SANITA’, SALUTE E LIBERAZIONE : UN NUOVO ORIZZONTE DOPO LA PESTILENZA DEL FASCISMO

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Quello che segue è un ipotetico comizio in una piazza da poco liberata e dove le diverse forze politiche antifasciste scaldano i motori per la successiva stagione di ricostruzione politica e morale del paese. Tra i temi quelli della sanità con la prima (settembre 1945 – vedi nota storica in fondo) proposta di Unità Sanitarie Locale realizzare solo nel 1978.
Anche se il comizio è ipotetico le situazioni e i dati riportati sono veri.
Buona lettura

UN NUOVO ORIZZONTE DI SALUTE DOPO LA PESTILENZA DEL FASCISMO

(Ipotetico comizio del CLN Alta Italia – primavera 1945 )

Compagne e compagni, cittadini e cittadine
Il fascismo ha rappresentato, nascondendosi nella sua ampollosa retorica, una occasione persa per migliorare concretamente le condizioni di salute delle masse popolari. Mentre le democrazie e l’URSS iniziavano a progredire verso uno stato sociale inclusivo con l’obiettivo di garantire il benessere di tutti al di là della condizione sociale e di reddito il fascismo è andato quasi sempre nella direzione opposta.
Molti “successi” sbandierati del fascismo non sono tali o sono solo parziali. Le bonifiche, iniziate prima del ventennio, sono state finalizzate al rendimento lavorativo (la “ruralizzazione” dell’Italia), alla “potenza” del paese, al miglioramento della razza e non all’obiettivo del benessere sociale.
E’ stata la “razza” (l’eugenetica) e non la persona e l’interesse collettivo a indirizzare gli interventi del regime in campo sanitario. E’ stato facile e responsabile di immensi lutti passare dalla ricerca della perfezione della razza alla dottrina della supremazia di una razza umana sulle altre. Noi siamo invece convinti che le razze non esistono, esiste solo la specie umana.
L’approccio alla piaga della tubercolosi è stata l’ospedalizzazione e non l’intervento per garantire condizioni abitative igieniche, la “bonifica” tubercolosi doveva riguardare principalmente le soffitte e le abitazioni malsane delle classi più povere come pure le filande della seta e le donne esposte sul lavoro al bacillo di Koch. Se vi è stata una riduzione di mortalità grazie ai nuovi medicinali e ai sanatori non si è intervenuto adeguatamente sulle cause.
Alla piaga della sifilide si è risposto principalmente con la regolamentazione della prostituzione e i provvedimenti a favore della nuzialità e la natalità, con un approccio moraleggiante a una questione sanitaria con ben pochi risultati concreti. Anzi è stata una occasione per motivare il controllo sociale e la repressione. Al contrario quanti di noi ricordano i fascisti che si vantavano di aver contratto la sifilide come fosse una “medaglia” sessuale, come non vedere anche qui una visione maschilista della donna e della sua salute ?
Incremento demografico e politica sulla famiglia “prolifica”, la tutela della maternità e dell’infanzia è stata piegata a tale scopo, l’attività fisica dei giovani un preludio al militarismo e alla invenzione di una stirpe guerriera italica. Che dire poi della frase mussoliniana “la guerra come igiene del mondo” ? Queste nefandezze si accompagnavano ad un indice di mortalità infantile tra i più elevati tra i paesi socialmente progrediti e peggiorate condizioni lavorative.
L’assistenza sanitaria è stata fondata sul corporativismo e sulle mutue (fasciste, sindacali, professionali) in cui il dominus è stato il medico condotto (“medico della mutua”) rovesciando e impoverendo il principio del “mutuo soccorso” dell’associazionismo operaio dei periodi precedenti il regime.
Il sistema frammentato delle mutue ha prodotto la falsa impressione che le migliorie in campo sanitario passavano solo dall’incremento delle prestazioni, una mentalità che vogliamo spezzare per il futuro. Neppure la tardiva (1943) unificazione delle mutue nell’Ente Mutualità (poi INAM, ndr) poteva invertire questa direzione insalubre. Il tutto condito da sperequazioni sociali, inefficienza burocratica, duplicazioni e sprechi, eccessi e carenze, retorica della forma e umiliazione della sostanza.
Correi di questa impostazione sono stati anche i cattedratici : molti, troppi, si sono lasciati arruolare nella “mistica fascista” imponendo una didattica nelle università che ha piegato la scienza a finalità di “valorizzazione biologica” e “perfezionamento della stirpe” ancor più durante l’avventura imperialista. Una scienza piegata agli interessi di un regime non deve trovare posto nell’Italia liberata.
Anche senza considerare il periodo di guerra, la gran parte degli indicatori sullo stato di salute dei cittadini/cittadine e dei lavoratori/lavoratrici sono negativi.
Il fascismo ha posto fine alle garanzie giuridiche e istituzionali conquistate dai lavoratori in precedenza. Liquidato il ministero del lavoro, gli ispettori del lavoro (sostituiti da organismi come l’inefficiente ENPI), eliminati i sistemi pubblici di collocamento sostituiti con disoccupazione, bassi salari e dura disciplina nelle fabbriche e negli uffici, in una parola aumentato lo sfruttamento del lavoro a partire dagli orari e rendendolo più insalubre.
Anche la psicologia del lavoro è stata piegata all’obiettivo dell’efficienza produttiva e al controllo sulla manodopera.
Incremento negli infortuni e nelle malattie professionali nel ventennio che abbiamo lasciato alle spalle con la forza delle idee e delle armi rappresentano il fallimento della costruzione corporativa, puramente assistenziale e nello stesso tempo corrotta e diseguale. Basti pensare che solo 8 tipologie di malattie professionali sono oggi riconosciute (30-35 nei paesi avanzati) e neppure in tutte le attività, o alla totale assenza di norme per la fabbricazione di macchine sicure per il lavoro. Cui va aggiunto l’azzeramento delle indagini per gli infortuni, anche mortali, anzi la negazione della loro esistenza con oblazioni ridicole anche di fronte a quelli mortali. Tanto meno possono tutelare i lavoratori i “medici di fabbrica” dipendenti degli imprenditori. Anzi il più delle volte sono stati i lavoratori infortunati a subire anche sanzioni disciplinari. Il sistema assicurativo sugli infortuni non è stato mai molto di più che un sistema di sussidio di malattia.
Per questi motivi l’intenzione del CLN è riformare nel profondo l’ordinamento sanitario su alcuni punti essenziali che condividiamo con le altre forze politiche antifasciste.
Uscire dalle corporazioni e dalle mutue verso una impostazione delle attività sanitarie e assistenziali a livello locale, da parte dei comuni e di nuovi enti intermedi, le regioni, tramite cui vogliamo superare la burocrazia ministeriale e corporativa come pure il palese fallimento delle Province.
Obiettivi generali sono realizzare i principi della “liberazione dai bisogni” e della “sicurezza sociale” elaborati negli ultimi anni dalle democrazie a livello internazionale, la ricostruzione non deve essere il ritorno a ciò che esisteva prima del fascismo ma andare oltre, in modo rivoluzionario nella politica e profondamente riformatore nelle strutture. Anche per questo non vediamo altra strada che quella della Repubblica, non solo perché i Savoia sono stati succubi e complici del fascismo, ma perché la monarchia in sè è marcia e va sostituita con una piena democrazia e la partecipazione di tutti.
Il futuro Ministero della sanità e dell’assistenza dovrà definire in modo ordinativo le prestazioni e le modalità di base con cui erogarle; ogni territorio, tramite la partecipazione popolare, realizzerà in modo operativo gli obiettivi definiti tenendo conto delle peculiarità locali.
Va superato il ruolo del Podestà quale interlocutore unico, istituendo all’interno delle grandi città, e aggregando i piccoli comuni, degli uffici comunali e consortili quali organismi unitari di erogazione delle prestazioni assistenziali e sanitarie, una denominazione potrà essere : Unità Sanitarie Locali.
Gli ospedali devono essere finanziati dallo Stato e la qualità dei servizi erogati deve avere lo stesso livello per tutti e non dipendere dal reddito personale o, nel caso dei poveri, dalle rette rimborsate dai Comuni e quindi dallo stato delle finanze comunali. In Ospedale, oggi, ci si va il più delle volte per morire, noi vogliamo che siano luoghi di cura reale, per tutti.
La liberazione e la democrazia devono andare oltre la pura assistenza in campo sanitario e partire dalle condizioni di vita e di lavoro per promuovere una vita salubre e sicura per tutti e tutte.
Se nelle fabbriche i lavoratori e le lavoratrici saranno ancora sottoposti a turni massacranti, a condizioni di lavoro insalubre e pericolose, poco potrà un servizio sanitario migliorato. E’ solo con la prevenzione, ottenibile con il riconoscimento pieno dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici che si potrà avanzare. I luoghi di lavoro devono essere organizzati per garantire la salute dei lavoratori e delle lavoratrici, le macchine per garantire la loro sicurezza, i tempi del lavoro, del riposo come pure una giusta retribuzione per una vita dignitosa sono interventi sanitari allo stesso livello, se non più, della presenza di ambulatori ben organizzati in tutti i comuni.
Il fascismo è stata una lunga pestilenza che ha ammorbato e sfiancato il popolo italiano costringendolo a rimanere chiuso nella propria coscienza o a immedesimarsi in una retorica fanfarona che ha condotto il paese alla rovina. Siamo usciti dalle case e dalle caserme per una guerra di liberazione, dobbiamo costruire una nuova Italia dove istituzioni democratiche permettano ad ognuno di fornire un contributo al benessere di tutti.
Viva la nuova Italia, viva il popolo italiano.

A cura di Marco Caldiroli

Nota storica : “la Consulta di Sanità operante nel Veneto, affida a una commissione formata da Marco Fanno, Alberto Graziani, Arturo Loria, Egidio Meneghetti rettore dell’Università di Padova e Augusto Giovanardi, professore di igiene …. Il compito di redigere un Progetto di riforma dell’ordinamento sanitario italiano che vedrà la luce, fuori dalla clandestinità, il 2 settembre 1945 …. Nel “Progetto”, con sorprendente anticipazione, è il quadro d’avvio di una riforma dei servizi socio-sanitari del paese, ispirata ai principi della “liberazione dal bisogno” sancita nel 1941 dalla Carta Atlantica, e di “sicurezza sociale”, sancita nel 1944 dalla Conferenza Internazionale di Filadelfia. Decentramento amministrativo e gestione loco-regionale della sanità sono la cornice del quadro in cui, assumendo i valori civili, sociali e morali di una politica della salute fondata sulla partecipazione attiva dei cittadini si configura ante litteram un servizio sanitario nazionale sensibile ai bisogni e responsivo degli stessi, nonché finalizzato a eliminare i dislivelli socioeconomici, intollerabili nel campo della difesa della salute” – in Giorgio Cosmacini “Medici e Medicina durante il fascismo”, Pantarei, 2019.
Altre due letture consigliate :
– AA VV “Salute e classi lavoratrici in Italia dall’Unità al fascismo”, Franco Angeli, 1982;
– Francesco Carnevale, Gianni Moriani “Storia della salute dei lavoratori. Medici, Medicina del Lavoro e Prevenzione”, Cortina edizioni, 1986.

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