SANITA’ NEL “FEDERALISMO DIFFERENZIATO”, L’AVANGUARDIA LOMBARDA NELLA PRIVATIZZAZIONE

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Riproponiamo il testo di Anna Tempia pubblicato sulla rivista web n. 3, ampliato e con la illustrazione degli acronimi che potevano risultare poco comprensibili.
Nella discussione che sta arrivando alla conclusione sul “federalismo differenziato” il tema della sanità è centrale nel distruggere le basi universalistiche (leggasi di uguaglianza) dell’accesso al sistema sanitario nazionale (che non sarebbe più nazionale, appunto).
Le giunte che si sono succedute in Lombardia hanno da 20 anni a questa parte indicato anche una “differenziazione” interna, a livello regionale, nei ruoli tra sanità pubblica e privata (a favore di quest’ultimo) e a una “differenziazione” di accesso alle cure.

IN RISPOSTA ALLE SOLLECITAZIONI DEL CONVEGNO „CAMPANE A MORTO SUL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE?“ Milano, 27 OTTOBRE 2018

DOVE VA LA SANITA‘ IN LOMBARDIA?
Perché é importante sostenere il ricorso al TAR contro la Dgr. 6551/2017.

(Anna Tempia, 16 novembre 2018)

Come cittadina particolarmente interessata a sostenere il servizio sanitario pubblico a copertura universalistica, sia a livello nazionale che in regione Lombardia, desidero richiamare l’attenzione su due appuntamenti importanti e molto ravvicinati, e lanciare qualche spunto per dimostrare che essi riguardano questioni strettamente intrecciate fra di loro, per i loro riflessi sull’impianto del servizio sanitario regionale nel suo complesso. Si tratta di:

a) Il pronunciamento del Tar della Lombardia sul ricorso presentato nel 2017, che ha chiesto la cancellazione della Delibera della Giunta regionale (DGR 6551/2017) che ha istituito i „Gestori“ per la presa in carico (PIC) dei cronici – e di altre DGR correlate. La prima udienza é stata fissata per il giorno 28 novembre 2018
b) La valutazione dell’articolazione in Agenzie per la Tutela sella Salute (ATS) e in Aziende Socio Sanitarie Teritoriali (ASST) del servizio sanitario e sociosanitario della Regione Lombardia, come disciplinato dal tit. 1 della l.r. 33/2009 a seguito delle modifiche introdotte dalla l.r. 23/2015.

Parto dal secondo punto, poichè si tratta di una questione che sembra caduta nell’oblio.
La Regione Lombardia con la l. r. n. 41/2015 ha disposto che „ l’articolazione in ATS e in ASST del SSR Lombardia, avviene per un periodo sperimentale di cinque anni, al termine del quale la Regione, in collaborazione con il Ministero della Salute, valuta i risultati della sperimentazione. La regione, in collaborazione con il Ministero della salute, effettua una prima verifica al termine del primo triennio di sperimentazione al fine di individuare eventuali interventi correttivi“.
Ricordo che con la l.r. 41/2015, la regione Lombardia aveva recepito i rilievi fatti dai Ministeri della Salute, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, e del Ministero della Giustizia sulla l.r n.23/2015 e conteneva varie disposizioni che impegnavano la Regione ad apporre modifiche. Per esempio si disponeva di sostituire il termine „Sistema sanitario e socio sanitario della Regione Lombardia“ con „Servizio Sanitario ecc.“
Direi che la regione Lombardia nell’esercizio delle sue funzioni che riguardano la cura della salute dei cittadini, permane nella scelta identitaria di considerare se stessa un sistema, tanto che lo scrive invariabilmente quando comunica con noi cittadini, utenti delle cure e delle prestazioni sanitarie. Ma noi cittadini, non avremmo maggior certezza di poter esigere, ora e in futuro, il diritto di essere curati se avessimo come interlocutore un servizio pubblico e non un sistema ?
Sono convinta che anche per gli operatori della sanità tutti, sarebbe dirimente avere la certezza che il loro lavoro „sta di casa“ in un servizio sanitario pubblico anziché in un „sistema sanitario“.

E qui veniamo alle ragioni di fondo che rendono nebulosi e insidiosi gli sviluppi di questo cosiddetto sistema e che ci richiamano anche al dovere della verifica e della valutazione delle ATS e delle ASST. Ne cito alcune:

– A) La scelta di non realizzare i servizi sanitari e socio sanitari territoriali previsti dalla l.r. 23/2015 e che rientrano nel governo dell’offerta, di competenza delle ASST.
Infatti i Presidi socio sanitari territoriali (PReSST) e i Presidi ospedalieri territoriali (POT), sono pochissimi, così come i servizi territoriali previsti dalla legge Balduzzi del 2011.
Se fossero stati attuati, potrebbero ora costituire la struttura portante per la PIC dei cronici, prevista dal Piano Nazionale della Cronicità del 2016 ?
Sarebbe verosimile aspettarselo, poiché nella Dgr 5113/2016 si prevedeva che le ASST avrebbero dovuto realizzare l’integrazione tra le reti (sanitaria, sociosanitaria e sociale) per attuare la PIC dei cronici e/o fragili . A questo proposito la stessa Dgr aveva avviato la costruzione della Rete integrata di continuità clinico assistenziale (RICCA), in capo alle ASST.
Invece la Regione ha scelto di affidare la PIC dei cronici e/o fragili ai Gestori, che sono un nuovo istituto creato con la dgr 6551/2017, quella contro cui é stato fatto il ricorso al TAR di cui sopra, dcisione che ha risvolti molto complessi come si vedrà anche nei punti successivi. L’insediamento dei Gestori, con relativa idoneità, é avvenuto a cura di ognuna delle 8 ATS. La DGR n.754 del 5 novembre 2018 ci ricorda che i Gestori (tra cui prevalgono le aziende e le società private, comprese le cooperative dei medici di base) sono affidati al monitoraggio e al controllo da parte delle ATS.
Potrebbero essere i Gestori a far partire i servizi territoriali PReSST e POT? No, perché la legge 23/2015 dice che „le ASST possono gestire i POT e i Presst direttamente, ovvero anche mediante la stipulazione di accordi tra le stesse e altri erogatori privati accreditati, validati dalla competente ATS“
Quello che il cittadino si domanda é : qual é il ruolo delle ASST, se poi al loro interno non comprendono tutta l’offerta, anche quella territoriale dei servizi sanitari e socio sanitari ? Sono state congelate nel ruolo di contenitori delle disciolte Aziende Ospedaliere e dei piccoli ospedali, ora sistemati nei POT e intesi come ospedali di comunità ?
Questi interrogativi hanno dei risvolti molto concreti perché riguardano anche i destinatari dei finanziamenti pubblici, oltre alle ricadute dei progetti. Vediamo ad esempio il caso del grosso investimento che arriva alla Lombardia dal Fondo sanitario nazionale di cui alla DGR n.XI/755 del 5 novembre 2018 („Approvazione dei progetti per l’utilizzo delle quote vincolate del fondo sanitario nazionale per la realizzazione di obiettivi prioritari e di rilievo nazionale per l’anno 2018“). Essa dispone lo stanziamento (biennale) di 141.681.609 euro (quasi il 70% del finanziamento ministeriale complessivo !!!) per realizzare un modello organizzativo per la PIC dei cronici che dalle reti di patologia passi alla costruzione delle reti clinico assistenziali, in modo da realizzare il Piano diagnostico terapeutico (PDT) condiviso e personalizzato per i pazienti con multicronicità.
Pare che con la strada scelta, quella dei Gestori, si parli semplicemente di PAI (piano assistenziale individuale), remunerato dalla Regione con 10 euro e di norma non più di una volta l’anno ( di durata del contratto con il gestore). E‘ così ?
Il cittadino immagina che in questo grosso progetto saranno coinvolti gli ospedali, poiché i beneficiari del progetto sono pazienti complessi che hanno bisogno di particolare assistenza ospedaliera ed extra-ospedaliera ma ci si domanda se nelle reti clinico assistenziali ci siano (ancora) dei servizi strutturati in modo permanente, tali da costituire i „nodi“ organizzativi portanti. E‘ noto infatti che la Regione Lombardia ha disinvestito dal finanziare molti servizi pubblici nel settore sanitario e socio sanitario, e che spesso sono i finanziamenti europei che sostengono vari progetti (per loro natura temporanei) in questo secondo ambito.
In sintesi il cittadino si domanda se ci sono le condizioni per produrre (anche con il denaro pubblico) dei servizi pubblici o se si stiano creando dei mercati a cui trasferire la produzione e l’erogazione di beni pubblici, come la cura della salute.

B) La modalità con cui la regione Lombardia ha scelto di realizzare la PIC dei cronici e/o fragili.
A differenza di altre Regioni che hanno scelto di innestare la PIC dei cronici nel tessuto del servizio sanitario pubblico esistente (in genere nei distretti delle ASL ) – che in un certo senso é così incentivato ad evolvere e a trovare occasione per rafforzarsi e migliorare la sua integrazione – la Regione Lombardia ha intrapreso una strada completamente diversa.
Ha deciso di esportare, per così dire, la PIC dei cronici e/o fragili (che si porta dietro un budget stimato nel 70% dell‘intero bilancio regionale destinato alla sanità), in capo ai Gestori. Si tratta di soggetti che nel panorama degli istituti finora preposti a curare la nostra salute non esistevano, perché ( pur essendo alcuni di loro dei soggetti noti, pubblici o privati già contrattualizzati con le ASL, ma in qualità di erogatori), quando operano in qualità di Gestori, instaurano rapporti giuridicamente „innovativi“ nel panorama del servizio pubblico. Ciò avviene sia nei confronti dei pazienti (con cui stipulano il patto di cura, che é un contratto di diritto privato), sia nei confronti dei fornitori delle prestazioni sanitarie di cui si avvalgono a favore dei pazienti „arruolati“, come scrivono le delibere. La natura di questi soggetti sembra quindi estranea alla nostra storia ed é molto più compatibile con sistemi sanitari non derivati dal modello Beveridge, pubblico e universalistico. A me sembra che siano più compatibili con sistemi sanitari di tipo assicurativo, soprattutto statunitensi.
Come e chi può gestire la compresenza di soggetti erogatori e di soggetti gestori, i primi preposti prevalentemente alla „medicina di attesa“ e i secondi candidati a mettere in piedi la „medicina di iniziativa“ ? La Regione, centralizzando le decisioni? Ciascuna delle 8 ATS ?
Il cittadino dall’esterno avverte che nella scelta di questa separatezza, c’é il rischio di avviare una macchina molto costosa, ma poco efficace e appropriata, che dovrà aumentare molto il personale addetto alle funzioni amministrative, gestionali e informatiche, e la telemedicina, a scapito degli operatori addetti alle cure mediche dirette rivolte ai pazienti.
Se poi consideriamo che nel sistema sanitario la partizione tra pubblico e privato si é ampliata progressivamente a danno del pubblico, aumenta nei cittadini il timore di veder implodere il sistema a causa delle prevedibili dinamiche perverse indotte dalla miscellanea di soggetti Gestori privati scelti dalla Regione per la PIC dei cronici e fragili ( tra cui assicurazioni, multinazionali,ecc). Tra di essi ci sono soggetti privati che hanno un potere di penetrazione sul mercato ben più incisivo delle cooperative di medici, che rientrano tra i gestori aziende private.

– C) L’adesione al modello regionale di PIC per i cittadini che vogliono ricevere cure per le loro malattie croniche (non in regime di solvenza) e /o per i soggetti fragili, ora viene decisamente indirizzata a far accettare ai pazienti di farsi curare dal Gestore.
Finora era sembrato possibile scegliere se avvalersi della Pic dei cronici o no. Molti medici di base sono molto critici su questa impostazione, così come i loro pazienti. Tuttavia un discreto numero di medici di base ha aderito come gestore alla PIC dei cronici diventando socio di una cooperativa di medici di base e sarà il clinical manager della sua cooperativa a fare il Piano di assistenza individuale (PAI) per il suo paziente, mentre sarà il care manager della cooperativa a garantirgli esami e terapie per la malattia cronica.
La DGR n.XI/754 del 5 novembre 2018, introduce novità importanti che superano alcune resistenza basate sul fatto che il paziente non voleva avere a che fare con due medici, il medico di base e il clinical manager del gestore per la patologia cronica. Ora questa delibera stabilisce che il medico di medicina generale (MMG) o il pediatra di libera scelta (PLS) in forma singola (si suppone il medico di base) può fare il clinical manager del suo paziente, cioé può fare il suo PAI, ma solo nel momento in cui contestualmente il paziente gli comunica il nome del Gestore con cui fa il contratto per ricevere le cure per la sua malattia cronica.
I medici di base che avevano inizialmente aderito alla PIC dei cronici come co-gestori (cioè come responsabili della redazione del PAI in collaborazione con il clinical manager del gestore, scelta che sembrava orientata a tutelare il paziente e ad aiutare il gestore a dare continuità alle cure), si sono trovati collocati d’ufficio (dalla del. 754/2018) nella categoria dei medici in forma singola e sono perfino esonerati dal fare domanda per esserne inclusi.
Se il paziente che aderisce alla PIC pensa che tutto sommato, nulla cambierà nella sostanza per curare la sua salute, si sbaglia e glielo ricorda la Deliberazione 754/2018 che ribadisce una cosa già nota: che le prestazioni previste dal suo PAI „ in una prima fase (che resta indeterminata) saranno remunerate secondo il metodo del finanziamento a prestazione e che successivamente…in applicazione dell’art. 9 della l.r. 23/2015, per alcune patologie ( ne sono citate solo 2, seguite da ecc.) si potrà procedere a definire una modalità di remunerazione onnicomprensiva delle prestazioni necessarie“. E‘ previsto dalle delibere che in regime di solvenza si possono ricevere ulteriori prestazioni. Tuttavia la delibera citata precisa che al clinical manager non verrà pagato (10 euro !!!) più di un PAI all’anno.
Ma il cittadino, malato cronico e/o fragile da chi potrà esigere il rispetto del diritto a ricevere i „Livelli essenziali di assistenza“ (LEA) previsti dal Ministero della Sanità a livello nazionale ?
Dalla Regione Lombardia ? Ma la Regione é responsabile della stratificazione della domanda e degli algoritmi che includono o escludono i malati cronici e/o fragili dai livelli delle patologie in cui vengono collocati ed é responsabile di deliberare i set di cura. Il compito della Regione sembra essere solo questo, insieme a quello di inviare alle ATS i nomi dei pazienti cronici già classificati e da mettere in contatto con i gestori.
Allora é l’ATS che é responsabile dei LEA, in quanto é l’ATS che deve garantire che il cittadino cronico abbia un PAI e deve monitorare e controllare il Gestore che lo applica?
Se sì, quale ATS? quella in cui risiede? Quella ATS che ha dato l’idoneità al Gestore a cui si rivolge, che può essere diversa da quella in cui risiede ? Infatti il gestore, reso idoneo in una ATS, seguendo la logica aziendale, può delocalizzarsi anche in altre ATS.

– D) Più in generale, la questione della esigibilità dei livelli essenziali di assistenza (LEA), in prospettiva può diventare una questione centrale per tutti i cittadini lombardi, non solo per i cronici.
Infatti, il modello della PIC dei cronici adottato in Lombardia può essere teoricamente trasponibile anche su altre categorie di persone da curare. Si parte con la stratificazione della „domanda“ ( cioé dei bisogni dei pazienti, a partire dalle cure loro erogate), con la definizione dei set di cura, si estraggono i pazienti designati, e li si indirizza a stipulare un contratto privato con una rosa di gestori dedicati.
Il cittadino percepisce chiaramente che il modello dei Gestori che si prendono in carico uno strato di malati – ora sono i cronici e/o fragili – é il primo esempio di stratificazione del diritto alla cura della salute.
Questa sembra essere la via lombarda per smontare un servizio sanitario pubblico dal punto di vista della domanda. Se poi consideriamo che con l’eccesso di privatizzazione dei servizi, anche l’offerta (soprattutto pubblica) viene svuotata e messa a rischio, il gioco é fatto .
Con quale ruolo delle ATS e delle ASST ? Di che cosa sono chiamate a rispondere verso i cittadini?

– E) Veniamo al ruolo svolto dalle ATS finora.
Le 8 neonate ATS, istituite dalla l.r. 23/2015 e appena insediate nel corso del 2016, hanno assolto nel 2017 il compito di ricevere e valutare le domande dei soggetti che si sono candidati a fare i Gestori della PIC dei cronici.
Fin dal 2017 ogni ATS ha assegnato l’idoneità a fare i Gestori della PIC dei cronici ad una serie di soggetti, alcuni nuovi ed altri noti in quanto già precedentemente contrattualizzati come erogatori. Sempre nel 2017 ogni ATS ha reso pubblico l’elenco degli erogatori di prestazioni sanitarie, con cui i Gestori stipulano contratti di avvalimento per procurarsi le prestazioni da offrire ai pazienti.
Una regia perfetta per creare la domanda e l’offerta di 8 mercati locali, sovvenzionati dal sistema pubblico ( regia che riguarda, come si diceva, il 70% circa del bilancio della sanità lombardo)?
Ne risulta che il cittadino abbia delle limitazioni nella scelta di chi gli eroga le prestazioni. Lo farà il gestore per lui. Non é più comodo per evitare le code ?
Con l’aver decentrato l’insediamento dei Gestori a ciascuna delle 8 ATS, la Regione ha abdicato al compito di garantire la distribuzione appropriata dell’offerta di servizi per la PIC su tutto il territorio regionale ? Si direbbe di sì.
I Gestori si sono collocati in ciascuna delle 8 ATS a seconda delle loro possibilità e convenienze e aspirano a prendere in carico i cronici del livello 3 (i meno gravi), quelli che già i medici di base curano abitualmente con l’appoggio delle reti di patologia, ma non in modo proattivo. Sono i casi più semplici con monopatologia cronica in fase iniziale e sono il gruppo più numeroso (il 58%). Più problematica é l’accettazione di pazienti del livello 2, che sono portatori di polipatologie croniche e costituiscono il 37,14% dei cronici. Già, perché il gestore é un soggetto che assume un obbligo a seguito di un contratto privato, e può valutare se prendere in carico o no il candidato malato cronico. Non parliamo dei cronici di livello 1 che sono i più gravi e complessi, con frequenti ospedalizzazioni. In tutte le regioni il problema più difficile da affrontare si pone quando occorre prendere in carico la cura dei malati cronici più gravi. In Lombardia, la scelta di affidarsi ai Gestori non ha assolutamente facilitato la soluzione di questo problema.
Tralasciamo il commento alle figure e alla natura dei Gestori resi idonei dalla Regione Lombardia, che costituiscono un coacervo di operatori su cui sono stati segnalati vari punti di allarme. Ricordiamo solo che oltre agli ospedali e agli IRCS pubblici e privati e a varie strutture sanitarie e sociosanitarie già contrattualizzate con le ASL, compaiono molti soggetti nuovi, tra cui: strutture di assistenza specialistica ambulatoriale e/o Servizi di medicina di laboratorio extraospedaliera, Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), centri privati che erogano Assistenza domiciliare integrata (ADI), assicurazioni, multinazionali, ecc..
Se consideriamo l’azione costante di contrazione e penalizzazione degli erogatori pubblici svolta dalla regione Lombardia a vantaggio di quelli privati, se consideriamo l’apertura senza precedenti alle assicurazioni private, se consideriamo l’enorme valore economico mobilitato dalla PIC dei cronici e/o fragili insieme con il fatto che la modalità scelta dalla Regione Lombardia per la presa in carico dei cronici e/o fragili amplia enormemente la spesa per funzioni amministrative e informatiche a danno degli investimenti sugli operatori addetti a prestare le cure dirette ai pazienti, si capisce perché siamo in presenza di un vero stravolgimento di quello che conoscevamo come servizio sanitario pubblico regionale.
Forse ne rimangono tracce in ciascuna delle 8 ATS ?
Forse la Regione Lombardia, che persevera nel presentarsi a noi cittadini nella veste di „sistema“, ci fa un onesto e sincero discorso perché ci sta comunicando che il suo compito di farsi garante di risposta al diritto alla salute, in una forma pubblica e universalistica, si sta di fatto dissolvendo ?
Si sa infatti che un sistema non é governabile, e che non può essere finalizzato, ma che ciò che lo qualifica é l‘esser fatto di parti che coesistono e si rapportano tra di loro in virtù di convenienze, di adattamenti reciproci e soprattutto di ampi gradi di autonomia, che sono incompatibili con qualsiasi forma di gerarchia.

Per concludere, ora dobbiamo aspettarci qualche spiraglio di chiarezza da:

– il Tar della Lombardia, che dovrebbe pronunciarsi sul ricorso contro la DGR 6551/2017 ( quella che ha istituito i Gestori) e contro altre DGR del 2017 relative alla PIC dei cronici. La prima udienza é fissata per il 28 novembre 2018.
– la valutazione delle ATS e delle ASST, in quanto considerate sperimentali.
Non vorrei scoraggiare il lettore che mi ha seguito fin qui, se informo che la l.r. 41/2015 é stata abrogata dalla legge regionale n.5 del 25 gennaio 2018, una legge di razionalizzazione legislativa che ha abrogato circa 200 tra leggi e norme regionali. Nel silenzio generale, anche la l.r. 41/2015 é caduta vittima della semplificazione legislativa, senza che avesse i requisiti previsti per la stessa l.r. 5/2018, definiti dai criteri per l’annullamento delle norme.
Tuttavia, alcune norme della 41/2015 sopravvivono e sono state inserite in una versione modificata della legge 23/2015. Le disposizioni che ho richiamato e che contengono l’impegno a valutare ATS e ASST, a tre e a 5 anni dal loro avvio, sono contenute nell’art. 1 bis della l.r. 23/2015 modificata. Credetemi.

Quindi, vogliamo provare ad estrarre dalla nebulosa del cosiddetto „sistema“ sanitario lombardo , un servizio sanitario pubblico che sia appropriato e dignitoso per chi ne usufruisce e per chi ci lavora?

L’incremento della popolazione anziana, su cui grava il peso di molte malattie croniche con i relativi costi, non giustifica lo stravolgimento di alcun sistema sanitario regionale pubblico in Italia, allo scopo di contenere i costi. In questi anni é entrata nella fascia anziana una popolazione numerosa costituita dai baby boomers del dopoguerra. Le coorti di età anziane successive saranno molto meno numerose. Quindi è privo di senso smantellare un bene pubblico prezioso come il servizio sanitario pubblico (per sostituirlo con un privato più costoso, anche per le casse pubbliche), in nome di un supposto disegno di contenimento della spesa. Occorrono provvedimenti ponte di razionalizzazione, che non intacchino la natura del servizio sanitario pubblico universalistico. Occorre anche investire di più per curare le malattie croniche della popolazione giovane e adulta, perché possono essere molto invalidanti ( e costose ) se non vengono affrontate tempestivamente con interventi appropriati e coordinati tra vari specialisti.

ANNA TEMPIA – Milano

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