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oggi è il: 03|07|2024


Influenza aviare
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Le preoccupazioni legate all’influenza aviare, l’infezione virale che colpisce i polli e si trasmette anche all’uomo, si sono rivelate, per fortuna, eccessive rispetto alle ipotesi fatte nel mese di novembre 2004. L’inverno è trascorso senza il clamoroso aumento della mortalità che si era paventato dopo i primi decessi che avevano colpito le popolazioni del sud-est asiatico. L’Europa si stava preparando ad affrontare una vera e propria pandemia: qualcuno ricorderà come addirittura fossero circolate voci riguardo a obitori trasportabili in materiale plastico, adatti ad affrontare situazioni drammatiche e migliaia di vittime.

Tuttavia, la vicenda, nonostante l’esito meno catastrofico del previsto, offre parecchi spunti di riflessione. La prima considerazione è che nonostante gli studi che proseguono in tutto il mondo, non abbiamo ancora conoscenze certe sulla patologia e una conferma indiretta ci viene proprio dalle contromisure intraprese. Gli obitori mobili non rappresentano certo un modo ottimista di affrontare l’allarme epidemia.

Ricordiamo che, come già pubblicato su altri numeri di Medicina Democratica, il responsabile dell’influenza aviare è un virus Orthomixovirus, di cui si conoscono moltissimi sottotipi, che viene identificato nelle diverse varianti con le due lettere H e N e una serie di numeri per ogni lettera, 1, 2, 3, ecc. ad esempio H1N1 e simili. È ormai comunemente accettato che i volatili siano, di fatto, il serbatoio di questi virus, i quali passando da animale ad animale possono mutare le loro caratteristiche, divenendo più virulenti, cambiando il potere infettante, colpendo quindi animali che prima non erano colpiti, ecc.

In natura alcune specie di volatili selvatici, specialmente gli anatidi, anatre e simili, sono portatori sani del virus, sembrano perfettamente immuni ma lo diffondono ovunque. Comunque gli esseri più colpiti sono sempre gli uccelli, tra il 1999 e il 2000 in Italia sono stati eliminati o sono morti a causa dell’influenza aviare sedici milioni di volatili, costati alla comunità oltre 100 milioni di euro in rimborsi agli allevatori. Altre caratteristiche rilevanti, legate alla possibilità del virus di modificarsi, sono la capacità di adattarsi ad altri soggetti, cioè di colpire altre specie animali, per quello che viene definito il salto di specie, passando dalla specie normalmente parassitata ad altre. Proprio questa possibilità lo rende estremamente pericoloso per la specie umana, anche se, come ricordano periodicamente gli allevatori preoccupati di perdere quote di mercato, le persone non contraggono la malattia per via alimentare ma per via aerogena.

La vicenda assume un significato paradigmatico se si allarga l’analisi anche ad altri aspetti. Ad esempio le modalità di gestione della vicenda. Non si può nascondere infatti che su di essa si faccia non già informazione, quanto piuttosto un allarmismo ingiustificato. La stessa notizia degli obitori mobili non può che essere interpretata in questo senso.

Questo atteggiamento però si ripete spesso, in modo quasi ossessivo, nelle vicende che riguardano le malattie che colpiscono animali e umani. Chi non ricorda le vicende di Mucca Pazza? Anche in quel caso vi è stato un susseguirsi di notizie roboanti che hanno contribuito a creare un clima di allarmismo elevatissimo salvo poi passare sotto silenzio gli atti successivi che non avrebbero dovuto, in realtà, destare minor attenzione. È una tecnica di comunicazione abbastanza semplice. Dapprima si mettono in circolazione informazioni eccessive, generando un improvviso interessamento, successivamente, quando appare evidente che le previsioni estreme non si avverano, e più facile far passare sotto silenzio tutto l’evento. In pratica, l’effetto estremizzante favorisce una rimozione rapida. Così per rimanere sulla vicenda BSE (la cosiddetta "mucca pazza"), ora chi si preoccupa più del fatto che passati ormai quasi 15 anni dalla sua prima apparizione non si conosce ancora nulla sulla sua eziologia, cioè sull’agente che la determina e su come si sviluppa. Anzi quanto più si conosce tanto meno si capisce e alcune ipotesi non solo non confermano quanto già si sa ma sembrano addirittura contraddirlo?

In altre parole lo studio che dimostrava lo sviluppo dei prioni nei muscoli dei topi non è mai stato preso in seria considerazione perché non si sono analizzate le conseguenze che ne deriverebbero relativamente allo sviluppo della malattia, dal momento che si diceva che non si trattava di una moltiplicazione di prioni ma di una modificazione di proteine già esistenti che cambiano la loro struttura molecolare di tipo spaziale. Perché senza dna, finora mai trovato, non si può parlare di replicazione di alcunché. Però se i prioni si moltiplicano nei muscoli dei topi occorre trovare una spiegazione che renda plausibili due ipotesi che sembrano in contraddizione tra di loro. Tutto questo solo per dire come di queste problematiche, che sono sicuramente serie e preoccupanti anche per le possibili ricadute sulla salute animale e umana, nessuno parla più, perché dopo l’allarmismo e l’estrema preoccupazione iniziale si è abbassato notevolmente lo stato di attenzione. Anche per la questione dell’influenza aviare chi può negare l’esistenza di un meccanismo simile? Ormai, da tempo vengono lanciati allarmi preoccupati e preoccupanti salvo poi verificare che la malattia ha colpito poche persone e causato, per fortuna, un numero limitato di vittime, tanto che al momento -stando ai casi ufficiali, la cui attendibilità è sempre bene verificare - sono morte per questa causa meno persone nel mondo di quelle che muoiono ogni fine settimana sulle strade italiane. Infatti il virus ha finora colpito 69 persone facendo 49 vittime. Certo si potrebbe dire che questa non è una buona ragione per abbassare la guardia e che l’attenzione è legata al fatto che si tratta di una forma patologica che potrebbe causare, nel tempo, enormi problemi sanitari. Forse si potrebbe dire che l’influenza è diventata anche un fattore economico rilevante: molti laboratori si stanno dedicando alle ricerche sia sulla struttura del virus sia per mettere a punto un vaccino. Il primo che metterà a punto un vaccino sicuro farà affari giganteschi, e di questo sono ben consapevoli i ricercatori di tutto il mondo. E una vicenda che conosciamo bene visto che attualmente i maggiori laboratori internazionali stanno lavorando proprio sulle grandi "paure" dell’umanità a partire dall’Aids. La particolarità che contraddistingue influenza aviare e Aids ad esempio è il fatto che si stia ricercando di realizzare un vaccino senza però aver acquisito conoscenze sufficienti del virus che il farmaco dovrebbe sconfiggere.

L’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) stessa afferma che la soluzione ideale sarebbe dotarsi al più presto di un vaccino ad ampio spettro, efficace nei confronti di una gran varietà di ceppi virali, duraturo e che possa essere prodotto rapidamente e in grandi quantità. L’autorevole rivista scientifica The Lancet nel giugno del 2001 ha pubblicato una ricerca sulla tecnica della riverse genetics, che consiste nel rimuovere dal virus "selvaggio" gli amminoacidi che ne determinano la virulenza, lasciando intatto il restante patrimonio genetico che viene incorporato in un vettore. Questo nuovo virus viene passato su una cultura cellulare, una purificazione e quindi riprodotto in quantità sulle uova. Uno studio avrebbe dimostrato che il vaccino anti H5N1 combinato con l’adiuvante MF59 è in grado di proteggere verso diverse varianti altamente patogene del virus.

Tuttavia, il vero problema rimane quello di produrre un vaccino capace di contrastare un virus che ancora non si conosce a fondo, perché come sanno bene coloro che si occupano della materia, la risposta immunitaria deve essere mirata all’antigene virale. Inoltre non si può mai escludere a priori la nascita di un nuovo, sconosciuto virus pandemico, come peraltro affermano gli stessi ricercatori.

Certo le morti non sono, per così dire, tutte uguali. Noi occidentali siamo più preoccupati per le morti che ci riguardano e ci coinvolgono in qualche mo do mentre tendiamo a rimuovere, o a non considerare affatto, quelle lontane. Infatti, ci si accanisce nella ricerca sull’influenza aviare, che come detto ha finora fatto poche vittime, e si ignora quasi che trenta milioni di persone, soprattutto bambini, muoiono ogni anno nel mondo solo per mancanza di acqua potabile.

Per rimanere nel campo delle patologie dovrebbe preoccupare molto di più la possibile insorgenza di forme che si credevano quasi superate, come la malaria, e che invece, con l’aumento delle temperature provocato dall’effetto serra, diventeranno più gravi. Stime ancora approssimative, parlano di milioni di morti! Che non si siano sviluppati finora dei vaccini o altri sistemi di cura non sarà forse legato al fatto che la malaria infieriva finora soprattutto nei paesi poveri? Sarebbero molte le domande da porsi se ci ponessimo al di fuori di un’ottica eurocentrica o occidentale, se pensassimo che le morti e i morti sono tutti uguali. Domande tutt’altro che oziose dal momento che il cambiamento di clima finirà per influire moltissimo sulla distribuzione geografica di diverse patologie con conseguenze immaginabili sulla salute delle persone. Compresa quella di noi occidentali che dovremo affrontare virus, batteri e situazioni che finora non destavano particolare preoccupazione. Infine un’ultima considerazione, relativa al ruolo degli animali nelle patologie che coinvolgono gli umani. Da tempo esiste una classificazione delle cosiddette zoonosi, termine con il quale si indica il possibile contagio da animale a uomo. Queste forme patologiche, sono state, e sono tuttora, molto pubblicizzate per diffondere l’idea della grande attenzione necessaria nel gestire i rapporti con gli animali, i quali, potrebbero essere causa di contagio.

Solo per fare un esempio, tra i molti possibili, si può citare il caso della salmonellosi dei colombi. A tutt’oggi non sono state diagnosticate forme di questa patologia riferibili ai colombi, eppure quando si tratta di discutere sul soprannumero di questi uccelli in una qualsiasi città italiana, e non solo, il primo motivo che si chiama in causa per il loro allontanamento, o uccisione, è proprio il possibile contagio di questo batterio.

In questo quadro diventa ancora più stravagante l’atteggiamento del mondo scientifico e dell’informazione che, per le patologie che l’uomo può contrarre dagli animali mangiandoli non parla di zoonosi. Forse, siamo costretti a pensare, per non diffondere timori nel mondo dei consumatori? Insomma il ruolo degli animali non viene analizzato per quello che significa di per sé, ma solo in riferimento all’utilizzo che se ne può fare: talora viene esaltato talaltra viene ignorato. Una considerazione finale potrebbe essere allora questa: non è tanto sulla possibilità di contagio che dovremmo puntare la nostra attenzione. Il contagio è naturalmente possibile avendo uomini e animali la stessa origine, e avendo, di conseguenza, batteri e virus sviluppato la capacità di passare da specie a specie adattandosi ad entrambi. Ciò che si dovrebbe invece sottolineare è che queste nuove malattie sono strettamente legate alle tipologie intensive di allevamento. In altre parole non importa tanto che le malattie siano o possano essere condivise quanto che sono gli umani ad imporre metodi di vita che portano a sviluppare nuove patologie. Così è stato per la BSE che si e sviluppata perché si sono alimentate le vacche con pecore morte di Scrapie, così è per l’influenza aviare, per la quale le condizioni di vita di sovraffollamento innescano con più facilità la trasformazione del virus.

di Enrico MORICONI*


Articolo pubblicato sul volume 157-158 della rivista Medicina Democratica
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