LE ONDIVAGHE INIZIATIVE DELLA REGIONE LOMBARDIA SULL’AMIANTO

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Dopo aver cancellato parti importanti della normativa regionale sull’amianto (v. https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=6748 ) quasi a voler compensare quella scelta assurda la Regione Lombardia scopre (e si preoccupa finalmente) della presenza di amianto negli acquedotti.

Va premesso che, nel comune uso della lingua italiana (non sempre corrispondente all’uso normativo), tra gli obblighi stabiliti dalla LR 17/2003 vi era (e vi è) quello per cui i “soggetti pubblici e privati proprietari” devono “censire” (denunciare alle ASL) la presenza di materiali contenenti amianto in “edifici, impianti o luoghi”.
E’ pertanto pacifico che tale obbligo vale per tutti, dal proprietario di un pollaio con due lastre in eternit, all’azienda con tubi coibentati con amianto al gestore o al proprietario di un acquedotto in cui i tubi (realizzati negli anni ’50 – ’70) sono in cemento-amianto.
Questo per vari motivi di tutela :
a) per evitare che lavoratori addetti a interventi di manutenzione siano esposti all’amianto per non conoscerne la presenza;
b) per smaltire correttamente le parti sostituite;
c) per programmare la sostituzione delle parti di acquedotto più vecchie (e pericolose);
d) per eliminare l’esposizione dei cittadini che bevono tranquillamente acqua con amianto.

Questo obbligo è stato pressocchè disatteso e la regione Lombardia ha atteso di farlo valere (tardivamente rispetto agli obblighi che si è data con la LR 17/2003) dopo aver provveduto a … eliminare le sanzioni per chi non ha adempiuto al censimento.
Con nota del 1.10.2018 la Direzione Generale Welfare ha tolto dalla naftalina un obbligo precedente introdotto con la legge che ha introdotto il divieto dell’uso dell’amianto in Italia (la Legge 257/1992). Questa legge prevede, a carico dei datori di lavoro, la redazione di una relazione annuale (da mandare alle ASL) in cui devono essere indicati i nominativi degli esposti a lavorazioni con amianto, le quantità di amianto utilizzate ed altre informazioni.
Ovviamente, da quando il divieto di produzione è pienamente vigente, le uniche imprese che presentano tali relazioni sono quelle che effettuano le operazioni di bonifica (rimozione) dell’amianto.
Le aziende che hanno ancora manufatti in essere negli edifici industriali sono – anche ciò è pacifico nell’interpretazione delle norme – sottoposti unicamente agli obblighi di controllo, conservazione e valutazione periodica dello stato di degrado fino alla rimozione dei manufatti (DM 4.09.1994).
La Regione Lombardia ha dato una nuova interpretazione a una particolarità della Legge 257/92 che prevedeva l’obbligo di relazione annuale anche nel caso di “utilizzo indiretto” che la Lombardia definisce come “utilizzo determinato dalle attività di esercizio e manutenzione degli impianti operanti negli stabilimenti dove si svolgono le attività di impresa” richiamando un accordo Stato Regioni del 2016 che individua in questa fattispecie anche gli acquedotti finalizzata al completamento dei censimenti, a livello nazionale, sulla presenza di amianto.
Per logica conseguenza la regione dovrebbe imporre anche a tutti i datori di lavoro che utilizzano edifici contenenti manufatti in amianto di redigere la relazione annuale anche per l’utilizzo indiretto, ovvero la presenza in un luogo di lavoro (coperture inclusa) ma questo non è stato previsto.

La nota regionale “invita” i Comuni a procedere al censimento utilizzando l’applicativo regionale già in uso per i piani di lavoro per la rimozione dell’amianto fornendo le modalità d’uso, chiedendo l’inserimento dei dati entro il 28.02.2019.
Sarà sicuramente interessante, allora, conoscere la realtà (lombarda e non solo) degli acquedotti “amiantati” (per la Toscana ricordiamo https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=2170 ) e l’iniziativa è sicuramente positiva in sé, ma qualcuno dovrebbe spiegare il perché di un tale ritardo soprattutto in Lombardia quando l’obbligo di censimento era operante dal 2003 per scelta locale e non per “nuove interpretazioni” del Ministero della Salute (v. accordo Stato Regioni 20.01.2016).

Le ragioni per il censimento, come detto sopra, riguardano aspetti di sanità pubblica : nella ultima revisione delle proprietà cancerogene dell’amianto lo IARC (monografia 100C, 2009) conclude positivamente circa l’associazione tra amianto nell’acqua (quindi per una esposizione anche per ingestione e non solo per le vie respiratorie) e un eccesso di tumori allo stomaco e al colon.

Il tema della presenza dell’amianto nell’acqua potabile va comunque contestualizzato anche per evitare che, con tale motivazione, si finisca per affidarsi alle acque minerali (che hanno diverse controindicazioni).
La presenza di amianto, dovuta al rilascio di fibre dalla matrice cementizia, nell’acqua è normalmente estremamente bassa (a meno che l’acqua sia particolarmente acida ma in tal caso i manufatti non durerebbero molto e sarebbero da sostituire in tempi brevi), possiamo cercare di paragonare il rischio connesso alla presenza di amianto da tubature come paragonabile a quello dovuto alle fibre rilasciate dai tetti in eternit per effetto dell’erosione del cemento per vetustà e/o piogge acide. Basso ma non nullo e quindi una esposizione da tenere sotto controllo e da risolvere (bonificare) appena possibile e la tardività delle regioni (e degli enti gestori degli acquedotti) a partire dagli aspetti informativi è colpevole, ma questo non deve portare a criminalizzare l’acqua pubblica.

Per coerenza occorre che gli enti locali ove vi sono parti di acquedotto all’amianto effettuino analisi della presenza di fibre nell’acqua (questo parametro non è previsto nella normativa sulle acque ed esiste solo un limite per i suoli dei siti contaminati elevato come un limite per gli scarichi anch’esso elevato e inutilizzabile).

Il parametro amianto non è tra quelli oggetto della nuova direttiva europea sulle acque potabili in discussione così come non era tra i parametri “prioritari” contenuti nella direttiva 2013/39 (dove vi sono invece molte altre sostanze “rare” nelle acque sotterranee). Vi è ovviamente la differenza che si tratta di un contaminante non dovuto alla presenza della sostanza nella falda ma connesso alle condizioni dell’acquedotto, ma problemi analoghi vi sono anche per altre sostanze (solidi sospesi, parametri batteriologici, ossidi di ferro) che segnalano proprio uno stato inadeguato dell’acquedotto.

Invitiamo tutti a verificare la situazione nella propria realtà e a diffondere le informazioni sull’argomento.

Marco Caldiroli – Medicina Democratica Onlus

Per completare le informazioni :
allegato regione uso indiretto

accordo stato regioni 20 gennaio 2016

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