CANCEROGENI/MUTAGENI, E’ LA STRADA GIUSTA QUELLA DI FISSARE LIMITI DI ESPOSIZIONE PROFESSIONALE ?

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Così scrivevamo su Il Sestante del numero 231/232 della ns rivista https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=5289

Il tema della “accettabilità” di un limite di esposizione a sostanze cancerogene, in ambito professionale come in ambito generale, tiene occupati scienziati, legislatori e movimenti da anni.
Medicina Democratica si è sempre espressa chiaramente sull’argomento riprendendo il pensiero di Maccacaro : “c’è solo un MAC scientificamente accettabile ed è quello zero” , tema ripreso dall’OMS e dallo IARC secondo cui non vi è un livello di esposizione a un cancerogeno al di sotto del quale si possa dire che non vi sia rischio per l’uomo.
La discussione conseguente (e attuale) contestava tali affermazioni, al di là della solidità scientifica delle posizioni contrarie, l‘effetto concreto è stato quello di rinviare per decenni interventi preventivi risolutivi che avrebbero risparmiato molte vite umane (come nei casi più noti delle ammine aromatiche e dell’amianto). Se per questi due gruppi di sostanze è oramai innegabile l’effetto positivo della eliminazione dalle produzioni e dal consumo, per altre sostanze la strada appare ancora lunga (benzene, cloruro di vinile monomero, formaldeide, cromo esavalente, nickel per ricordarne alcune).
La attuale cornice della discussione sul MAC Zero per i cancerogeni è quella della attuazione dei regolamenti europei sulle sostanze chimiche (REACH) e sulla etichettatura delle sostanze pericolose (CLP).
Inoltre, recependo le normative europee sulla sicurezza sul lavoro sono stati introdotti anche in Italia dei limiti di esposizione (attualmente per circa 150) per sostanze pericolose e per alcuni agenti cancerogeni e mutageni (benzene, cloruro di vinile monomero, polveri di legno duro, amianto).
La proposta di direttiva del 10.01.2017 intende modificare la vigente direttiva sui cancerogeni professionali per introdurre 8 limiti per altrettante sostanze (tra cui il tricloroetilene – trielina, l’epicloridrina, l’etilene dibromuro e l’etilene dicloruro).
Nello stesso periodo i sindacati europei hanno presentato uno studio (redatto dall’European Trade Union Institute) in cui si propone la fissazione di limiti per 50 cancerogeni, scelti per quantità e modalità di utilizzo che interesserebbero l’80 % dei lavoratori esposti a cancerogeni (un numero stimato, per i paesi appartenenti alla UE, in ben 42 milioni).
Una esposizione che determina (stime al 2014) il 53 % delle morti lavoro-correlate in tutta la UE (102.500 morti l’anno, per l’Italia pari a 10.609 decessi), se l’amianto è ancora il principale fattore di morte (non solo per lavoratori, si stimano per l’UE decessi annuali per mesotelioma pari a circa 4.300 e altri 36.500 decessi per tumore al polmone asbesto-correlati) anche altre sostanze meritano attenzione come gli olii minerali, i fumi della combustione del gasolio, la silice, le radiazioni solari, il cromo e il piombo, gli idrocarburi policiclici aromatici, il tetracloroetilene, le polveri di legno duro, la formaldeide e le fibre di vetro.
Anche se lo studio sindacale parte dall’obiettivo di voler proteggere i lavoratori dei paesi ove le tutele sono meno forti e quindi spingere per interventi di miglioramento, nei paesi più avanzati una tale iniziativa rischia di inserire “un limite in più” rispetto a quelli esistenti e di fornire un alibi alle aziende (anche in sede processuale) per non intervenire per la sostituzione con sostanze meno pericolose o rendere completamente chiusi i cicli produttivi.
Viceversa quello che sarebbe necessario è una unione di tutte le forze europee per la rivendicazione del MAC Zero per le sostanze cancerogene (mutagene e teratogene) anche utilizzando quanto previsto nelle norme ed in particolare nel regolamento REACH. Se le lobbies industriali frenano e i tecnocrati europei se la prendono con calma solo la pressione dal basso può spostare l’iniziativa nell’interesse dei lavoratori e delle popolazioni esposte.

La direttiva di cui si parlava nell’articolo è la seguente direttiva 2398 2017

Come “promesso” dall’Unione Europea quella era solo la prima di una serie, pochi giorni fa, è arrivata la seconda :
direttiva 2019_130 cancerogeni

In questo caso sono stati fissati limiti per ulteriore 19 sostanze e sono stati rivisti i limiti (rendendoli più restrittivi per tre sostanze cui era già stato assegnato un limite : Polveri di legno duro; Cloruro di Vinile Monomero (CVM), Benzene).
Tra le sostanze “nuove” : i composti del cromo esavalente (galvaniche). le fibre ceramiche refrattarie (in alcuni casi usate in sostituzione dell’amianto), la silice cristallina (cave ecc), il tricloroetilene (la trielina smacchiatutto”), 1,3 butadiene (un intermedio per diverse materie plastiche), l’emissione dei gas di scarico dei motori diesel nonché altre sostanze meno conosciute ma non meno diffuse : epicloridrina, idrazina, MDA, l’1,2 dibromoetano, l’ossido di etilene, 1,2 epossipropano, l’acrillamide, il 2 nitropropano, due ammine aromatiche (orto-toluidina, 4,4metilendianilina), etilene dicloruro (DCE), miscele di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), oli minerali esausti da motori a combustione interna.

Va detto che le considerazioni poste in premessa alla direttiva (da recepire in Italia entro il gennaio 2021) cercano di smussare critiche come quelle del nostro articolo. In particolare si “ricorda” che i valori limite non pregiudicano gli obblighi dei datori di lavoro e, in primis, la riduzione della utilizzazione di agenti cancerogeni, la sostituzione “se tecnicamente possibile” con sostanze meno nocive, il ricorso a sistemi chiusi o altre misure volte a ridurre l’esposizione dei lavoratori.
Si ammette che “non è scientificamente possibile individuare livelli al di sotto dei quali l’esposizione non produrrebbe effetti nocivi” ma si afferma che introdurre dei limiti “contribuisce comunque a una riduzione significativa dei rischi derivanti” dall’esposizione.
Significativo (ma non condivisibile) cercare di distinguere tra cancerogeni “cattivi” (senza soglia) e cancerogeni “meno cattivi” (per i quali “è scientificamente possibile individuare livelli al di sotto dei quali l’esposizione non dovrebbe produrre effetti nocivi”). Questa distinzione (ben poco scientifica, a nostro avviso) fa ricordare la distinzione di pericolosità tra i diversi tipi di amianto che è servita per ritardare la definizione di norme per il divieto di uso degli asbesti in Italia (e, ancora oggi, in altri stati come l’USA, il Canada, la Russia, la Cina, il Brasile ecc). Per non dire di come su tali affermazioni “marceranno” tecnici, scienziati e avvocati al soldo dei padroni per negare giustizia agli esposti nelle sede penali.

Il più grave rischio a tutti i livelli (aziende, tribunali, sindacati, lavoratori, organi di vigilanza) è che ci si accontenti del rispetto di tali limiti (basta stare uno zero virgola sotto) per ritenere la situazione accettabile rinunciando all’obiettivo reale è che, nell’immediato, la riduzione dell’esposizione al livello più basso tecnicamente possibile (come affermato dalla normativa italiana prima del recepimento delle direttive europee sulla salute sul lavoro ancorate invece al ruolo dei limiti, non solo nel campo delle sostanze) e, subito dopo, nella eliminazione (livello zero) delle sostanze cancerogene e mutagene dai luoghi di lavoro e di vita.

Unica notizia “buona” è l’annunciata “parificazione” ai cancerogeni e mutageni professionali anche delle sostanze tossiche per la riproduzione (teratogeni), questa scelta determinerà comunque una “stretta” nel loro utilizzo e qualche strumento in più per eliminarli dai luoghi di lavoro (e quindi dalle merci e dai luoghi di vita).

Marco Caldiroli

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