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Documenti in discussione per il VI Congresso Nazionale

Le lotte per la salute nei luoghi di lavoro
2008
pubblicato da: Medicina Democratica
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Le lotte per la salute nei luoghi di lavoro hanno una lunga storia.

Le lavoratrici e i lavoratori continuano ancora oggi a morire causa danni da lavoro, nonostante la grandissima evoluzione tecnologica che c’è stata. La situazione è ben diversa da quella degli inizi e dal grande sviluppo delle rivoluzione industriale, è anche diversa da quella degli anni 50 ed 60 ma non è risolta. Umanamente e culturalmente non è concepibile che si muoia sul lavoro o a causa del lavoro.

Il clima di discriminazione, di razzismo, di xenofobia che si è instaurato oggi, particolarmente negli ultimi mesi favorisce una condizione di accettazione, così come era avvenuto nel periodo ottocentesco o comunque ripropone la delega della salute, pesantemente respinta agli inizi degli anni 70. Sono significative le azioni della Confidustria che spinge il governo, il “suo governo” a modificare in peggio il decreto legislativo 81, promulgato qualche mese fa, e noto come Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, approvato dal governo precedente.

Una legge migliorativa rispetto alla situazione precedente, ma che, in ordine al raggiungimento dello scopo: l’eliminazioni degli infortuni e delle malattie professionali, avrebbe dovuto essere ben più incisiva.

Fra i tanti fatti che si sono succeduti in questi ultimi mesi due sono particolarmente degni di nota in ordine all’argomento di cui ci occupiamo: l’infortunio-crimine avvenuto alla ThyssenKrupp di Torino il 6 dicembre 2007 in cui persero la vita anche se non tutti immediatamente 7 operai e il licenziamento, il secondo licenziamento del ferroviere macchinista delle FS Dante de Angelis, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e da ultimo il ritiro della funzione di UPG a Aldo Mancuso di Firenze per avere comminato una sanzione, con prescrizione nei confronti del direttore generale della sua A-USL.

I mezzi di comunicazione di massa parlano degli infortuni, quando questi sono elevati a livello di stragi, cioè sono tanti i morti, riguardano luoghi di lavoro importanti, non periferici, sono strazianti per le modalità in cui sono avvenuti. Si pensi anche ai 12 morti della Mecnavi di Ravenna o agli 11 morti - anche se non lavoratori - della camera iperbarica dell’istituto ortopedico Galeazzi di Milano.

Dante de Angelis è stato licenziato nello svolgimento e per lo svolgimento dei suoi compiti di RLS, perché ha fatto presente, riferendosi a un caso concreto, che la mancanza di manutenzione o la manutenzione insufficiente può portare anche a disastri non solo per i lavoratori, ma anche per gli utenti delle ferrovie: qualcosa di avvenuto, qualcosa ancora di risaputo, qualcosa che si legge in tanti atti di processi che hanno giudicato la perdita della salute di lavoratrici e lavoratori. E’ famosa la lettera della Montedison, riportata dalla rivista Medicina Democratica, risuonata nella grande aula del tribunale di Venezia Mestre che specificava la necessità - in ordine al profitto - di non manutenere o di manutenere il meno possibile gli impianti (chimici) in funzione della riduzione dei costi e dell’aumento dei profitti.

Questi richiami semplicemente per aprire la discussione in questo Congresso che ha lo scopo certamente di puntualizzare la situazione attuale nella sua evoluzione storica, ma soprattutto in di dare indicazioni, di dire che cosa fare, quali impegni assumersi, come Medicina Democratica e come Movimento di lotta per la salute.

Le leggi, particolarmente quelle che riguardano il lavoro sono risultati di lotte e di compromessi. E’ possibile che alcuni principi favorevoli, risultati da lotte e compromessi precedenti, siano consolidati (anche se non vi è mai una parola definitiva). Vanno pertanto utilizzati. In periodi difficili risulta fondamentale rivendicare l’applicazione delle leggi sulla salute e sicurezza sul lavoro, quindi nella fattispecie del Testo Unico.

Il problema dei controlli

Il procuratore generale della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli nella prefazione del libro “ThyssenKrupp, l’inferno della classe operaia” di Diego Novelli e altri alla fine di un ragionamento importante dice: “Dunque, le leggi in materia di sicurezza sul lavoro in Italia ci sono, e anzi sono state ora sensibilmente potenziate.

Solo che in questi anni abbiamo assistito a un fenomeno preoccupante: una estesa, sostanziale disapplicazione delle leggi.

Perché questo fenomeno? Ovviamente senza demonizzare nessuno , chiari essendo i grandi meriti comunque riscontrabili, va detto che una causa - non l’unica, ma importante - è costituita da alcune carenze nei controlli affidati agli organi di vigilanza sull’osservanza delle norme di sicurezza: ispettori in numero sufficiente e a volte non dotati di adeguata professionalità; ispettori che in alcuni casi svolgono contemporaneamente (e indebitamente) attività di vigilanza e attività di consulenza, ispettori che talora preannunciano i sopraluoghi; ispettori che, pur di aumentare il numero di attività ispettive svolte, conducono alcuni accertamenti in modo superficiale”

Posso testimoniare che alcuni emendamenti da me predisposti (e presentati da alcuni senatori) durante la discussione in Senato della legge 123/07 (legge delega) e successivamente in sede di parere dello schema di decreto legislativo che stabilivano l’assunzione nei dipartimenti di prevenzione delle A-USL di operatori della prevenzione, non sono stati accolti, mentre invece il governo di allora ha optato per l’assunzione di un certo numero di ispettori afferenti al ministero del Lavoro, quindi sostanzialmente con compiti previdenziali e occupazionali. Perché questa scelta del governo Prodi? Non può essere che con una legge che poteva prevedere limiti alla libertà organizzativa delle imprese, troppi controlli potevano essere poco graditi?

Si può pensare ora nel momento in cui la situazione politica è ulteriormente peggiorata la rivendicazione di un organico adeguato di operatori della prevenzione preparati, risulta ancora più difficile, ed è senz’altro così, ma occorre ricordare che l’organizzazione sanitaria è nelle mani delle regioni e che ad esse ci si può, anzi ci si deve rivolgere. Abbiamo detto un numero adeguato di operatori della prevenzione preparati e aggiornati che, - dobbiamo assolutamente aggiungere - si rapportino costantemente ai soggetti di riferimento: i lavoratori e gli RLS. Fra l’altro il DLg. 81 prevede l’incompatibilità assoluta fra compiti di vigilanza e di consulenza.

Legge e partecipazione

Un altro nodo, il più importante, riguarda la capacità dei lavoratori di essere attori della salvaguardia e difesa della loro salute. Se stiamo nel campo delle leggi non va dimenticato l’articolo 9 della legge 300/70 che prevede la possibilità da parte dei lavoratori di organizzarsi per verificare le condizioni di lavoro, quindi di evitare possibili attentati alla loro salute.

Il “mediante le loro rappresentanze” non può riferirsi in modo esclusivo agli RLS, ma deve essere esteso a chi, tecnico ed esperto di parte, riceve l’incarico di fare valutazioni specifiche. Non si tratta di delega, ma di ricerca di aiuto, senza mai perdere il controllo, da parte di chi ha bisogno di qualcuno con conoscenze tecniche di tipo ambientale e/o di tipo sanitario che possa spiegare e dare indicazioni comprensibile ai soggetti committenti.

Del resto se passiamo nel campo dell’esperienza storica vediamo che le condizioni di lavoro e di vita sono migliorate specialmente quando i lavoratori si sono organizzati e da soli o con aiuti hanno analizzato e verificato l’organizzazione del lavoro, registrato i danni, constato i rischi, quindi rivendicato i necessari cambiamenti a partire dall’applicazione delle leggi.

Il Dlg 81 specifica più chiaramente le responsabilità delle aziende in merito alla formazione e informazione dei lavoratori e alla trasmissione della valutazione dei rischi e dei dati agli RLS, quindi strumenti in più che non escludono, anzi rafforzano la necessità da parte dei lavoratori e degli RLS di fare una propria valutazione dei rischi, di confrontarla con quella dell’azienda, di vederne le carenza, quindi di rivendicare migliori condizioni sulla base di quanto acquisito.

Qualcuno sostiene che con l’intervento della legislazione europea la filosofia è cambiata, quindi si devono modificare le modalità di intervento nei luoghi di lavoro rispetto a quelle che erano state elaborate a partire dagli anni 70 e che erano entrate nella legge di riforma sanitaria (L. 23.12.78 n. 833).

Questa “nuova” filosofia, per meglio dire prassi, consisterebbe da parte degli organi di vigilanza nella verifica delle procedure stabilite cui le aziende debbono attenersi. In altri termini si verificherebbero sostanzialmente le carte. Non servirebbe pertanto avere grande esperienza e buone conoscenze, ma essere rigidi sull’applicazione procedurale.

Allora che senso ha - proseguono nel ragionamento coloro che sostengono questo ragionamento -, avere un servizio che è istituito all’interno del sistema sanitario nazionale? Effettivamente avrebbero ragione se così fosse, andrebbe bene istituire un’agenzia autonoma per la prevenzione. Quindi, dal nostro punto di vista, si replicherebbero gli errori già fatti con l’istituzione dell’ARPA, ma soprattutto si abbandonerebbero i lavoratori al loro destino.

Le procedure gestite da società esterne all’azienda definite sulle carte sarebbero perfette, ma nessuno si accorgerebbe dei tremendi rischi di incendio e delle conseguenze che ne deriverebbero ad esempio, o delle perdite di sostanze tossiche e cancerogene da impianti chimici o dei ritmi di lavoro, degli stress, del mobbing... Una posizione inaccettabile ed inefficace per quello che tutti, dal Presidente della Repubblica in giù dichiarano, di ridurre in modo consistente infortuni e malattie professionali.

Certamente questo tipo di sistema è assolutamente in linea con quanto sta progressivamente avvenendo, in particolare nelle regioni considerate virtuose dall’attuale governo (La Lombardia e il Veneto) cioè la progressiva dismissione dell’organizzazione sanitaria pubblica verso un riconosciuto fallimentare sistema assicurativo privato. Fallimentare certamente per la salute dei lavoratori e dei cittadini non certo per gli interessi degli assicuratori e del sistema medico-industriale.

Dobbiamo dunque tornare alla nostra storia e alla nostra filosofia. Si consideri che negli anni 50 gli infortuni sul lavoro erano almeno il doppio di quelli attuali, che le malattie professionali erano esclusivamente quelle tabellate e che era difficilissimo dimostrare al di fuori di queste che per altre la causa era il lavoro; che, ancora, le malattie da stress non erano considerate, che il mobbing non esisteva come definizione.

Possiamo pertanto riassumere e definire:

-  1. L’assoluta necessità della partecipazione dei lavoratori.

Oltre quanto detto sopra si deve considerare che la classe operaia (intesa in un’accezione molto larga) è aggi attraversata da precarietà e disoccupazione, dal fenomeno dell’immigrazione, dall’abbassamento complessivo della tensione culturale e di lotta, pertanto le organizzazioni sindacali da un lato e quelle istituzioni (gli organi di controllo in primis) si devono preoccupare della formazione e della informazione, devono essere in grado di riempire i vuoti che lasciano i lavoratori, in non pochi casi ricattati dal dilemma o salute o occupazione, oppure da salario o salute. Il loro compito è più importante di prima e la loro preparazione, oltre che adeguatezza “di linea”, deve essere elevata.

-  2. Gli organi di vigilanza e controllo, oltre che essere preparati devono essere adeguati nel numero e, non meno, liberi da conflitti di interesse.

Non facile viste le restrizioni di bilancio, compresa quelle della sanità, poste dai governi. Particolarmente quello attuale, ma anche quello precedente che ha bocciato nelle due precedenti leggi finanziarie emendamenti volti ad aumentare gli organici dei dipartimenti di prevenzione, optando per un aumento degli ispettori del lavoro previdenziali. Sono le regioni dunque che devono intervenire: se solo si attuasse quel principio peraltro pure stabilito dal decreto legislativo 81 che prevede che gli introiti delle ammende vengono utilizzati per i dipartimenti di prevenzione, si avrebbero grandi possibilità di adeguamento di organici, di strumenti e di possibilità di formazione.

-  3. La lotta contro la precarietà del lavoro.

Non nel senso come sta facendo ora il governo di mandare a casa tutti i precari del settore pubblico a partire da quelli della ricerca. Un disastro assoluto che prelude al fai da te, alla subordinazione totale al privato, alla riduzione del diritto alla salute e all’assistenza, alla possibilità di non controllare, soprattutto di non prevenire disastri ambientali di ogni tipo. Anche nel privato sappiamo e vediamo come sia facile disfarsi dei lavoratori precari in caso di crisi aziendali o addirittura di crisi più generali. Siamo tutti chiamati in causa per organizzare lotte contro lo stato delle cose presenti, ma soprattutto i sindacati e le forze politiche democratiche si devono muovere, piuttosto che stare a guardare come va a finire.....

-  4. La non sottovalutazione delle malattie professionali e del disagio di ordine psicologico e sociale.

Quando vediamo le statistiche restiamo un poco perplessi, sapendo dalle indagini epidemiologico (e ora anche dai processi o non di meno dall’osservatorio istituito dalla Procura della Repubblica di Torino) come le malattie cd professionali siano non considerate o considerate il meno possibile. Dei 10.000 colpiti da tumori professionali (con una probabile sottovalutazione), ne vengono riconosciuti una percentuale non superiore al 5%. Perche’ ? e perché non si ricercano “i tumori perduti”? Che fa in questo caso l’INAIL perché non ricerca? Perché non risarcisce? . - Il disagio psicologico che a volte diventa psichiatrico si manifesta in condizioni date. Quando le persone non vengono considerate, quando vengono messe addirittura a non far niente, ma molto di più quando di trovano davanti ad un licenziamento e magari hanno superato i 40/45 anni.

-  5. A proposito di INAIL.

In un incontro che abbiamo avuto il 5 luglio con la direzione generale dell’INAIL (richiesto dall’Ass. it. Esposti amianto) abbiamo appurato che i denari accumulati dai contributi (circa 12 miliardi di euro) non sono in possesso del medesimo istituto, ma finiscono al ministero del Tesoro e vengono da questi utilizzati per esigenze di cassa. L’incontro era motivato dall’avere una serie di informazioni , prevalentemente a riguardo del problema amianto. Le informazioni raccolte sono state senza dubbio interessanti e ci hanno permesso di trarre alcune conclusioni operative, ma alle richieste che andavano oltre l’informazione è stato risposto picche. Ad esempio ci è stato detto di fronte alla domanda di fare una ricerca per “trovare i tumori (da lavoro) perduti utilizzando il consolidato metodo OCCAM, ci è stato risposto che l’INAIL è un’assicurazione e che tale compito è delle A-USL. (fra l’altro il DLg 81/08 dice invece che l’INAIL può benissimo fare ricerche).

Ma al di là del merito dei problemi che abbiamo toccato e dell’esperienza che ci siamo fatti e che soprattutto hanno i lavoratori che sono incappati nell’INAIL per i più svariati motivi, abbiamo tratto la conclusione di lavorare più che sulla richiesta di cambiamento funzionale dell’INAIL, sulla necessità di cambiamento sostanziale del sistema. Occorre uscire da esso, trovare forme diverse dall’assicurazione. Apriamo una discussione di largo respiro sapendo che avremo un tempo molto lungo davanti a noi e proviamo ad individuare alcuni principi:

a) la separazione dalle funzioni di riconoscimento degli infortuni e delle malattie professionali da quelle di monetizzazione;

b) il riconoscimento della responsabilità dell’azienda e il risarcimento del danno in base a parametri definiti a carico dell’azienda.

Ciò non significa che le aziende devono smettere di pagare un premio assicurativo (che non dovrà più chiamarsi così) in relazione a quanto si potrà scoprire dopo (ad esempio nei casi di tumori professionali con lungo tempo di latenza, di fallimento, cessazione dell’azienda, ecc). In pratica si tratterebbe di un doppio regime: da un lato chi ha sbagliato paga subito, dall’altro i lavoratori devono comunque restare garantiti nel risarcimento anche quando diventa difficile trovare chi è il responsabile o quando tale responsabile non esiste più.

-  6. Il ricorso al giudice.

Sono migliaia i ricorsi che vengono fatti dai lavoratori tramite i patronati o direttamente per ottenere un diritto quale il riconoscimento di una malattia professionale, il riconoscimento dei benefici previdenziali per gli ex esposti all’amianto, la rivalutazione della rendita e quant’altro.

Cominciano ad essere consistenti i ricorsi al giudice penale per la responsabilità causale di un danno grave subito da un lavoratore nel corso del suo impiego, non ultimo le richieste di costituzione di parte civile quando si apre un processo penale non solo da parte dei diretti interessati (o loro famigliari), ma anche da parte sindacale, di altre organizzazioni e associazioni, fra cui la nostra: Medicina Democratica, Movimento di lotta per la salute.

Ci sembra di poter dire che la società (il potere costituito) nel suo insieme comincia ad esprimere qualche sofferenza che si manifesta con i tempi lunghi, per non dire lunghissimi, magari con esisti prescrittivi, con trovare ancora una volta forme di monetizzazione, e, in non pochi casi con il dare torto ai danneggiati i quali in genere devono sopportare nella gran parte dei casi dei costi elevati. Potrebbe addirittura andare oltre e cambiare le leggi, riducendo i diritti, quindi rendendo inutili o più difficili i ricorsi. Anche questa è una discussione che deve essere aperta fra di noi, ma deve essere aperta mentre questa esperienza viene condotta. Non possiamo che i processi cambino la società, ma anche in questa società deve essere chiesto giustizia e devono essere chiesti i danni a chi è responsabile. La discussione potrebbe ampliarsi anche alle responsabilità del potere istituzionale che limita le possibilità di vigilanza e controllo (mancanza di personale e di strumenti) e, a chiedere il miglioramento delle leggi e soprattutto il funzionamento dell’apparato di giustizia che ben sappiamo ha delle grosse falle ( a dir poco).

Conclusioni: Da questo congresso dovrebbe uscire un rinnovato impegno di MD nella lotta e nell’approfondimento della condizione di lavoro e di salute dei lavoratori e con questo la volontà di essere di stimolo a chi come i sindacati confederali ed exraconfederali, nonché le associazioni delle vittime, gli operatori della prevenzione e gli organi istituzionali preposti , perchè abbiano a cessare le morti sul lavoro: ieri 2 ottobre ad esempio 6 morti, oggi 3 ottobre 4 morti. Nemmeno sappiamo quanti sono quelli che sono morti per malattie da lavoro e quelli che oggi si sono stati contaminati da sostanze tossiche e cancerogene magari irrimediabilmente.

Fulvio Aurora 3 ottobre 2008


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.: Le lotte per la salute nei luoghi di lavoro :.
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