora fissate coi morsetti, non lo hanno trattenuto ed egli è caduto da un’altezza di circa 2,7 metri. A causa della caduta ha riportato una frattura della teca cranica e diversi traumi (rottura del bacino e ematomi interni); i danni riportati sono risultati più gravi perché l’infortunato è caduto su una pila di tombini accatastati sotto il balcone. Lo stoccaggio del materiale in cantiere è risultato al momento del sopralluogo molto confusionario.

I fattori causali individuati:

  • attrezzatura anticaduta mal sistemata;
  • tombini stoccati sotto l’impalcato.

Il terzo caso è relativo ad un infortunio in agricoltura.

Un anziano agricoltore va nel suo campo dove sono presenti solo vecchie piante di melo e sale su una scala per tagliare in alto alcuni rami di un melo.

Improvvisamente si rompe il ramo dove la scala è appoggiata e sia la scala che l’infortunato cadono al suolo da un’altezza di circa 2 o 3 metri.

Nell’impatto l’agricoltore riporta fratture alle costole e alle vertebre cervicali in seguito alle quali, per sopraggiunte complicazioni, muore qualche tempo dopo.

Il fattore causale rilevato è l’errore di posizionamento della scala: l’agricoltore aveva appoggiato la scala contro un ramo e non contro il tronco dell’albero.

Questo breve viaggio tra gli infortuni gravi e mortali di lavoratori anziani ci permette di soffermarci ancora una volta su elementi e aspetti generali utili al miglioramento della gestione della salute e sicurezza dei lavoratori ad ogni età.

Riprendiamo alcune indicazioni dal libro “Aging E-book, il Libro d’argento su invecchiamento e lavoro” curato dal gruppo “Invecchiamento e lavoro” della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP) e ricco di spunti per l’identificazione e valutazione dei rischi correlati all’età dei lavoratori.

Nel libro si fa riferimento ad una serie di indicazioni fornite dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) per una valutazione dei rischi “attenta all’inclusione”. Sono forniti, a esempio, alcuni esempi di misure di prevenzione che potrebbero avvantaggiare l’intera forza lavoro:

  • adeguamenti dei locali o delle postazioni di lavoro (per accogliere lavoratori disabili, anziani ecc.), per esempio installando rampe di accesso, ascensori, interruttori di illuminazione e scalini bordati di una vernice chiara ecc.;
  • adozione di strumenti più ergonomici (adattabili alle specificità di ciascun lavoratore); in tal modo il lavoro o il compito possono essere svolti da una gamma più ampia di lavoratori (donne, lavoratori anziani, persone di bassa statura ecc.), per esempio rendendo necessaria una minore forza fisica;
  • fornitura di tutte le informazioni in materia di salute e di sicurezza in formati accessibili (allo scopo di renderle più comprensibili ai lavoratori immigrati);
  • elaborazione di metodi e di strategie per mantenere in attività in particolare i turnisti anziani; tali strategie avvantaggeranno tutti i lavoratori (indipendentemente dall’età) e renderanno il lavoro a turni più accettabile per i nuovi dipendenti.

Questi, invece, utili suggerimenti e orientamenti preventivi e relativi a vari rischi da ambienti di lavoro:

  • eliminare o ridurre l’esposizione ad ambienti troppo caldi o freddi, preferibilmente al di sotto dei livelli di attenzione;
  • in caso di riduzione di acuità visiva, della percezione della distanza degli oggetti, della distinzione tra colori scuri molto simili e maggior sensibilità agli abbagliamenti: miglioramento della illuminazione, applicare contrasti di colore e illuminazione supplementare radente e/o localizzata, eliminazione di abbagliamenti e riflessi;
  • in caso di difficoltà di accomodazione, riduzione del 20-30% del campo visivo: caratteri o schermi più grandi, per i videoterminali generalmente è preferita una collocazione dello schermo più bassa (è opportuno un braccio regolabile);
  • attenzione alle lenti progressive sulle scale; importante per alcune attività specchi retrovisori multipli, anche per l’artrosi cervicale che limita la rotazione della testa;
  • eliminare o ridurre l’esposizione a sostanze tossiche, preferibilmente al di sotto dei livelli di attenzione;
  • in caso di difficoltà a percepire o comprendere suoni soprattutto in ambienti rumorosi: riduzione dell’esposizione a rumore sin dall’inizio dell’attività onde evitare la sommazione di effetti con la presbiacusia; amplificazione di allarmi sonori e/o segnalazioni luminose supplementari; cura nella scelta di otoprotettori non eccessivamente attenuanti per non isolare completamente il lavoratore da allarmi e comunicazioni;
  • eliminare o ridurre l’esposizione a vibrazioni, preferibilmente al di sotto dei livelli di attenzione;
  • in caso di segnalazioni sonore non udibili: amplificazione di allarmi sonori e/o segnalazioni luminose supplementari.

Facciamo, in conclusione, riferimento al documento INAIL dal titolo “Lavorare negli anni della maturità – Invecchiamento attivo, salute e sicurezza dei lavoratori ultracinquantenni”, a cura di Valeria Rey, Giancarlo Sozi e Maria Castriotta.

Nel documento si ricorda che, riguardo agli infortuni professionali, gli studi indicano che sebbene i lavoratori più anziani incorrano in un minor numero di infortuni, i danni riportati sono generalmente più gravi e richiedono un maggior tempo di recupero. Inoltre, anche la tipologia di danno risulta differente a seconda dell’età: i più giovani tendono a ferirsi più alle mani o agli occhi, mentre la schiena è il punto più debole dei lavoratori in età avanzata. Per tutti, invece, scivolate, inciampi e cadute restano le cause più comuni di infortunio in tutti i settori, dal lavoro pesante a quello di ufficio.

Questi, infine, i danni e le malattie tipicamente riportate dai lavoratori anziani:

  • cadute, dovute a scarso equilibrio, tempi di reazione ridotti, problemi di vista o mancanza di concentrazione;
  • storte e strappi dovuti alla perdita di forza, resistenza e flessibilità;
  • danni cardiopolmonari dovuti a sovrasforzo, perdita di tolleranza agli sbalzi di temperatura, lavori svolti ad elevate altitudini o all’interno di spazi angusti;
  • patologie quali diabete, cancro, osteoporosi, problemi alle coronarie e ipertensione;
  • effetti dell’accumulo di vari danni subiti nel corso degli anni.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo sono state presentate le schede numero 6064, 5920 e 3201, è consultabile all’indirizzo:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

Il documento “Aging E-book, il Libro d’argento su invecchiamento e lavoro”, libro curato dal gruppo “Invecchiamento e lavoro” della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP) è scaricabile all’indirizzo:

https://www.ciip-consulta.it/index.php?option=com_phocadownload&view=file&id=1:aging-ebook&Itemid=609

Il documento INAIL dal titolo “Lavorare negli anni della maturità – Invecchiamento attivo, salute e sicurezza dei lavoratori ultracinquantenni”, a cura di Valeria Rey, Giancarlo Sozi e Maria Castriotta è scaricabile all’indirizzo:

https://www.inail.it/cs/internet/docs/allegato_lavorare_negli_anni_della-maturita.pdf

 

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