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oggi è il: 03|07|2024
Documento inviato al gruppo di lavoro "sanità" della Fabbrica del Programma

Critiche alla bozza di programma dell’ Unione
Note critiche per le parti che riguardano la sanità e l’assistenza
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Abbiamo trovato sul sito di CARTA la bozza del programma dell’UNIONE per le prossime elezioni politiche. Il programma è stato predisposto da gruppi ristretti di persone appartenenti ai partiti che compongono l’UNIONE. La bozza di programma inoltre, così come pubblicata da CARTA, è stata contestata, da alcune delle parti contraenti, perché trovata non congruente con gli accordi presi. Si pensa pertanto che sarà prossimamente modificata. Sono state previste delle assemblee regionali e nazionali per presentare la bozza di programma e discuterla con le formazioni sociali, anche se allo stato non sono note le date e i luoghi dove ciò avverrà (e nemmeno è sicuro che avverrà).

A differenza pertanto di quanto avvenuto in Lombardia, dove la predisposizione del programma è avvenuto un gruppo di lavoro aperto costituito da partiti, associazioni, movimenti e sindacati che, a conclusione, ha discusso con gli organi dei partiti per arrivare a sancirlo in via definitiva, a livello nazionale il metodo è stato rovesciato.

Detto questo lo scrivente, a titolo personale, per aprire e facilitare la discussione ritiene opportuno muovere alcune critiche e fare altre riflessioni sul testo allegato.

Sono stati esaminati i capitoli: “La nuova rete dei diritti di cittadinanza” (pag. 194); “Diritto alla salute e nuovo Welfare. Le priorità di una politica riformatrice”( pag. 202); inoltre l’accenno “strano” accenno ai farmaci a pag. 151. 1.Tale accenno ad avviso dello scrivente è tanto strano quanto ridicolo: “Politiche di liberalizzazione e di trasparenza crediamo che vadano attuate anche nel nei settori della distribuzione dei farmaci e dei taxi”. Tale affermazione, considerato quello che precede e quello che segue, non si direbbe un errore, esprime piuttosto la considerazione che il farmaco è una merce qualunque. La domanda è se questa inaccettabile concezione del farmaco è connessa con la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla COOP che stabilisce la possibilità di vendita dei farmaci da banco nei supermercati (si veda l’apposito commento alla fine).

2.Un secondo punto inaccettabile è quello che individua la famiglia come luogo di cura. Al di là della discutibile enfasi posta sulla famiglia in tutto il capitolo non esiste alcune legge che stabilisca ciò, non solo, ma pure, di fronte per esempio a persone gravemente malate, sarebbe grave che lo sia; non ultimo si fa presente che questo pensiero corrisponde ad una visione distorta della sussidiarietà così sostenuto dal “nostro” presidente Roberto Formigoni.

3.In generale in questo capitolo, (ma anche negli altri) esistono elenchi di cose da fare condivisibili ed ovvie, a cui non seguono proposte di azioni concrete. Tali proposizioni allungano inutilmente il discorso a scapito di altri argomenti che restano assolutamente esclusi.

4.Nel capitolo successivo (pag. 196) si parla di stabilire i livelli essenziali di assistenza come stabilisce il titolo V della Costituzione, quando, almeno per la sanità tali livelli sono stati previsti, mentre i livelli propri dell’assistenza (LIVEAS) stabiliti dalla legge 328/00 non sono stati sanciti dall’attuale governo. Tuttavia nel programma non è chiarito se vi sia corrispondenza tra livelli essenziali e diritti esigibili. In altri termini nella pratica non sembra che sia così: infatti nel testo dei LEA (DPCM del 29.11.01 diventato legge con la finanziaria per il 2003 - art. 54) al punto C viene stabilita una tariffazione per i servizi residenziali e semiresidenziali per le persone croniche non autosufficienti, i malati, mentali, i tossicodipendenti, gli handicappati gravi, i malati di AIDS. Il programma dell’UNIONE dovrebbe prevedere l’abolizione di questa distorsione, se mai una sua chiara e condivisa ridefinizione (anche in riferimento al decreto legislativo 130/00).

5.Il paragrafo sui servizi per la non autosufficienza è piuttosto criticabile. Già nella definizione. La non autosufficienza è una conseguenza di una pesante condizione patologica (Si tratta di persone malate croniche affette da diverse patologie) che hanno bisogno di maggiori cure e assistenza che, devono essere garantite gratuitamente (salvo la previsione dei LEA di cui sopra) piuttosto che essere messe nelle mani delle organizzazioni non profit. Non è possibile che la sanità pubblica abdichi di fronte alle persone più gravi (domanda: ma questo non avviene anche in altri casi ad esempio in quelli di persone malate mentali gravi o di tossicodipendenti?). Togliere le provvidenze attuali, quali l’invalidità e l’assegno di accompagnamento in previsione di un sistema assicurativo che fornisce prestazioni monetarie agli utenti che potranno servirsene utilizzando i servizi offerti dal no profit (e dal profit) è fare la scelta del certo per l’incerto. La soluzione deve essere diversa e cioè se le risorse per fare fronte al crescente numero di persone croniche non autosufficienti (comunque da verificare) non sono adeguate occorre aumentarle, tramite prelievo fiscale universale i cui proventi possono costituire il fondo per la cronicità e non autosufficienza da inserire come apposito capitolo nel fondo sanitario nazionale. Altrimenti, come viene affermato nel testo del programma a pag. 202 si finisce “per operare uno smantellamento della sanità pubblica... e rendere inevitabile l’introduzione dei fondi privati assicurativi”.

6.Perché vi sia (pag. 203) un sistema sanitario nazionale , pubblico, universalistico, solidale” e - gratuito - (gratuito è rimasto nella penna) occorre essere più precisi e concreti, e non dimenticare di affrontare e risolvere altri importanti problemi che non possono restare nella penna. E cioè:

a)deve essere ridefinito il rapporto pubblico-privato, pertanto occorre chiarire che le sperimentazioni gestionali, le fondazioni, la sanità integrativa gestita dal pubblico vanno nella direzione opposta a quella auspicabile ed auspicata

b)che non è sufficiente dire che le risorse per il servizio sanitario nazionale devono essere incrementate, ma occorre aggiungere di quanto. Nella fattispecie considerando che la sanità pubblica ha bisogno di battere le disuguaglianze fra nord e sud e fra ceti sociali occorre arrivare a definire che la spesa sanitaria allo stato attuale deve arrivare, al netto degli sprechi, all’8% del PIL. Non si devono chiedere soldi all’INAIL, occorre invece costringere l’INAIL a riconoscere gli infortuni e le malattie professionali, particolarmente i tumori professionali, quindi a pagare le rendite e i risarcimenti ai lavoratori.

c)fra gli sprechi e le ingiustizie, come viene detto nel testo del programma, occorre considerare la libera professione intramoenia che, se si vuole veramente superare, richiede pure il superamento dell’esclusività del rapporto di lavoro a favore della piena incompatibilità.

d)In fatto di superamento non si può finalmente dimenticarsi di passare ad altro sistema diverso da quello dei pagamenti a prestazione (DRG) arrivando come abbiamo già affermato nel programma elettorale dell’UNIONE per le elezioni regionali lombarde ad un sistema a quota capitaria e budget “che paga la salute piuttosto che la malattia”.

e)Non ultimo deve essere ridato in sanità un potere maggiore ai comuni a scapito di quello dei direttori generali che abbiamo visto preoccupati e costretti ad occuparsi di spesa (di taglio della spesa) piuttosto che di salute dei cittadini.

7.E’ impensabile ed assurdo poi che il programma dell’UNIONE si sia dimenticato di inserire un discorso tanto sintetico quanto chiaro sulla salute mentale, sulle tossicodipendenze, sulla salute dei migranti e dei nomadi e che sulla prevenzione si parli di definire un piano senza entrare nel merito dei nodi principali e dei finanziamenti specifici. In un contesto del genere è ovvio che proposte innovative come quelle della casa della Salute non possano trovare spazio.

SULLA PROPOSTA DI LEGGE DELLA COOP SUI FARMACI AL SUPERMERMERCATO.

Sui farmaci e la proposta della COOP di vendita dei farmaci (di fascia C) nei supermercati Abbiamo avuto occasione di fare un incontro informale di approfondimento sul tema con alcuni esperti. La proposta di legge di iniziativa popolare della COOP servirebbe a provocare abbastanza concorrenza per il prezzo dei farmaci da banco. Per definizione questi farmaci sono quelli cui non esiste una sufficiente documentazione scientifica di efficacia, oppure se così non è, ve ne sono di analoghi fra quelli essenziali prescrivibili dal servizio sanitario nazionale. Per cercare di evitare la critica di ridurre il farmaco a merce la COOP dispone la presenza di un farmacista nello spazio adibito alla vendita. Il farmacista dovrà dunque consigliare il cliente a non utilizzare la gran parte di quei farmaci o a rivolgersi al proprio medico di medicina generale per avere la prescrizione corretta e gratuita (salvo il ticket) del farmaco con principio attivo corrispondente. La contraddizione è evidente perché il difetto sta all’origine e cioè che sia nella farmacie che, a maggior ragione, nei supermercati, il ricarico per la farmacia del farmaco da banco è piuttosto elevato (il 27%), quindi pure l’interesse a venderlo. Avremo quindi fatto un ottimo servizio, soprattutto di educazione alla salute, alla popolazione: gli avremo dato la possibilità di acquistare più farmaci a minor prezzo, senza spiegare che la loro efficacia è inesistente e, a volte, dannosa e senza indicare quali sono i rimedi alternativi. Molti ricorrono ai farmaci da banco per problemi di tempo o di lavoro, pensando che così guariscono prima o comunque resistono di più. Anche questo probabilmente non è vero o è discutibile e se lo fosse il problema dovrebbe essere affrontato su un altro piano, ad esempio combattendo il lavoro precario e non meno combattendo contro l’inquinamento ambientale e la nocività da lavoro nonché gli stili di vita sbagliati. Comunque oltre questa non semplice soluzione (e l’UNIONE che dice in merito?) quanto meno occorrerebbe modificare le forme di ricarico dei farmaci a favore delle farmacie. Assicurare loro certamente il guadagno attuale, ma poi incentivarli a informare i cittadini in ordine all’efficacia dei farmaci e alle loro alternative. Per assurdo si dovrebbero dare più soldi a chi vende meno farmaci...

Fulvio Aurora

Milano, 23.01.06


Allegato: bozza di programma dell’UNIONE

La nuova rete dei diritti di cittadinanza: la persona e la famiglia

Un gran numero di cittadini e di famiglie versa, nel nostro paese, in condizioni di crescente disagio economico. In Italia abbiamo il più elevato tasso disuguaglianza dei redditi disponibili fra i paesi più sviluppati. Il 19% della popolazione vive sotto la cosiddetta linea di povertà relativa, contro una media europea del 15% (9% in Svezia, 11% in Germania, 15% in Francia). Gli anni recenti inoltre hanno visto aumentare l’instabilità temporale dei redditi e, con essa, il senso di vulnerabilità. Le posizioni relative di operai e impiegati sono significativamente peggiorate. Non mancano fenomeni estremi, come il lavoro minorile che riguarda oggi in Italia circa 400 mila bambini. Gli oneri a carico delle famiglie continuano, al contempo, a crescere. Crescono, ad esempio, i costi della non auto-sufficienza e dei figli, non solo minori. Al riguardo, si ricorda che ben il 70% dei giovani tra i 25 e i 29 anni vive con i genitori, nella sostanziale impossibilità di rendersi autonomi e di formare nuove famiglie. Le difficoltà colpiscono ormai anche le famiglie con redditi medi, e divengono insostenibili per le famiglie monoparentali. Fra le donne in età 30-39 anni la decisione di avere un figlio coincide con un abbassamento di oltre 30 punti della partecipazione al mercato del lavoro. Fenomeni simili si verificano anche fra le donne più giovani, e la causa principale è di tipo economico piuttosto che culturale e personale. Esercitare il diritto alla maternità per molte donne significa dovere rinunciare a quello al lavoro. Non stupisce che il tasso di fertilità femminile nel nostro paese sia il più basso d’Europa e che la denatalità sia divenuta un fenomeno allarmante, con il risultato che siamo anche il paese più vecchio. Gli ultra-sessantacinquenni sono oggi il 16,5% della popolazione e fra cinque anni saliranno al 20,4%. Nel 2030 per ogni 100 ragazzi al di sotto dei 15 anni vi saranno 307 persone con più di 65 anni. Negli ultimi anni è mancata una politica economica e sociale nel suo insieme adeguata al sostegno ai redditi bassi e precari e alle responsabilità familiari, alla fornitura di servizi sociali e abitativi alle famiglie e ai trattamenti di disoccupazione. In particolare, è mancato uno strumento generalizzato di contrasto della povertà e dell’esclusione, così come un fondo per la non auto-sufficienza. Le politiche di conciliazione dei tempi sono rimaste ignorate dai contratti di lavoro atipico, dove si concentra l’occupazione delle donne.

L’Unione si impegna a modificare questo stato di cose sostenendo il diritto di ogni persona a costruire il proprio percorso di vita e il ruolo delle famiglie come un luogo di esercizio delle solidarietà intergenerazionali, della cura e degli affetti.

In particolare puntiamo a innovare l’intervento pubblico in modo che le risorse messe a disposizione dal governo centrale: facciano da volano di una più ampia mobilitazione di risorse pubbliche - provenienti dal sistema delle autonomie - e private - il terzo settore e le famiglie stesse, chiamate a compartecipare al costo dei servizi a prezzi accessibili differenziati in base alle loro condizioni economiche; realizzino la massima efficacia possibile nel sostenere i redditi personali e familiari e nel contrastare i fenomeni di povertà ed esclusione sociale e facciano ciò in forme incentivanti comportamenti attivi e non passivi dei beneficiari. I nostri obiettivi sono i seguenti: realizzare due libertà fondamentali per i giovani, quella di rendersi autonomi dalla famiglia di origine e quella di poter costituire una propria famiglia; contrastare la povertà e l’esclusione sociale; ampliare il diritto per le donne di partecipare al mercato del lavoro senza rinunciare al diritto alla maternità; favorire la conciliazione tra vita lavorativa e vita personale e familiare; coniugare il riconoscimento delle famiglie come una espressione della socialità con il rispetto dei diritti dei singoli componenti, compresi i minori; assicurare i diritti dei bambini e delle bambine e realizzare le condizioni per una infanzia libera dal rischio della povertà e ricca di occasioni di socializzazione e di crescita è un dovere di cittadinanza; favorire una vecchiaia attiva, inserita nella rete delle relazioni affettive, familiari e sociali, assicurando al contempo l’assistenza a chi ne ha bisogno; riconoscere la cura come questione di giustizia sociale, il che comporta, fra l’altro, garantire rispetto e tutele ai lavoratori impiegati nelle mansioni di cura.

Perseguire questi obiettivi è parte essenziale della costruzione di un welfare dello sviluppo umano, di una società più libera e solidale. Ed è essenziale anche per riaprire una prospettiva di crescita economica stabile: basti pensare alle ricadute positive sull’economia che derivano dalla promozione del lavoro delle donne, con gli effetti positivi sui redditi familiari e sulla natalità, dallo sviluppo del capitale umano dei cittadini, a cominciare dai figli, da una rete di servizi che colmi finalmente un ritardo strutturale dell’economia italiana.

Nel quadro delle responsabilità istituzionali stabilito dal nuovo Titolo V della Costituzione, spetta al governo nazionale: definire i livelli essenziali di assistenza da garantire a tutti i cittadini sul territorio nazionale; realizzare un sistema coerente di sostegno dei redditi e delle responsabilità familiari; predisporre forme di finanziamento che premino l’iniziativa delle autonomie locali, riorganizzando il Fondo nazionale per le politiche sociali (continuamente tagliato dal governo di centrodestra in questi anni) e finalizzandolo alla promozione della rete dei servizi. È questa la cornice entro cui si inseriscono le nostro linee d’azione per un nuovo sistema di welfare.

La conciliazione tra vita lavorativa e vita personale e familiare. Proponiamo di rafforzare le possibilità per ambedue i genitori di usufruire dei congedi remunerati di maternità e paternità; innalzare la quota dello stipendio assicurata ai genitori che fruiscono dei congedi parentali e rafforzare la possibilità di integrare la quota mancante con un anticipo del trattamento di fine rapporto (TFR); vogliamo prevedere una più ampia possibilità di fruire di congedi anche per attività di formazione e riqualificazione professionale, stabilendo e regolamentando anche per questi congedi (come già avviene per quelli parentali) un diritto di fruizione non sottoposto alla volontà del datore di lavoro.

La rete dei servizi per l’infanzia. Ci impegniamo a varare un programma di azione per lo sviluppo del sistema di asili-nido che faccia leva su risorse nazionali e locali e sull’integrazione con il sistema scolastico. A livello nazionale, sulla base di indicatori di evoluzione demografica e di riequilibrio territoriale, proponiamo di destinare una parte del Fondo per le politiche sociali al co-finanziamento dei costi di gestione e di investimento, prevedendo anche la ristrutturazione di immobili di proprietà del demanio, delle Regioni e degli Enti Locali e la loro destinazione al sistema dei nidi per l’infanzia. Le tariffe devono essere accessibili: a questo fine proponiamo che la compartecipazione da parte delle famiglie sia differenziata in funzione delle condizioni economiche. Dal lato dell’offerta, oltre a potenziare l’offerta pubblica, si darà spazio anche all’iniziativa dei soggetti del terzo settore e del privato sociale convenzionati, realizzando un sistema rigoroso di accreditamento e verifica della qualità e prevedendo comunque forme di partecipazione e controllo delle famiglie. Puntiamo anche ad ampliare e modulare gli orari di apertura dei nidi e delle scuola materne in modo da facilitare la conciliazione con gli orari di lavoro dei genitori.

Servizi per la non-autosufficienza. Anche in questo caso proponiamo un programma di sviluppo dell’assistenza domiciliare integrata che estenda e rafforzi le migliori pratiche sperimentate in questi anni da enti locali e organizzazioni non-profit. L’assistenza domiciliare integrata costituisce una forma di servizio più appropriata alle esigenze del cittadino non-autosufficiente rispetto al ricovero in una residenza socio-sanitaria, con l’importante differenza di una spesa per assistito notevolmente inferiore. A livello nazionale si procederà alla definizione dei livelli essenziali di assistenza in questo campo e all’istituzione di un Fondo nazionale per la non autosufficienza in cui far confluire tutte le risorse già oggi impegnate nel settore, predisponendo un percorso di graduale incremento delle risorse a disposizione. Il Fondo provvederà al co-finanziamento degli interventi attuati dagli enti locali sostenendo la diffusione delle migliori pratiche. Le tariffe devono essere accessibili in funzione delle condizioni economiche. Dal lato dell’offerta, oltre a potenziare l’offerta pubblica di servizi, si farà leva su cooperative e soggetti del terzo settore, realizzando un sistema rigoroso di accreditamento e verifica della qualità: si tratta di riassorbire in forme regolari l’offerta di lavoro domiciliare e di dare continuità ed economicità ai servizi.

Il sostegno dei redditi da lavoro. Vogliamo sostituire le attuali deduzioni da lavoro Irpef, di cui non usufruiscono coloro che hanno un reddito inferiore al minimo imponibile, con una detrazione da lavoro rimborsabile, di cui possano usufruire come trasferimento monetario su base mensile coloro che hanno redditi inferiori al minimo (i cosiddetti incapienti). Il sostegno avrà carattere di selettività, rivolgendosi essenzialmente ai lavoratori con redditi medi e soprattutto a quelli con redditi bassi e precari (in particolare, ma non solo, giovani all’inizio della vita lavorativa e donne con rapporti di lavoro discontinui). La detrazione sarà inoltre strutturata in modo da sostenere i redditi in forme incentivanti il lavoro e l’emersione. Il contrasto della povertà e dell’esclusione sociale. Per i cittadini in condizioni economiche particolarmente disagiate prevediamo l’introduzione di un “Reddito minimo di inserimento”, da accompagnarsi con misure di integrazione sociale che favoriscano, nel caso di persone in età da lavoro, l’occupabilità e la formazione e, nel caso di minori, la scolarità. Quanto all’entità del trasferimento, lo Stato deve garantire un livello omogeneo stabilito nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza; la Regione con risorse proprie potrebbero aumentare ed estendere tali trattamenti sia in termini monetari che di servizi. Investire sul futuro: una dote per ogni bambino, un capitale per ogni giovane. Rientrano in questo obiettivo due misure del nostro programma volte ad accompagnare ogni bambino che nasce e a sostenere l’autonomia dei giovani: la prima riconosce il valore sociale della maternità e della paternità dotando ogni bambino di un reddito che aiuta la famiglia fino al raggiungimento della maggiore età; la seconda predispone dalla nascita una dotazione di capitale che il giovane può utilizzare al compimento del diciottesimo anno. In particolare: Un "Assegno per il sostegno delle responsabilità familiari". Proponiamo l’unificazione degli attuali strumenti monetari di sostegno alle famiglie - assegni al nucleo familiare e deduzioni Irpef per figli a carico - in una dote di reddito per il bambino che prende il nome di “Assegno per il sostegno delle responsabilità familiari” e fornisce, indipendentemente dalla condizione lavorativa dei genitori, una integrazione di reddito più consistente dell’attuale e crescente in funzione della numerosità del nucleo familiare. Il sostegno avrà carattere di selettività, rivolgendosi essenzialmente alle famiglie con redditi bassi e medi. Una “Dotazione di capitale per i giovani”. La nostra idea è che al momento della nascita lo Stato apra un conto individuale vincolato a favore del neonato e lo alimenti con specifici contributi annui (integrabili anche con donativi dei familiari) fino al diciottesimo anno di età. Al compimento dei 18 anni, il giovane potrà utilizzare la dotazione accumulata per finanziare periodi di studio o di formazione professionale, avviamento di attività imprenditoriali. La dotazione verrà successivamente restituita a tasso zero in un arco temporale sufficientemente lungo (ovviamente gli eventuali donativi dei familiari non vanno restituiti). Analoghi conti individuali verranno istituiti per quanti al momento del varo della legge siano in età compresa tra 0 e 17 anni.

Risolvere il “problema casa” Alle politiche abitative va assegnata una priorità nazionale: i trend in atto e i presumibili sviluppi futuri stanno progressivamente facendo emergere nuovi fabbisogni e aree di disagio abitativo, concentrate in segmenti sociali ben definiti: i lavoratori atipici e le famiglie monoreddito, gli anziani, i lavoratori in mobilità e gli studenti, gli immigrati. In particolare i problemi che emergono sono i seguenti: impossibilità di accesso alla proprietà della casa da parte delle famiglie a basso reddito e rigidità del mercato degli affitti, con conseguente espulsione nell’hinterland di giovani coppie; aggravamento dei problemi della mobilità e riduzione della flessibilità della vita urbana; difficoltà a rispondere adeguatamente alla domanda residenziale esercitata dai cittadini immigrati; decadimento della qualità della vita nelle aree urbane in corrispondenza dell’incremento dell’emarginazione sociale generata dai fenomeni di degrado degli insediamenti residenziali periferici e dalle difficoltà di integrazione nel tessuto economico e relazionale dei residenti. Rispetto a questa situazione, la via di intervento rappresentata dai sostegni finanziari alla domanda, nei termini per così dire “classici” dei contributi per l’affitto o dei dibattuti fondi di garanzia pubblici sui mutui ipotecari, è utile ma non è sufficiente. Il rischio è quello di rincorrere il mercato e assecondare la crescita dei prezzi, mentre per dare una risposta ai nuovi bisogni, occorre sviluppare politiche abitative sul versante dell’offerta. Crediamo perciò che occorra recuperare un ruolo pubblico di indirizzo, intervento e regolazione del mercato, finalizzato all’aumento dell’offerta di alloggi a canoni accessibili attraverso: programmi di edilizia sociale impostati sul recupero della città esistente (recupero, sostituzione, completamento); interventi di edilizia residenziale pubblica finalizzati ad una locazione agevolata e selettiva, realizzabili anche mediante partnership pubblico-private e strumenti di project financing. In generale, crediamo nella necessità di uno sforzo convergente del governo centrale, delle regioni, degli enti locali, attivando risorse pubbliche e private. L’operatore privato, grazie alla partecipazione pubblica che abbatte i costi d’investimento, potrà impegnarsi a concedere l’utilizzo integrale o parziale dell’immobile a canoni agevolati, percependo comunque una remunerazione congrua sui capitali investiti. I Comuni saranno dal canto loro incentivati a realizzare soluzioni di “canone solidale” rivolte alle fasce basse.

D’altra parte, vogliamo anche rendere più mirati ed efficaci i sostegni finanziari alla domanda: ristabilendo una fonte di finanziamento certa, stabile e adeguata al fondo di sostegno per le famiglie in affitto con difficoltà; predisponendo una serie di misure per favorire la concessione di mutui adeguati per la prima casa e l’accesso alla proprietà per le giovani coppie e altri soggetti.

Con riferimento alla questione degli sfratti, proponiamo interventi volti a garantire il passaggio da casa a casa per i soggetti deboli. A questo scopo, vanno promosse e sostenute le iniziative regionali per l’istituzione di “fondi di rotazione” per alloggi in locazione, anche utilizzando i proventi derivanti dal contrasto alla elusione e all’evasione fiscale nel settore della casa.

Infine, crediamo che il mercato degli affitti privati possa essere moderato anche attraverso lo strumento dell’incentivazione fiscale. Pensiamo a una più marcata detassazione degli affitti, a misure che incentivino gli affitti a canone concordato, a un intervento sulla fiscalità della casa che penalizzi lo sfitto, anche ai fini di un vero contrasto al canone nero, e a una diversa modulazione dell’ICI. Per riequilibrare a favore dei cittadini meno abbienti la contribuzione fiscale sulla casa, riteniamo opportune anche la revisione delle zone censuarie e degli estimi catastali.

Diritto alla salute e nuovo welfare locale. Le priorità di una politica riformatrice

Nel nostro paese è cresciuta la domanda di politiche pubbliche che combattano la precarietà, offrano sicurezza e siano di accompagnamento e sostegno alla normalità della vita delle persone e delle famiglie, soprattutto nei loro compiti di cura verso i bambini e gli anziani a partire dalle persone più fragili.

A fronte di ciò, il sistema del welfare è oggi in grande sofferenza a causa dell’incapacità di rispondere a una domanda di salute sempre più esigente, personalizzata, di qualità, a sua volta aggravata dai seguenti fattori: assenza di investimenti, sottofinanziamento della spesa pubblica, indebitamento strutturale delle regioni e contemporaneo aumento della spesa privata a carico dei cittadini; assenza di una presa in carico dei nuovi bisogni emergenti, derivanti dai profondi mutamenti del quadro demografico e epidemiologico, dall’aumento degli anziani e dai crescenti bisogni della non autosufficienza, dalla crescente incidenza delle malattie cronico-degenerative, dalla presenza degli immigrati; inadeguatezza del sistema della formazione, sia sul versante universitario che in quello dell’aggiornamento permanente, e di quello della ricerca; malessere dei professionisti, causato dalla crescente precarizzazione dei rapporti di lavoro, dal peso eccessivo dei direttori generali e da uno scarso coinvolgimento nella vita delle aziende sanitarie; aumento del divario tra Nord e Sud del paese, con un Mezzogiorno che non è in grado di fare sistema e accumula ritardi e inefficienze; aumento delle disuguaglianze sociali nello stato di salute della popolazione.

In particolare, con le politiche del governo di centrodestra, si è passati da una politica sanitaria a una mera politica finanziaria, che ha prodotto uno smantellamento strisciante della sanità pubblica, sempre più sotto-finanziata, privatizzata, dequalificata. L’obiettivo è stato quello di rendere insostenibile finanziariamente il sistema e di erodere la fiducia e il consenso dei cittadini, per rompere il patto di solidarietà per una sanità “di tutti, per tutti” e rendere inevitabile l’introduzione dei fondi privati assicurativi. E’ in gioco non solo la quantità e la qualità del sistema sanitario nazionale, ma la sua stessa natura, le sue finalità, la sua sopravvivenza. Per altro verso, il welfare locale comunitario basato sulla rete integrata dei servizi, sul quale avevano investito con successo i governi di centrosinistra, ha dimostrato di essere una risposta efficace per promuovere benessere, coesione sociale e per prevenire il disagio oltre che prenderlo in carico quando esso si manifesta. I bisogni di sicurezza dei cittadini, la lotta alla precarietà, la necessità di una politica che accompagni e sostenga tutte le stagioni della vita e che sostenga le responsabilità familiari confermano oggi la validità degli obiettivi della legge quadro sull’assistenza voluta dai governi di centrosinistra (legge n. 328 del 2000). Ciò nondimeno il governo del centrodestra ha colpito pesantemente il welfare locale e ha totalmente abbandonato le politiche per l’assistenza avviate dai governi di centrosinistra. In particolare, in questi ultimi cinque anni: non sono stati definiti i livelli essenziali di assistenza; è stato cancellato il Reddito minimo di inserimento, senza aver introdotto nessun’altra misura di contrasto alla povertà; non è stata attuata la delega per il riordino della invalidità; non sono stati definiti i profili professionali sociali; non è stata definita la Carta dei servizi, strumento fondamentale perché i cittadini possano “esigere” i loro servizi; si è "svuotato" di risorse il Fondo sociale nazionale.

È il momento di cambiare. Dobbiamo recuperare la consapevolezza che le politiche sociali e i servizi al cittadino servono anche a rendere più solida e competitiva l’economia del territorio. In tal senso, riteniamo che gli istituti del welfare, nelle loro diverse articolazioni, debbano essere non solo difesi, ma potenziati e diffusi su base universale, per soddisfare i bisogni sempre più complessi delle persone e delle famiglie e per rendere esigibili i diritti fondamentali costituzionalmente tutelati. Il nuovo modello di welfare attivo che proponiamo deve non solo proteggere dai rischi, ma soprattutto stimolare la crescita delle opportunità personali e sociali, promuovendo la coesione tra i gruppi sociali. In altri termini, vogliamo un welfare forte, universalistico, personalizzato e attivo: un welfare che sia non solo risarcitorio, ma di stimolo allo sviluppo. Questo obiettivo richiede una generale ricalibratura delle politiche sociali, a livello centrale e periferico. In primo luogo, crediamo nel rilancio del welfare locale e in un sistema di politiche sociali finalizzate all’integrazione socio-sanitaria e alla medicina del territorio, quale condizione per garantire la sostenibilità stessa di un sistema sanitario nazionale, pubblico, universalistico e solidale. A tal fine, indichiamo cinque priorità: 1)la preferenza dei servizi alle persone e alle famiglie rispetto ai trasferimenti monetari i quali possono integrare le rete dei servizi, ma non essere lo strumento prevalente. Tale scelta è conseguente all’obiettivo della “promozione attiva della persona” e della valorizzazione di tutte le sue capacità; 2)il mantenimento di una funzione nazionale di indirizzo, definizione di obiettivi, accompagnamento, monitoraggio dei risultati ottenuti, attraverso la metodologia del dialogo e della cooperazione tra i diversi livelli istituzionali e con i soggetti e le forze sociali. In particolare crediamo che una grande attenzione debba essere dedicata al Mezzogiorno, la cui rete di servizi sociali registra gravissime carenze. La nostra idea è quella di un federalismo solidale che abbia come obiettivo prioritario il superamento dello svantaggio nelle aree più deboli e nel Mezzogiorno; 3)l’incremento del Fondo sociale nazionale per garantire il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza. In particolare, puntiamo ad assicurare - attraverso le risorse finanziarie pubbliche nazionali e in coerenza con l’individuazione dei livelli essenziali di assistenza da assicurare su tutto il territorio nazionale - i diritti soggettivi all’assistenza per le persone in condizione di povertà e per le persone con disabilità. Una particolare attenzione intendiamo riservare in questo contesto ai diritti per l’infanzia e l’adolescenza, al sostegno delle responsabilità familiari, alla cura degli anziani. Un sistema di monitoraggio dovrò infine valutare attentamente i risultati ottenuti; 4)l’integrazione tra le politiche sociali, sanitarie di inserimento lavorativo e scolastico con le politiche urbanistiche, dei trasporti e del territorio attuando veri e propri “Piani regolatori del sociale”. Solo così si potranno massimizzare le risorse, rendere efficaci gli interventi, promuovere obiettivi di benessere sociale; 5)la promozione, l’incentivare e il sostegno a tutte le forme di legame sociale, dal volontariato all’associazionismo, al mutuo aiuto, alla partecipazione civica dei cittadini perché il legami tra le persone e la comunità combattono la solitudine e promuovono la cittadinanza. A tal proposito proponiamo di istituire un “Forum nazionale del legame sociale” che raccolga le buone pratiche diffuse sul territorio affinché il “fare comunità” diventi una vera e propria impalcatura del welfare.

In secondo luogo, rilanciamo le politiche di promozione della salute come grande questione del Paese. Le politiche sanitarie intervengono direttamente sulla tenuta e sulla riqualificazione del sistema di welfare, pubblico e universalistico, ma anche sul modello economico, sull’idea stessa di sviluppo. Intrecciano le politiche fiscali, redistributive, economiche, occupazionali, sociali, della difesa ambientale. La salute è indicatore primario delle condizioni di vita e di lavoro, delle capacità relazionali delle persone e misura le disuguaglianze sociali, territoriali, di genere. L’Unione intende promuovere l’obiettivo di “valutazione di impatto sulla salute” cui subordinare la coerenza di tutti i provvedimenti di politica economica, a livello nazionale ed anche europeo. La salute quindi al centro delle politiche di coesione sociale e di sviluppo umano.

Per rilanciare la sanità pubblica, serve una grande battaglia di idee, di principi e di valori. Diritto alla salute significa una diversa idea del mondo (dove la globalizzazione non sia solo quella dei mercati ma dei diritti), della società (dove la democrazia sia fondata sulla giustizia sociale). Diritto alla salute significa una sanità pubblica e universalistica, che garantisce servizi e prestazioni, ma anche informazione e consapevolezza dei cittadini come soggetti attivi delle scelte; che mette al centro il valore della dignità della persona e della personalizzazione della cura; che unisce in un patto per la qualità i bisogni e i diritti degli operatori con quelli dei malati. Diritto alla salute significa forte eticità della politica e laicità della legislazione. Il diritto alla salute è un bene per le persone e un investimento per il paese. Non si parte da zero. Il programma dell’Unione riparte dalle leggi del centrosinistra di riforma del servizio sanitario nazionale e dell’assistenza (D.Lgs. n. 229 del 1999 e L. n. 328 del 2000)e dai principi ispiratori di difesa e riqualificazione del sistema sanitario nazionale: universalità e solidarietà, per assicurare a tutti e su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di assistenza; programmazione dei bisogni di salute e reperimento delle risorse adeguate per il loro soddisfacimento; centralità del cittadino e del territorio, dell’integrazione socio-sanitaria; ruolo degli Enti locali nella programmazione e nel controllo dei risultati; regole certe per l’accreditamento delle strutture private; fondi integrativi per prestazioni aggiuntive ai livelli essenziali di assistenza; professionalità e aggiornamento continuo degli operatori per la qualità dei servizi.

Ma si deve andare oltre. Oggi per salvare la sanità pubblica non si può rimanere sulla difensiva. Per rilanciare la sanità pubblica, occorre riqualificarla. Non si tratta quindi soltanto di applicare la riforma sanitaria del centrosinistra, ma di andare oltre: servono risposte che siano percepibili dai cittadini come concreto miglioramento dei loro bisogni di salute.

Cambiare si può. La sfida che assumiamo è quella di dimostrare che migliorare il sistema sanitario pubblico e universalistico improntato sull’equità e sulla qualità è necessario e possibile. Di fronte agli scenari catastrofisti sull’insostenibilità dei sistemi sanitari pubblici e universalistici, occorre ribadire che sono invece in crisi gli altri modelli che hanno introdotto il mercato nella sanità, con minore equità e maggiori costi. Il sistema è malato, ma si può curare: serve il coraggio e la responsabilità delle scelte.

Le nostre priorità, i nostri obiettivi sono i seguenti : Il cittadino al centro del sistema: la sanità che vogliamo cura e si prende cura della persona, l’accompagna e la sostiene rispettandone i diritti e la dignità. E’ una sanità che mette al centro il cittadino e non la prestazione, la globalità della persona e non le sue parti malate. Pensiamo ad un sistema che consideri il diritto alla salute un diritto di cittadinanza direttamente esigibile.

La presa in carico e la continuità assistenziale è il grande cambiamento su cui l’Unione intende investire. Si tratta di ribaltare la tendenza "ospedalocentrica" del sistema, per lo sviluppo della rete dei servizi territoriali, dei distretti, della medicina delle cure primarie, dell’integrazione socio-sanitaria, della personalizzazione dei percorsi di prevenzione, cura e riabilitazione.

Prevenzione: una cultura da affermare nella programmazione e nella organizzazione degli interventi del sistema socio-sanitario, finalizzato ad implementare la qualità della vita e il benessere delle persone e a preservare lo stato di salute dall’insorgenza di malattie e disabilità. Crediamo nel rafforzamento del ruolo del sistema sanitario nazionale nella individuazione e valutazione dei fattori di rischio e nella valutazione dell’effetto dei programmi di prevenzione. Vogliamo investire sulla prevenzione delle grandi patologie (tumori, malattie cardiovascolari, malattie cronico-degenerative) e sullo sviluppo dei consultori in termini di risorse, strutture, personale. L’Unione propone inoltre un "Piano nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro" che rafforzi il ruolo indipendente del sistema sanitario nazionale in campo ambientale e occupazionale, che indirizzi la legislazione regionale, promuova le buone pratiche, anche per il superamento dei criteri degli appalti al minimo ribasso.

Sviluppo della medicina delle cure primarie, per una sanità che vuole cambiare il modo di accogliere, ascoltare e rispondere ai problemi delle persone. La medicina delle cure primarie deve diventare secondo noi un vero livello del sistema sanitario nazionale, articolato, organizzato, finanziato: deve essere capace di assistere 24 ore su 24 il cittadino; deve affrontare tutte le patologie che non necessitano di ricovero ospedaliero; deve sostenere il malato nel suo passaggio in strutture di degenza per poi tornare nella rete dei servizi territoriali. La responsabilità nella continuità assistenziale richiede un ruolo sempre più centrale della figura del medico di famiglia, che deve essere sempre più specializzato rispetto ai bisogni emergenti, coordinato con gli altri professionisti per gli interventi di assistenza domiciliare ed essere coinvolto nella gestione sanitaria del servizio. Occorre inoltre investire nella prevenzione e nella cura delle malattie rare.

Piano straordinario per le fragilità per la presa in carico e la continuità assistenziale delle fasce deboli (bambini, anziani, pazienti cronici, disabilità, salute mentale, dipendenze, medicina penitenziaria,immigrati). Crediamo che i diritti delle fasce deboli siano gli obiettivi forti di un sistema universalistico. Il diritto alla cura, all’assistenza, ma anche all’inserimento scolastico e lavorativo, alla restituzione sociale devono essere obiettivi dell’integrazione socio-sanitaria, intesa come strumento per interpretare la domanda di assistenza, per il coordinamento della programmazione sociale e sanitaria.

Livelli essenziali di assistenza: adeguare le risorse. Mentre la spesa sanitaria secondo i dati OCSE è ancora sotto la media dei paesi europei sia in termini di livello che in termini di tassi di crescita, il finanziamento per garantire l’applicazione dei livelli essenziali di assistenza a tutti i cittadini e su tutto il territorio nazionale resta insufficiente. L’Unione propone l’adeguamento del Fondo sanitario nazionale per la garanzia piena del finanziamento dei livelli essenziali di assistenza, anche nella previsione di un loro progressivo allargamento, a partire dalla reintroduzione delle cure odontoiatriche. Proponiamo inoltre che la definizione dei livelli essenziali di assistenza sia collegata alla definizione di standard qualitativi dei servizi e alla valutazione dei loro costi medi, nel quadro della ridefinizione dei meccanismi di finanziamento del sistema sanitario e della piena attuazione del federalismo fiscale.

Più risorse e meno sprechi. Il nostro sistema sanitario presenta contemporaneamente da una parte un problema di sottofinanziamento, di carenza di investimenti e dall’altra di inefficienze e di sprechi. Non intendiamo sottovalutare né l’uno, né l’altro. Per questo proponiamo: lotta agli sprechi: corretta programmazione, allocazione equa delle risorse, validi sistemi interni di monitoraggio e controllo della spesa, lotta ai privilegi restano gli strumenti essenziali per evitare e recuperare gli sprechi nella sanità. A tal fine proponiamo di migliorare la conoscenza delle prestazioni del sistema e sostenere la diffusione delle best practices. L’informatizzazione del sistema deve semplificare la comunicazione tra gli attori del sistema e ridurre gli sprechi determinati da prescrizioni inutili; un "Piano straordinario di investimenti per il sistema sanitario nazionale", per realizzare un programma decennale di interventi e per rilanciare le ristrutturazioni edilizie e l’ammodernamento tecnologico.

Un "Fondo per lo sviluppo delle risorse umane e materiali del Mezzogiorno" per realizzare un programma decennale di interventi per l’implementazione dei servizi territoriali, per la prevenzione e le cure primarie, per la ristrutturazione edilizia e l’ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario e per la promozione dell’eccellenza e dell’alta specializzazione, nonché la formazione e la qualificazione del personale sanitario e della ricerca biomedica. Proponiamo che le risorse del Fondo siano vincolate alla promozione e al sostegno delle capacità progettuali delle regioni interessate, nonché alla innovazione e alla qualità dei progetti, la cui attenta valutazione è mantenuta a livello centrale. Il Fondo dovrà provvedere al cofinanziamento dei progetti, permettendo l’accensione di operazioni di mutuo con la Banca Europea per gli investimenti. Ulteriori risorse per l’acquisto e la realizzazione di strutture potranno essere disposte dall’INAIL, tenuta a destinare una percentuale dei fondi disponibili per investimenti immobiliari dei settori della sanità.

Ridare fiducia agli operatori della sanità: vogliamo restituire fiducia nel sistema a tutte le professioni sanitarie; contrastare la precarizzazione dei rapporti di lavoro e superare il blocco delle assunzioni, a partire dall’emergenza infermieristica. La qualità del sistema ha bisogno di professionalità, continuità assistenziale, carichi di lavoro adeguati. Puntiamo a investire sulla formazione, correggendo le arretratezze del sistema universitario, ancora troppo sganciato dalle esigenze del sistema sanitario nazionale; modificare la formazione degli specialisti, che vivono in una condizione professionale, sociale ed economica inaccettabile; costruire un collegamento virtuoso tra il mondo della ricerca, la formazione universitaria e le strutture del sistema sanitario nazionale; ribadire l’istituto dell’esclusività di rapporto di lavoro, anche come requisito necessario per la responsabilità di struttura complessa e di dipartimento.

Management sanitario e partecipazione dei cittadini. All’interno della distinzione tra responsabilità politica, manageriale e professionale, crediamo nella necessità di valorizzare le responsabilità di mandato dei professionisti della sanità nell’ambito dei principi fondamentali del sistema sanitaria; promuovere un modello di formazione e selezione trasparente di un management sanitario serio, autorevole e competente, che venga valutato sulla base del raggiungimento degli obiettivi di salute e non solo su standard di gestione aziendale; garantire la partecipazione dei cittadini come effettiva misura dell’efficacia delle politiche pubbliche.

Lo scandalo della sanità a due velocità. Di fronte alle numerose criticità del sistema sanitario nazionale, questo è certamente uno dei più odiosi per il sentimento diffuso della popolazione. Oggi un malato non è libero di scegliere tra sistema pubblico e privato, ma è costretto a pagare privatamente le prestazioni o a ricorrere al regime di intra-moenia, per i tempi lunghissimi delle liste di attesa, causate dalla scarsa appropriatezza prescrittiva e dalle carenze dei sistemi organizzativi. Ci impegniamo a cancellare questa profonda iniquità e inefficienza.

Gli Stati Generali della Sanità e del Sociale. Come primo atto di governo l’Unione propone di indire gli Stati generali della sanità e del sociale, per valorizzare le esperienze degli operatori, dell’associazionismo e degli amministratori locali, per metterle a confronto, per la valutazione dei risultati. Gli Stati generali devono essere strutturati come momento di proposizione e di monitoraggio del programma di governo.

Innovazione e tecnologie per la salute e per l’assistenza. La sanità ha bisogno di innovazione tecnologica, e non soltanto in ambito clinico e diagnostico. Lo dimostra il fatto che in grande parte del sistema sanitario sono ancora i pazienti a spostarsi da una struttura all’altra per fare una prenotazione, a portare i referenti dall’ospedale al medico di famiglia, a trasferire i propri dati clinici dai servizi territoriali a quelli ospedalieri. L’insoddisfazione degli operatori per i sistemi informativi disponibili resta alta e molti decisori sanitari finiscono per vedere tali tecnologie solo come una fonte di crescita dei costi, mentre i benefici e le potenzialità di risparmio vengono trascurati. A questo proposito noi vogliamo: garantire la trasparenza e l’equità nell’accesso alle cure, per le visite, gli esami diagnostici, i ricoveri e ridurre i costi burocratici del sistema sanitario, abbattendo i costi che derivano dalla scarsa comunicazione tra diversi servizi e dalla scarsa condivisione delle informazioni cliniche tra diversi punti del sistema; dare agli operatori socio sanitari gli strumenti per seguire al meglio i cittadini in percorsi di cura più personalizzati e dunque diffondere la disponibilità di reti elettroniche, per l’assistenza e l’aiuto anche a distanza alle persone; diffondere e standardizzare le migliori esperienze di sistemi per l’accesso alle prestazioni sanitarie già realizzate in diverse città e regioni italiane, con servizi unificati di prenotazione a scala metropolitana che semplificano e rendono più accogliente l’accesso alle strutture sanitarie; mettere la tecnologia al servizio della trasparenza nell’accesso ai ricoveri programmati, diminuendo l’attuale svantaggio che incontrano tutti coloro che dispongono di poche informazioni e reti sociali deboli. A tal fine vogliamo aumentare la diffusione di portali informativi ed altri strumenti che favoriscano la responsabilizzazione dei cittadini nelle pratiche di salute; usare le tecnologie per monitorare le condizioni di non autosufficienza, in particolare degli anziani e dei pazienti con malattie croniche. L’uso delle tecnologie può potenziare il sistema delle cure domiciliari, favorendo il mantenimento dei soggetti nel proprio contesto abitativo e sociale il più a lungo possibile. La tecnologia a cui pensiamo non è fatta solo di macchine e fili, non è fatta solo per chi sa usare i computer; è una rete umanizzata, fatta persone che parlano con altre persone avvalendosi della potenza tecnologica e relazionale della comunicazione elettronica e multimediale. E’ una rete elettronica, che si prende cura delle persone accompagnandole con sistemi di tele-informazione, tele-aiuto, tele-assistenza, telemedicina. E’ una rete che favorisce la cooperazione tra gli interventi di tipo sanitario e sociale, tra il sistema pubblico e il privato sociale.

In sintesi, crediamo che la sanità abbia bisogno di una autentica rivoluzione tecnologica-comunicativa basata sull’Information&Communication Technology (ICT), per comunicare in modo nuovo con le famiglie e gli utenti in forma elettronica. La prospettiva è quella della de-ospedalizzazione e dell’utilizzo minimo di costose residenze assistenziali per non autosufficienti, del collegamento costante tra competenze assistenziali e bisogni di salute e di assistenza, del potenziamento dei servizi"home care", dando trasparenza e sicurezza al cittadini, in una prospettiva di continuità assistenziale socio-sanitaria.

Una società solidale: il “non profit” e le reti di protezione sociale

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da uno sviluppo importante e inaspettato dell’intero mondo del “non profit” italiano nelle sue diverse articolazioni: crescita numerica dei volontari, delle associazioni, della cooperazione sociale che ha contribuito ad una profonda trasformazione culturale della società civile italiana di questi ultimi quindici anni. Queste organizzazioni sono divenute un potente fattore di partecipazione dimostrando al paese di saper dare un contributo nel creare solidarietà, democrazia, risposte ai bisogni della gente, sviluppo economico, incremento occupazionale. La moltiplicazione degli enti ha avviato un vero e proprio processo di costituzionalizzazione della società civile: non solo singole organizzazioni, ma anche reti di rappresentanza, consorzi, federazioni, network per la tutela dei diritti, volontariati, imprese sociali. Altrettanto significativo è il protagonismo delle organizzazioni del non profit nei processi di innovazione del welfare: le cooperative di inserimento lavorativo delle categorie sociali più deboli, le case famiglia, le comunità di accoglienza, le politiche verso l’infanzia e i centri giovanili. Tutto ciò ha portato anche ad un cambiamento culturale e sociale: è stato messo al centro il tema della solidarietà sociale, dei diritti e della giustizia anche sul piano internazionale.

Ma il tratto più decisivo è la riemersione del principio costituzionale di sussidiarietà che, con la riforma del titolo V, ha spostato l’accento sul dualismo società civile-privato sociale, rompendo lo schema della gerarchia stato-regione-comune-formazioni sociali. La precedente legislatura di centro sinistra aveva aperto una stagione costituente per il terzo settore italiano: sono state approvate le leggi di regolazione degli aspetti fiscali delle organizzazioni non profit (onlus), la legge sull’infanzia e l’adolescenza, quella sull’associazionismo di promozione sociale. È stato inoltre riconosciuto il Forum del Terzo settore come parte sociale. Un percorso che si è interrotto con il governo Berlusconi, un percorso che deve essere ripreso con il nuovo governo.

Tra i nostri obiettivi vi è innanzitutto una riforma del Codice Civile con riguardo alla disciplina degli enti collettivi, essenziale alla sistemazione organica della legislazione italiana sul Terzo Settore. Inoltre, puntiamo al rilancio del processo di applicazione della riforma dell’assistenza, attraverso l’adozione dei decreti attuativi della legge sull’impresa sociale, alla piena attuazione della riforma della legge sul volontariato: sono passaggi indispensabile per un’ulteriore qualificazione e sviluppo delle politiche di promozione e di coesione sociale. Un secondo obiettivo è quello che riguarda la possibilità di dare al Terzo Settore una propria autonomia economica. È un altro snodo sul quale si gioca la possibilità di sviluppo del Terzo Settore italiano, perché è importante riconoscerne non solo la soggettività giuridica, ma anche quella economica: oggi le organizzazioni attive nel settore socio-assistenziale dipendono per il 70% dal finanziamento pubblico. Tale dipendenza va ridotta agevolando e incentivando fiscalmente le donazioni dei cittadini e delle imprese al non profit, così da indirizzare le risorse dei cittadini verso progetti di utilità sociale; destinando l’8 per mille della parte statale a sostegno delle attività del terzo settore; sostenendo infine la domanda di nuovi servizi che proviene dalle famiglie con forme di deducibilità delle spese per i servizi di cura, per l’educazione e la formazione. Un’attenzione specifica intendiamo rivolgere al campo internazionale dove il vasto mondo della solidarietà, attraverso ONG e associazioni di volontariato, opera ormai da troppi anni in condizioni di precarietà a causa dei continui tagli ai fondi e di una legge sulla cooperazione che non risponde più alle nuove priorità. La riforma della legge è una delle priorità delle nostre politiche di governo.

In definitiva, il ruolo che il terzo settore, come parte sociale e come rappresentanza di un vasto mondo di cittadinanza organizzata, potrà svolgere nei prossimi anni dipenderà anche dal un suo maggiore riconoscimento: è necessario quindi riprendere quel percorso avviato e rimasto incompiuto per un pieno sviluppo di questa realtà che può contribuire fattivamente al rinnovamento ed all’innovazione del sistema di welfare italiano

Analogamente crediamo nel sostegno allo sviluppo del servizio civile attuale, un istituto che si è imposto negli ultimi anni nonostante le ripetute difficoltà finanziare e che si è dimostrato uno strumento importante di crescita di cittadinanza e di esercizio di democrazia. Questa realtà deve poter continuare a svilupparsi e radicarsi nel mondo giovanile come forma di educazione al civismo, alla solidarietà, alla partecipazione, alla costruzione del bene comune. Non possiamo trascurare come una parte sempre crescente di giovani rivolga il suo impegno in forme organizzate, nel volontariato e nelle associazioni, vivendo la cittadinanza come un bene pubblico da cui nascono le reti che garantiscono coesione sociale.

Il servizio civile nazionale, istituito nel 2001 al termine del governo del centrosinistra, è un’esperienza importante che sta velocemente diffondendosi nel paese. Per rispondere a questo desiderio di coinvolgimento di esperienze di confronto e passaggio verso l’età adulta, anche dal punto di vista professionale, intendiamo lanciare per gli anni a venire la proposta di un nuovo servizio civile nazionale, attraverso il quale tutti i ragazzi e le ragazze possano maturare un’esperienza significativa delle vicende e dei problemi del proprio territorio, dei soggetti pubblici e privati che lo animano e che realizzano l’offerta di servizi alle persone e alle famiglie. Un servizio civile per un periodo limitato, da svolgere con modalità flessibili, aperto anche agli stranieri che ne facciano richiesta (se residenti in Italia da un congruo numero di anni) e che, attraverso schemi di partnership tra i governi, offra la opportunità di svolgere questa esperienza anche in altri paesi. Questa proposta richiede di pensare ad un percorso a più fasi che, partendo dal consolidamento del Servizio Civile di oggi, deve vedere lo Stato decentrare progressivamente la gestione del Servizio attuale, per svolgere meglio le funzioni di orientamento, sostegno e controllo di un servizio di qualità . Questa proposta di nuovo servizio civile, che va collegata ai percorsi formativi e universitari, è aperta a dare anche ai giovani lavoratori l’opportunità di offrire la propria esperienza al servizio di un contesto diverso e più ampio.

Se l’azione di consolidamento dell’attuale servizio civile avrà successo, all’interno di una cornice di regole nazionale, la gestione potrà essere decentrata, affidata a Regioni ed enti locali, perché ciascun territorio conosce le sue dinamiche e può, se sostenuto, progettare i miglior interventi in cooperazione con le organizzazioni e le associazioni che lo animano.


Politiche di liberalizzazione e di trasparenza crediamo che vadano attuate anche nei settori della distribuzione dei farmaci e dei taxi. Con riguardo ai farmaci riteniamo che si debba: eliminare il prezzo minimo dei farmaci e il divieto di pubblicità; liberalizzare la vendita dei medicinali da banco e dei prodotti parafarmaceutici; introdurre l’obbligo di prescrizione del principio attivo nelle ricette; prevedere l’esercizio in forma societaria delle farmacie.

Quanto ai taxi proponiamo di: eliminare il divieto di cumulo delle licenze; offrire licenze part-time per giovani disoccupati con adeguate caratteristiche;




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In questa rubrica sono contenuti documenti e articoli relativi alle politiche ambientali ed alla questione degli inquinamenti.
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