SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS – NEWSLETTER N.204 DEL 09/04/15

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SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS – NEWSLETTER N.204 DEL 09/04/15

 

INDICE

  • Obblighi relativi alla presenza di materiale contenente amianto negli edifici – Seconda parte
  • Il RLS e la valutazione dei rischi: come garantire il coinvolgimento dei lavoratori
  • Magazzini sicuri: manutenzione e stabilità delle scaffalature
  • Obblighi e facoltà del lavoratore autonomo
  • Macchine in edilizia: i rischi delle piattaforme di lavoro mobili

 

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

 

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210

 

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OBBLIGHI RELATIVI ALLA PRESENZA DI MATERIALE CONTENENTE AMIANTO NEGLI EDIFICI – SECONDA PARTE

 

A seguito di varie richieste sulla gestione del materiale contenente amianto negli edifici, pubblici o privati, adibiti o meno ad attività lavorative, ho realizzato la seguente relazione relativa a tutti gli obblighi di legge finalizzati alla tutela della salute degli occupanti gli edifici.

 

Come sempre fatto in precedenti occasioni, riporto tale relazione all’interno della mia Newsletter per rendere edotti tutti coloro che la seguono su quelli che sono i loro diritti relativamente alla presenza di amianto.

 

Visto la vastità dell’argomento ho diviso la relazione in cinque parti.

La prima parte (che è stata pubblicata nella Newsletter 203) è relativa a:

  • premessa;
  • normativa di riferimento;
  • localizzazione e caratterizzazione delle strutture edilizie.

La seconda parte (che viene pubblicata nella presente Newsletter) è relativa a:

  • valutazione del rischio da presenza di amianto;
  • interventi di bonifica del materiale contenente amianto.

La terza parte (che verrà pubblicata nella Newsletter 205) è relativa a:

  • metodi di bonifica;
  • programma di controllo dei materiali di amianto negli edifici;
  • modalità di intervento su materiali contenenti amianto o in caso di bonifica.

La quarta parte (che verrà pubblicata nella Newsletter 206) è relativa a:

  • obblighi previsti dal D.Lgs.81/08 per i lavori di demolizione o rimozione di amianto;

La quinta parte (che verrà pubblicata nella Newsletter 207) è relativa a:

  • individuazione delle figure responsabili;
  • come tutelarsi.

 

Marco Spezia

 

 

  1. VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA PRESENZA DI AMIANTO

 

Una volta eseguito un primo inventario della presenza di amianto all’interno di un edifico, sempre a seguito di quanto disposto dall’articolo 12, comma 5 della L.257/92 e delle regole tecniche del D.M.06/09/94 il proprietario dell’edificio deve eseguire una specifica valutazione del rischio qualitativa o quantitativa della possibile dispersione di fibre di amianto dai materiali censiti agli ambienti occupati da persone.

 

Va notato che, nel caso che gli edifici siano adibiti ad attività lavorative (quindi stabilimenti, ma anche scuole, ospedali, ecc.) tale valutazione va ricompresa nella valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza, di cui agli articolo 17, comma 1, lettera a), 28 e 29 del D.Lgs.81/08. In tale caso pertanto, la valutazione del rischio da rilascio di fibre di amianto in ambiente di lavoro, dovrà avere i contenuti formali e sostanziali non solo del D.M.06/09/94 (in parte non prescrittivi), ma anche quelli del D.Lgs.81/08 (sempre prescrittivi e quindi sanzionabili).

 

Secondo il punto 2 il D.M.06/09/94 (carattere corsivo e quindi norma non prescrittiva):

Per la valutazione della potenziale esposizione a fibre di amianto del personale presente nell’edificio sono utilizzabili due tipi di criteri:

  • l’esame delle condizioni dell’installazione, al fine di stimare il pericolo di un rilascio di fibre dal materiale;
  • la misura della concentrazione delle fibre di amianto aerodisperse all’interno dell’edificio (monitoraggio ambientale)”.

Tenendo conto dei limiti del campionamento per la verifica strumentale della misura delle concentrazione delle fibre di amianto (sostanzialmente il fatto che il campionamento caratterizza la situazione solo in un dato momento e in determinate condizioni) il D.M.06/09/94 consiglia sempre anche l’esame visivo delle condizioni del materiale contenente amianto, prescrivendo che (carattere grassetto e quindi norma prescrittiva):

In fase di ispezione visiva dell’installazione, devono essere invece attentamente valutati:

  • il tipo e le condizioni dei materiali;
  • i fattori che possono determinare un futuro danneggiamento o degrado;
  • i fattori che influenzano la diffusione di fibre e l’esposizione degli individui.

Dovrà essere compilata una scheda di sopralluogo, quale ad esempio quella riportata in Allegato 5, separatamente per ciascun area dell’edificio in cui sono presenti materiali contenenti amianto”.

 

Le schede dell’allegato 5 del D.M.06/09/94 devono essere compilate per il complesso dell’edificio esaminato (Parte I “Dati generali”) e per ogni singolo locale esaminato e per ogni tipologia di manufatto contenente amianto (Parte II “Dati particolari”) e devono contenere le seguenti informazioni obbligatorie (visto il carattere prescrittivo delle indicazioni del Punto 2 del Decreto D.M.06/09/94):

  • tipologia del fabbricato;
  • data di costruzione;
  • area totale;
  • numero di piani;
  • numero di locali;
  • tipo di copertura;
  • eventuali ristrutturazioni;
  • ditta costruttrice e/o fornitrice del fabbricato;
  • numero di occupanti;
  • numero di addetti alla manutenzione;
  • possibilità di accesso al pubblico;
  • orari e modalità di accesso al pubblico;
  • persone di riferimento;
  • elenco di dettaglio dei materiali sospetti (prima tabella della scheda I B);
  • elenco di dettaglio dei locali esaminati e degli eventuali campionamenti eseguiti (seconda tabella della scheda I B);
  • eventuali informazioni ricavate dalla documentazione dell’edificio;
  • informazioni di dettaglio di ogni locale esaminato (scheda II A);
  • considerazioni sulla eventuale presenza di materiali per superfici applicati a spruzzo; di rivestimenti isolanti di tubi e caldaie; coperture in cemento amianto;
  • estensione della superficie rivestita da pannelli in cemento/amianto (per ogni locale esaminato);
  • cause del danneggiamento dei pannelli in cemento/amianto (per ogni locale esaminato);
  • altezza da terra dei pannelli in cemento/amianto (per ogni locale esaminato);
  • presenza di barriere per l’accesso ai dei pannelli in cemento/amianto (per ogni locale esaminato).

 

Alla fine del processo di cui sopra è inoltre necessario, in caso di dubbio, eseguire anche campionamenti ambientali dei luoghi di lavoro interessati dalla presenza di amianto, per rilevare l’effettivo rilascio di fibre pericolose nell’aria. Il D.M.06/09/94 infatti prevede (carattere corsivo e quindi norma non prescrittiva):

Quando si presentano situazioni di incerta classificazione è necessaria anche una indagine ambientale che misuri la concentrazione di fibre aerodisperse”.

Le metodiche di campionamento sono descritte in dettaglio nell’Allegato 2 del D.M.06/09/94 stesso.

 

I risultati della valutazione del rischio da dispersione di fibre di amianto in locali occupati da persone, dovranno essere comunicati formalmente alla ASL competente per territorio, in base all’obbligo di cui all’articolo 12, comma 5 della L.257/92.

Inoltre, in caso di locali adibiti ad attività lavorative, i risultati di tale valutazione andranno formalizzati all’interno del documento di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, di cui agli articoli 17, comma 1, lettera a), 28 e 29 del D.Lgs.81/08.

In quest’ultimo caso, secondo gli articoli citati del D.Lgs.81/08:

  • il documento di valutazione dei rischi da dispersione di fibre d’amianto dovrà contenere non solo i risultati della valutazione (condotta secondo i criteri fissati dalla L.257/92 e dal D.M.06/09/94), ma anche le misure di prevenzione e di protezione attuate (confinamento delle aree, apposizione di cartelli, divieto di accesso, ecc.), il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza (ad esempio il programma della bonifica dei materiali contenenti amianto), l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare e dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere (articolo 28, comma 2);
  • il documento di valutazione dei rischi da dispersione di fibre d’amianto dovrà essere consegnato al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (articolo 18, comma 1, lettera o));
  • dei risultati della valutazione del rischio di cui sopra, in termini di rischi specifici per la salute dei lavoratori, dovranno essere resi edotti i lavoratori sia con attività informative (divulgazione dei risultati dell’analisi, ai sensi dell’articolo 36, comma 1, lettera a)), sia con attività formative (acquisizione di competenze per la gestione dei rischi, ai sensi dell’articolo 37, comma 1, lettera b)).

Gli obblighi sopra richiamati per edifici adibiti ad attività lavorative sono a carico del datore di lavoro e/o dei dirigenti dell’azienda, sono sanzionabili e quindi penalmente perseguibili.

In particolare, con riferimento ai citati articoli del D.Lgs.81/08:

  • l’omessa valutazione del rischio (articolo 29, comma 1) è punita dall’articolo 55, comma 1, lettera a) con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro;
  • l’omessa indicazione delle misure di prevenzione e protezione, del programma di attuazione, delle figure aziendali responsabili dell’attuazione (articolo 28, comma 2, lettere b), c), d)) è punita dall’articolo 55, comma 3 con l’ammenda 000 a 4.000 euro;
  • la mancata consegna del documento di valutazione dei rischi al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza è punita dall’articolo 55, comma 5, lettera a) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 750 a 4.000;
  • la mancata erogazione dell’informazione e della formazione ai lavoratori sulla presenza di amianto è punita dall’articolo 55, comma 5, lettera c) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro.

 

A seguito della valutazione del rischio di cui sopra, da formalizzare (carattere prescrittivo) con le schede di censimento di cui all’Allegato 5 del D.M.06/09/94, il proprietario del fabbricato deve classificare ogni materiale contenente rilevato nell’inventario in una delle seguenti categorie definite dal Decreto stesso (carattere corsivo e quindi norma non prescrittiva):

2a) Materiali integri non suscettibili di danneggiamento.

Sono situazioni nelle quali non esiste pericolo di rilascio di fibre di amianto in atto o potenziale o di esposizione degli occupanti, come ad esempio:

  • materiali non accessibili per la presenza di un efficace confinamento;
  • materiali in buone condizioni, non confinati ma comunque difficilmente accessibili agli occupanti;
  • materiali in buone condizioni, accessibili ma difficilmente danneggiabili per le caratteristiche proprie del materiale (duro e compatto);
  • non esposizione degli occupanti in quanto l’amianto si trova in aree non occupate dell’edificio.

In questi casi non è necessario un intervento di bonifica.

Occorre, invece, un controllo periodico delle condizioni dei materiali e il rispetto di idonee procedure per le operazioni di manutenzione e pulizia dello stabile, al fine di assicurare che le attività quotidiane dell’edificio siano condotte in modo da minimizzare il rilascio di fibre di amianto, secondo le indicazioni riportate nel capitolo 4.

2b) Materiali integri suscettibili di danneggiamento.

Sono situazioni nelle quali esiste pericolo di rilascio potenziale di fibre di amianto, come ad esempio:

  • materiali in buone condizioni facilmente danneggiabili dagli occupanti;
  • materiali in buone condizioni facilmente danneggiabili in occasione di interventi manutentivi;
  • materiali in buone condizioni esposti a fattori di deterioramento (vibrazioni, correnti d’aria, ecc.).

In situazioni di questo tipo, in primo luogo, devono essere adottati provvedimenti idonei a scongiurare il pericolo di danneggiamento e quindi attuare un programma di controllo e manutenzione secondo le indicazioni riportate nel capitolo 4. Se non è possibile ridurre significativamente i rischi di danneggiamento dovrà essere preso in considerazione un intervento di bonifica da attuare a medio termine.

2c) Materiali danneggiati.

Sono situazioni nelle quali esiste pericolo di rilascio di fibre di amianto con possibile esposizione degli occupanti, come ad esempio:

  • materiali a vista o comunque non confinati, in aree occupate dell’edificio, che si presentino:
  • danneggiati per azione degli occupanti o per interventi manutentivi;
  • deteriorati per effetto di fattori esterni (vibrazioni, infiltrazioni d’acqua, correnti d’aria, ecc.), deteriorati per degrado spontaneo;
  • materiali danneggiati o deteriorati o materiali friabili in prossimità dei sistemi di ventilazione.

Sono queste le situazioni in cui si determina la necessità di un’azione specifica da attuare in tempi brevi, per eliminare il rilascio in atto di fibre di amianto nell’ambiente”.

 

A seguito della formalizzazione (mediante schede di rischio quali quelle di cui all’Allegato 5 del D.M.06/09/94) del rischio da dispersione di fibre di amianto negli ambienti occupati da persone, dovranno essere definiti specifici interventi per eliminare tale dispersione o ridurla al limiti definiti dalla D.M.06/09/94 al punto 2:

Per questo motivo si ritiene che valori superiori a 20 ff/l [fibre per litro di aria] valutati in MOCF [Microscopia ottica in contrasto di fase] o superiori a 2 ff/l in SEM [Scanning Electron Microscope], ottenuti come valori medi su almeno tre campionamenti, possono essere indicativi di una situazione di inquinamento in atto

 

 

  1. INTERVENTI DI BONIFICA DEL MATERIALE CONTENENTE AMIANTO

 

Una volta che il materiale contenente amianto è stato individuato, localizzato, classificato e censito, si devono definire gli interventi di bonifica del materiale che per le sue caratteristiche intrinseche (in matrice fibrosa, floccato o compatto), stato di conservazione ed esposizione ad agenti esterni (correnti d’aria, infiltrazioni di acqua, vibrazioni) può causare rilascio di fibre di amianto, comportando esposizione degli occupanti dell’edificio superiore ai limiti definiti dal D.M.06/09/94 e sopra richiamati.

 

Relativamente all’obbligo di eseguire la rimozione, occorre distinguere tra edifici destinati solo ad abitazione ed edifici ospitanti attività lavorative.

 

Nel primo caso (assenza di attività lavorative all’interno dell’edifico) le norme applicabili sono la L.257/92 e il D.M.06/09/94, che non contengono obblighi prescrittivi (e quindi sanzionabili) di bonifica dell’amianto per il proprietario dell’edificio.

In pratica non sussiste obbligo di bonifica, sancito per legge, quale che siano le caratteristiche del materiale contenente amianto o la concentrazione di fibre nell’aria.

Allo stato attuale vi è l’obbligo di bonifica di manufatti contenenti amianto solo a seguito di ordinanza da parte del Comune d’appartenenza.

 

In particolare, il Sindaco del Comune di appartenenza può emettere specifica ordinanza di bonifica, su segnalazione del cittadino o della ASL (alla quale deve venire trasmesso formalmente, come detto, l’inventario dell’amianto presente negli edifici).

Tale potere è dato al Sindaco, in quanto primo garante della salute dei cittadini, ai sensi dell’articolo 50, comma 4 del D.Lgs.267/00:

Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge”;

dell’articolo 50, comma 5 del D.Lgs.267/00:

In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali”;

dell’articolo 54, comma 5 del D.Lgs.267/00:

Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono tempestivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione”.

 

Nel secondo caso (presenza di attività lavorative all’interno dell’edificio), oltre alla possibile ordinanza del Sindaco (che ha valore di legge) vigono sul datore di lavoro delle attività lavorative che si svolgono all’interno dell’edifico (che può coincidere o meno con il proprietario dell’edificio stesso) gli obblighi di tutela della salute dei lavoratori di cui al D.Lgs.81/08.

A livello generale tale obbligo è definito dal D.Lgs.81/08 che specifica che, a seguito della valutazione del rischio (eseguita in generale per tutti i rischi e in particolare per il rischio da esposizione ad amianto) il datore di lavoro (obbligo non delegabile) deve redigere un documento in cui sono contenuti (articolo 28, comma 2, lettera b) del Decreto citato):

l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a)”;

e (articolo 28, comma 2, lettera c) del Decreto citato);

il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza”.

Tali obblighi sono sanzionabili penalmente.

 

Pertanto il datore di lavoro della attività lavorativa dovrà, a seguito della valutazione del rischio da presenza di amianto, individuare ed eseguire (nei tempi da egli stesso definiti nel programma di miglioramento) la bonifica del materiale contenente amianto a rischio di rilascio di fibre.

 

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IL RLS E LA VALUTAZIONE DEI RISCHI: COME GARANTIRE IL COINVOLGIMENTO DEI LAVORATORI

 

Da: Lavoro e Salute

http://www.lavoroesalute.org

Una delle linee strategiche adottate dal legislatore per definire la riforma della disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro, operata attraverso il Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, è il potenziamento del ruolo del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS).

 

Per effetto di alcune importanti innovazioni introdotte nell’articolo 47, infatti, da un lato ne è stata riconfermata la funzione primaria che è quella di garantire ai lavoratori l’esercizio dei diritti di partecipazione e di controllo in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento alle scelte fondamentali da parte del datore di lavoro, mentre dall’altro è stato introdotto il principio in base al quale il RLS deve essere presente in ogni unità produttiva.

 

Infatti il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) è diventato una figura obbligatoria per tutte le aziende, e questo è molto importante, non ci potranno più essere aziende senza RLS: se non c’è l’RLS aziendale le funzioni sono svolte dal RLS territoriale o di sito o di comparto.

 

Quindi se i lavoratori non hanno eletto il RLS (per mille motivi, spesso per condizionamenti esterni, spesso a volte per mancanza di cultura, ma non ha importanza e non ci interessa il motivo per cui non riescono, non possono scegliere, eleggere e nominare un loro rappresentante) la novità è che non rimarranno senza rappresentanza, perché il RLS territoriale, di comparto o di sito può intervenire nella loro azienda e svolgere il suo ruolo di tutela.

 

Questa mi sembra una novità particolarmente importante e incisiva perché in qualche modo universalizza il ruolo di rappresentanza del RLS per tutti i lavoratori, anche nelle aziende piccolissime e in settori come quello edile o agricolo spesso critici dal punto di vista della rappresentanza. Fra l’altro le aziende che non hanno RLS aziendali e che quindi non hanno gli oneri economici del dovere “mantenere” l’RLS aziendale, concorrono al sistema perché pagheranno una quota ad un fondo di sostegno per la formazione degli RLS territoriali; quindi c’è anche una ridistribuzione dei costi su tutte le imprese.

 

Il RLS svolge, sulla base dei compiti assegnati dalla legge e sulla base degli orientamenti generali concordati dalle parti, un ruolo che si inscrive decisamente, come abbiamo già visto in passato, in un ambito cooperativo e partecipativo:

  • è consultato sulla valutazione dei rischi e sul piano delle misure attuative e sull’una e sull’altro, si dovrà trovare spazio per discutere le procedure di sicurezza: ancora una volta, se da parte dell’azienda il problema non viene affrontato, sarà il RLS a doverlo sollevare, (articolo 50, comma 1, lettere b), c), d) e Accordi applicativi);
  • riceve informazioni e documentazione e, nell’ambito delle informazioni che ha il diritto di ricevere, ha diritto ovviamente di ricevere anche l’informazione e documentazione sulle procedure di sicurezza esistenti, ovvero sull’eventuale loro mancanza (le procedure altro non sono che una parte delle misure e preventive e protettive che l’azienda deve mettere in atto per controllare il rischio); se non riceve dall’azienda alcuna informazione e documentazione nel merito, ha tutto il diritto di richiederla specificamente e a questo punto, o saprà ufficialmente e formalmente che le procedure non esistono, oppure, se esistono, saprà per quali fasi di lavoro esistono e le avrà comunque a disposizione per esaminarle (articolo 50, commi 1, lettere e), f), 4 e 5 e Accordi applicativi);
  • fa proposte e promuove l’elaborazione di misure di prevenzione (articolo 50, comma 1, lettere h), i), m), n) e Accordi applicativi);
  • partecipa alle riunioni periodiche (articolo 50, comma 1 lettera l), articolo 25 e Accordi applicativi);
  • può rivolgersi agli organismi paritetici, (articolo 51 e Accordi applicativi) e può far ricorso alle autorità competenti (articolo 50, comma 1, lettera o)) qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro e i mezzi impegnati per attuarle non sono idonei a garantire la sicurezza e la saluta durante il lavoro.

 

Per assolvere quanto sopra, che per inciso, sono i suoi compiti propri, il RLS:

  • riceve una formazione adeguata e specifica, (articolo 50 comma 1, lettera g) e articolo 37, commi 6 e 10 e Accordi applicativi), inoltre è previsto che la contrattazione collettiva nazionale disciplini le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, la cui durata non può essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori;
  • ha un monte ore che utilizza esclusivamente per i suoi compiti (Accordi applicativi);
  • deve disporre del tempo necessario allo svolgimento dell’incarico senza perdita di retribuzione, nonché dei mezzi e degli spazi necessari per l’esercizio delle proprie funzioni e facoltà, anche tramite l’accesso ai dati relativi agli infortuni denunciati all’INAIL (articolo 18, comma 1, lettera r)) e contenuti in applicazioni informatiche (articolo 50, comma 2);
  • non può subire pregiudizio alcuno (articolo 50, comma 2).

 

Gli orientamenti comunitari e le norme di riferimento esprimono una forte indicazione sull’importanza della partecipazione delle rappresentanze dei lavoratori e delle lavoratrici come garanzia dell’efficacia del sistema di analisi, valutazione e gestione dei rischi aziendali e base essenziale su cui fondere il miglioramento della cultura aziendale in merito alla prevenzione e protezione dei rischi.

 

Quando il datore di lavoro effettua una valutazione di rischio sul lavoro, il sistema più rapido e più sicuro per identificare i vari aspetti di ciò che avviene di fatto è spesso quello di rivolgersi tramite RLS, ai lavoratori interessati (raramente si verifica), essi sanno infatti quale metodo di lavoro applicano, sono in grado di porre in luce pratiche di lavoro non corrette o metodi inadeguati per realizzare un compito che comporta rischi, oltre a poter chiarire quali precauzioni pongono in atto.

I datori di lavoro dovrebbero pertanto assicurarsi che chiunque sia la persona che si occupa della definizione dei rischi, si tratti o meno di un dipendente o di un consulente esterno, attui un vero e proprio dialogo con i lavoratori e con i loro rappresentanti, quali i subappaltatori che di fatto eseguono un lavoro previsto.

 

I lavoratori sono in grado di richiamare l’attenzione su alcuni pericoli che, per la loro stessa natura, risultano di difficile identificazione.

Si tratta di problemi che possono derivare dall’organizzazione del lavoro, dal tipo di attività svolte o dalle caratteristiche del posto di lavoro.

Sono altrettanti aspetti che talvolta si prendono per scontati o che determinano una riduzione anche tacitamente accettata delle condizioni normali di confort.

 

I lavoratori possono porre in rilievo il fatto che il modo in cui si presenta il lavoro comporta varie difficoltà o perché è troppo rapido e quindi comporta stress, oppure perché il lavoratore deve adottare una posizione scomoda e innaturale che alla lunga gli causerà dolori acuti e lesioni derivanti da sollecitazioni ripetute.

 

Non bisogna sottovalutare che, per quanto riguarda il RLS, questi in quanto parte significativa del sistema di cooperazione aziendale è il soggetto che può, meglio di chiunque altro, in quanto gode della fiducia dei lavoratori che lo hanno eletto, e senza timore di essere individuato come una figura di controllo, stimolare la loro partecipazione attiva mediante:

  • la segnalazione degli incidenti mancati;
  • la discussione sull’utilizzo di modalità di lavoro non sicure, incluso il mancato o non corretto uso dei dispositivi di protezione e sicurezza collettivi ed individuali;
  • l’individuazione dei reali fabbisogni formativi e informativi.

 

Per garantire il coinvolgimento reale dei lavoratori è necessario, tuttavia, che oltre all’applicazione delle misure previste dalla legge vengano individuate e applicate specifiche procedure, linee guida, in grado di favorire la cooperazione di tutti i soggetti senza la cui attuazione la partecipazione dei RLS e dei lavoratori, in particolare, risulta inevitabilmente formale.

Sono quindi indispensabili i dovuti aiuti a queste figure per far si che non si sentano abbandonate a loro stesse (ma spesso non è così…).

 

Luca

 

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MAGAZZINI SICURI: MANUTENZIONE E STABILITA’ DELLE SCAFFALATURE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

31 marzo 2015

di Tiziano Menduto

 

Per prevenire gli incidenti che avvengono nei magazzini è bene garantire e controllare la sicurezza delle scaffalature utilizzate. A tale proposito sono disponibili un documento di SUVA su scaffalature e armadi e un interpello sul montaggio, le norme tecniche e la manutenzione.

 

Molti incidenti professionali avvengono negli ambienti e nelle attività di immagazzinamento.

Incidenti che possono avvenire anche per la mancanza di sicurezza proprio nei supporti, nelle scaffalature utilizzate, magari non controllate e in cattivo stato.

Ad esempio supporti come scaffalature e armadi a cassettiera possono causare infortuni quando presentano difetti tecnici o vengono usati in modo non sicuro. Tra Le cause di infortuni ai lavoratori possiamo avere la caduta della merce immagazzinata, gli urti di veicoli contro le scaffalature, la caduta di persone e il rovesciamento degli armadi a cassettiera.

 

Ricordiamo che al tema delle scaffalature è dedicato un interpello della Commissione per gli interpelli (ex articolo 12 del D.Lgs.81/08). L’interpello 16/2013 indica come l’attività di montaggio e smontaggio di scaffalature metalliche possa determinare l’applicazione del Titolo IV del D.Lgs.81/08 (relativo ai cantieri temporanei e mobili) in relazione alla tipologia delle scaffalature e al contesto nel quale devono essere montate.

Infatti si possono avere riguardo alle scaffalature metalliche una moltitudine di tipologie significativamente differenti.

Ad esempio si possono avere:

  • scaffalature leggere (scaffalature da negozio o commerciali, scaffalature da archivio, scaffalature da magazzino);
  • scaffalature medie e pesanti (cantilever, drive in, drive trough, portapallet);
  • scaffalature molto pesanti (magazzini portacoils, portalamiere con portata per piano od ogni livello di ciascuna luce da 5 t a 20 t);
  • magazzini dinamici a gravità (magazzini dinamici pesanti con rulli in acciaio per pallet, magazzini dinamici leggeri con rulli in materiale plastico per scatole, contenitori ecc.);
  • magazzini e archivi automatizzati (magazzini per capi appesi o stesi, magazzini o archivi rotanti verticali, magazzini o archivi rotanti orizzontali, magazzini traslanti verticali, magazzini con trasloelevatore);
  • archivi e magazzini mobili o compattabili (compattabili leggeri, compattabili pesanti);
  • scaffalature autoportanti (veri e proprio edifici che sorreggono il tetto di copertura dell’edificio);
  • scaffalature leggere con passerelle multipiano (dotate di passerelle utilizzate per il passaggio di lavoratori).

 

La Commissione Interpelli ritiene che le scaffalature metalliche non siano attrezzature di lavoro, come definite dall’articolo 69, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08, salvo i casi in cui le stesse rientrino nella definizione di macchine ai sensi del D.Lgs.17/10, invero diversamente da quanto affermato da una precedente parere del Ministero del Lavoro del 1995.

Per avere qualche informazione su una gestione sicura di scaffalature e armadi a cassettiera, possiamo prendere spunto dal contenuto della “Lista di controllo. Scaffalature e armadi a cassettiera” prodotta da SUVA, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni, per la sicurezza nelle attività di immagazzinamento.

Ad esempio, la lista di SUVA chiede se è indicato il peso massimo ammissibile (la portata) per ogni deposito, ossia per ogni armadio, superficie di immagazzinamento, posto di palettizzazione e se il peso della merce da immagazzinare è inferiore o al massimo uguale a quello massimo tollerato per deposito.

Il documento SUVA indica che deve essere garantita la stabilità della scaffalatura. Per esempio mediante avvitamento al pavimento o alla parete o attraverso una base di appoggio sufficientemente grande. Inoltre gli armadi a cassettiera devono essere assicurati contro i rovesciamenti, ad esempio con il fissaggio dell’armadio al pavimento o alla parete o con il blocco dei singoli cassetti. E gli elementi di costruzione delle installazioni di immagazzinamento non devono presentare danni da corrosione o altri difetti e non ci devono essere spigoli vivi, asperità, pericolosi per i lavoratori.

Riguardo poi alla prevenzione della caduta della merce immagazzinata, la lista SUVA chiede se è possibile spostare di circa 50 mm la merce immagazzinata senza provocare la caduta dell’intera merce o parte di essa

Si indica poi che il lato posteriore della scaffalatura, quando confina con posti di lavoro o vie di circolazione, dovrebbe essere provvisto di dispositivi di sicurezza contro la caduta della merce immagazzinata.

La lista di controllo SUVA si sofferma poi anche sulla necessità di protezioni antiurto, di paraurti, sul dimensionamento idoneo per le corse di servizio, sulla presenza degli accessori per rendere sicura la movimentazione manuale della merce e sulla necessaria formazione dei lavoratori.

Il magazzino, come gli altri luoghi di lavoro, è soggetto alle norme sulla sicurezza relative alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

Ricordiamo a questo proposito che oltre al D.Lgs.81/08, per la sicurezza dei magazzini si può fare riferimento a varie norme tecniche, ad esempio:

  • UNI EN 15629 “Sistemi di stoccaggio statici di acciaio – Specifiche dell’attrezzatura di immagazzinaggio”;
  • UNI EN 15635 “Sistemi di stoccaggio statici di acciaio – Utilizzo e manutenzione dell’attrezzatura di immagazzinaggio”.

In particolare la UNI EN 15635 fornisce specifiche indicazioni sugli aspetti operativi per la sicurezza strutturale delle scaffalature. La norma minimizza i rischi e le conseguenze di operazioni non sicure o i danni alla struttura anche attraverso verifiche regolari della struttura della scaffalatura che devono essere condotte durante il suo ciclo di vita.

Indichiamo inoltre che per ogni tipologia di scaffalatura deve essere reso disponibile il manuale d’uso e manutenzione che contiene le principali avvertenze per il corretto montaggio e impiego della scaffalatura.

Ad esempio il manuale deve riportare:

  • la sequenza e le modalità delle operazioni di montaggio della scaffalatura;
  • le tolleranze massime ammissibili sui fuori-piombo e sui disallineamenti e le modalità di misura e controllo degli stessi durante la vita della scaffalatura;
  • i riferimenti dei criteri per la sicurezza del personale adibito al montaggio, in accordo con la regolamentazione vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
  • l’obbligo di esporre in posizione visibile i cartelli di portata;
  • il divieto di alterare la geometria progettata senza il consenso del fabbricante, al di fuori del campo di variazione specificato;
  • la necessità di sostituzione di elementi danneggiati.

La lista presenta infine un esempio di manutenzione programmata delle scaffalature che può essere utile per la prevenzione degli infortuni nei magazzini.

Nel caso di un magazzino con rotazione intensa si può ad esempio definire un piano specifico di manutenzione che comprenda ispezioni visive settimanali (per rilevare anomalie facilmente visibili: ad esempio correnti e spalle deformate, perdita di verticalità dell’impianto, fessurazioni del pavimento, rottura degli ancoraggi, spine di sicurezza mancanti, cartelli di portata mancanti), ispezioni mensili (ad esempio per verificare la verticalità dell’impianto e gli aspetti generali di ordine e pulizia del magazzino) e ispezioni semestrali o annuali (a seconda del numero di operazioni più o meno elevato che avvengono nel magazzino).

Il documento del SUVA “Lista di controllo. Scaffalature e armadi a cassettiera” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150331_Suva_check_list_scaffalature.pdf

 

L’interpello n.16/2013 con risposta del 19 dicembre 2013 della Commissione per gli interpelli “Risposta al quesito in materia di scaffalature metalliche” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.lavoro.gov.it/AreaLavoro/saluteSicurezza/Documents/Interpello%20162013.pdf

 

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OBBLIGHI E FACOLTA’ DEL LAVORATORE AUTONOMO

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

01 aprile

di Tiziano Menduto

 

In quali situazioni il lavoratore autonomo non è di fatto tale? Quali sono le prestazioni, gli obblighi e le facoltà che gli possono essere attribuite? Come effettuare la verifica di fatto e di diritto della loro reale posizione giuridica?

 

Nel mondo del lavoro si può riscontrare un aumento significativo della presenza dei lavoratori autonomi nei vari settori produttivi. E questi lavoratori, a cui corrisponde un numero di infortuni particolarmente elevato, risultano esposti a rischi per la propria salute e sicurezza al pari o in misura maggiore rispetto ai lavoratori dipendenti. Senza dimenticare che interfacciandosi ed interagendo con altre persone, i lavoratori autonomi possono incidere, e anche compromettere, la sicurezza sui luoghi di lavoro. E spesso la loro percezione della sicurezza sul lavoro è di un adempimento formale e non di una tutela della loro integrità psicofisica.

A esprimersi in questi termini è un intervento a un Convegno, dal titolo “Il lavoratore autonomo” che ha ricordato che il Decreto Legislativo 81/2008 ha esteso con l’articolo 21 la tutela normativa anche ai lavoratori autonomi con l’obbligo di utilizzo di dispositivi personali di protezione e all’impiego di attrezzature sicure, conformi alle norme vigenti, mentre ha lasciato facoltativo l’avvalersi della sorveglianza sanitaria e della formazione.

L’incontro era correlato ad un progetto specifico (contenuto nel Piano Regionale Prevenzione della Regione Veneto, di cui alla D.G.R.3139/10) volto a promuovere una maggiore tutela di questa categoria di lavoratori, proponendo azioni di assistenza, formazione e sorveglianza sanitaria con l’obiettivo prioritario di ridurre gli infortuni sul lavoro.

Alcuni dati sugli infortuni dei lavoratori autonomi si possono trarre dall’intervento presentato al Convegno “Aspetti epidemiologici nella regione del Veneto” a cura di Roberto Agnesi, Michela Veronese e Lucia Calciano.

Dai dati regionali si rileva ad esempio che:

  • i casi mortali degli autonomi sono circa il 9-10% del totale (esclusi itinere, agricoltura, studenti, colf, sportivi);
  • nel comparto costruzioni i casi mortali degli autonomi sono il 17% del totale;
  • l’incidenza di casi mortali per 100.000 addetti nel 2010 è circa 9,05 (contro 3,48 dei non autonomi).

E fra i lavoratori autonomi non sono inclusi i datori di lavoro di aziende con dipendenti e soci artigiani (quindi il numero complessivo di imprenditori fra le vittime del lavoro e più alto).

Veniamo poi all’intervento “Obblighi e facoltà del lavoratore autonomo”, di Daniela Pascale (DTL Padova) e Francesco Ciardo (SPISAL ASL 16 Padova).

L’intervento, da cui abbiamo raccolto le affermazioni inserite a inizio articolo, si sofferma sulla differenza tra lavoratore autonomo, lavoratore subordinato e impresa individuale e sui rapporti fra lavoratore autonomo e datore di lavoro committente.

E riprende il tema dell’utilizzo improprio del lavoratore autonomo:

  • inidoneità appalto: quando un committente affida la realizzazione dei lavori ad un lavoratore autonomo pur sapendo che, data la tipologia dei lavori affidati, lo stesso dovrà necessariamente avvalersi di altro personale (lavoratori autonomi e/o altre imprese);
  • prestazione di manodopera: quando il lavoratore autonomo viene impiegato da un’impresa come mero prestatore di lavoro;
  • società di fatto: quando il lavoratore autonomo ottiene in appalto un lavoro che da solo non sarebbe in grado di portare a termine e, quindi, chiama in suo aiuto altri lavoratori autonomi.

L’intervento riporta anche i criteri per verificare l’idoneità tecnico professionale dei lavoratori autonomi (allegato XVII, comma 2 del D.Lgs.81/08: iscrizione alla CCIAA con oggetto sociale inerente alla tipologia dell’appalto; documentazione attestante la conformità delle macchine e attrezzature e opere provvisionali; elenco dei Dispositivi di Protezione Individuale usati; attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità sanitaria ove espressamente previsti; documento Unico di Regolarità Contributiva di cui al DM 24 ottobre 2007).

Ricordiamo che del tema dell’idoneità tecnico professionale dei lavoratori autonomi si è occupato anche l’interpello n. 7/2013 del 02 maggio 2013.

L’intervento si sofferma anche sulla Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 16 del 04 luglio 2012.

In particolare riguardo alla idoneità dell’appalto, il Ministero ha posto al personale ispettivo una presunzione di subordinazione dei lavoratori autonomi addetti alle seguenti attività:

  • manovalanza;
  • muratura ;
  • carpenteria;
  • rimozione amianto;
  • posizionamento di ferri e ponti ;
  • addetti a macchine edili fornite dall’impresa committente o appaltatore.

E si indica che in genere non sono appaltabili le opere strutturali, quelle legate al ciclo del cemento armato, al montaggio di strutture metalliche e di prefabbricati in quanto connotate da utilizzo di un “crono programma” inconciliabile con l’asserita autonomia delle prestazioni.

Mentre ad esempio gli appalti che possono essere affidati a lavoratori autonomi possono riguardare: pittura interna delle pareti di un appartamento; rifacimento delle piastrelle di bagni e cucine; manutenzione di infissi, balaustre, ringhiere; piccoli lavori edili, facendo attenzione alla movimentazione manuale dei materiali e delle attrezzature, poiché è necessario assicurarsi che possa essere eseguita da una singola persona. Si tratta cioè di tipologie di lavori realizzabili da una singola persona.

E in merito alla prestazione di manodopera, l’intervento indica che si ha prestazione di manodopera quando il lavoratore autonomo svolge la propria attività sotto la direzione altrui, senza alcuna autonomia operativa. Quando la natura del contratto è un’attività lavorativa e non un risultato. E’ il caso di un’impresa che utilizza i lavoratori autonomi per eludere le norme poste a tutela del lavoro subordinato, intendendo così risparmiare sui costi dei contributi, malattia, ferie, ecc..

Nell’opuscolo “Lavoratori Autonomi. Guida pratica per lavorare sicuri” sono presenti alcune indicazioni per la verifica della subordinazione.

In particolare ricordiamo che la Circolare 16/2012 ha fissato 3 indicatori che possono far presumere la non genuinità del lavoro autonomo:

  • inadeguatezza dell’elemento organizzativo e strumentale: cioè va provato il possesso e/o disponibilità di macchine e attrezzature “consistenti” quali ponteggi, macchine edili, ecc.;
  • monocommittenza;
  • l’esecuzione di fasi fondamentali del ciclo produttivo.

E riguardo infine alle società di fatto, qualora il lavoratore autonomo eserciti la propria attività in collaborazione con altri lavoratori autonomi, che pur non essendo dipendenti svolgono sotto la sua direzione, lavori di ugual natura all’interno di un cantiere, si configura il caso di vere e proprie società di fatto in cui il primo dei soggetti citati si connota come datore di lavoro degli altri. Ciò presuppone una situazione di interdipendenza l’uno dall’altro, facendo cadere il requisito dell’autonomia, configurando conseguentemente, una impresa di fatto, soggetta all’applicazione di tutte le disposizioni previste dalla normativa prevenzionistica (non più solo l’articolo 21 del D.Lgs.81/08).

Insomma si rende necessaria una verifica di fatto oltre che di diritto della reale posizione giuridica di lavoratore autonomo, impresa affidataria e/o impresa esecutrice, ai sensi della definizione ex articolo 89 comma 1 lettera i) ed i-bis) del D.Lgs.81/08, nel caso in cui questa assuma con propria capacità organizzativa, disponibilità di forza lavoro di macchine e di attrezzature il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro, in regime di appalto o sub-appalto.

Nell’intervento, che vi invitiamo a visionare integralmente, si sintetizzano e si indica l’eventuale regolarità di alcune situazioni che si possono riscontrare in cantiere.

E comunque possono essere inquadrate come prestazioni di lavoro autonome: lavori di finitura, impiantistica, elettrici posa in opera di rivestimenti, operazioni di decoro restauro montaggio di infissi, controsoffitti.

Mentre non sono configurabili come prestazioni di lavoro autonomo: opere strutturali del manufatto (sbancamento, costruzioni delle fondamenta, opere di cemento armato, strutture in elevazioni in genere).

Concludiamo ricordando che l’intervento si sofferma anche sulle conseguenze, per il committente dei lavori, per l’imprenditore e per i lavoratori autonomi stessi, per l’utilizzo improprio dei lavoratori autonomi.

Il documento “Introduzione” di Doriano Magosso, atto del Convegno “Il lavoratore autonomo” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/140401_lavoratore_autonomo_intro.pdf

 

Il documento “Aspetti epidemiologici nel Veneto” di Roberto Agnesi, Michela Veronese e Lucia Calciano, atto del Convegno “Il lavoratore autonomo” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/140401_lavoratore_autonomo_aspetti_epidemiologici.pdf

 

Il documento “Promozione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro per i lavoratori autonomi” di Doriano Magosso, atto del Convegno “Il lavoratore autonomo” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/140401_lavoratore_autonomo_promozione_salute.pdf

 

Il documento “Obblighi e facoltà del lavoratore autonomo” di Daniela Pascale e Francesco Ciardo, atto del Convegno “Il lavoratore autonomo” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/140401_lavoratore_autonomo_obblighi_facolta.pdf

 

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MACCHINE IN EDILIZIA: I RISCHI DELLE PIATTAFORME DI LAVORO MOBILI

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

01 aprile 2015

 

Una scheda e una lista di controllo si soffermano sulla sicurezza delle piattaforme di lavoro mobili elevabili. Il rischio di ribaltamento, di caduta dall’alto e di caduta di materiale. la presenza di linee elettriche e il posizionamento della macchina.

 

Le piattaforme di lavoro mobili elevabili, attrezzature conosciute anche come “piattaforme aeree o elevabili”, “ponti sviluppabili” o in gergo tecnico, “cestelli”, sono quelle attrezzature che la norma definisce come “ponti mobili sviluppabili” e che sono indicate anche con l’acronimo “PLE”.

Di questi “ponti sviluppabili” esistono in realtà un numero considerevole di tipologie e modelli con predisposizione specifica per diversi ambienti di lavoro.

Ad esempio le PLE possono essere articolate, telescopiche, a pantografo (verticali) o si possono anche suddividere in autocarrate, rimorchiate (su carrello trainabile) e semoventi.

In ogni caso tutte queste tipologie di PLE presentano vari rischi per la sicurezza dei lavoratori.

E per migliorare la prevenzione degli infortuni nell’uso delle PLE presentiamo oggi una scheda contenuta nella seconda parte del manuale “Le macchine in edilizia. Caratteristiche e uso in sicurezza” un documento nato dal rapporto di collaborazione tra l’INAIL Piemonte e il CPT Torino.

 

La “Scheda 3 – Piattaforme di lavoro mobili elevabili” riguarda le piattaforme di lavoro mobili elevabili motorizzate e ricorda che le PLE sono diventate un mezzo di lavoro molto diffuso per i lavori in quota che non richiedono lunghi tempi di esecuzione o che devono essere effettuati in punti circoscritti in diverse zone del cantiere, oppure ancora per raggiungere in sicurezza punti pericolosi, anche a notevole altezza, per la realizzazione di opere o per la predisposizione di protezioni (ad esempio di parapetti).

Oltre a ricordare che la PLE è destinata a portare persone alla quota di lavoro che devono operare esclusivamente dal cestello accedendo o uscendo solo dalla posizione definita dal fabbricante, la scheda precisa che la PLE si differenzia dalle piattaforme di lavoro autosollevanti su colonne (chiamate anche ponteggi autosollevanti), che necessitano di installazione fissa, per le sue caratteristiche di mobilità, mentre si differenzia dagli ascensori di cantiere perché, a differenza di questi ultimi, non dà la possibilità di far salire e scendere gli operatori dalla navicella in corrispondenza di diversi piani definiti nello spazio.

Segnaliamo che la scheda si sofferma su vari aspetti correlati alla macchina:

  • elementi costituenti: telaio, stabilizzatori, gruppo rotazione, struttura estensibile, piattaforma di lavoro, impianto idraulico, apparecchiatura elettrica;
  • dispositivi di sicurezza: dispositivi di sicurezza relativi al telaio e agli stabilizzatori, dispositivi di sicurezza relativi alla struttura estensibile, dispositivi di sicurezza relativi alla piattaforma di lavoro;
  • dispositivi di comando e di controllo;
  • fattori di rischio: ribaltamento e caduta di materiale dall’alto, caduta dall’alto, urti, colpi, impatti, compressione, schiacciamento, rischio elettrico, gas di scarico, agenti chimici, rumore, vibrazioni.

Uno dei principali fattori di rischio è relativo al ribaltamento e alla caduta di materiale dall’alto.

La scheda non solo descrive i principali rischi, ma riporta le principali misure di sicurezza da adottare per prevenirli o per la protezione dei soggetti interessati dalle attività inerenti l’uso dei ponti sviluppabili.

In particolare si indica che il ribaltamento dell’attrezzatura può essere determinato da una serie di cause come:

  • cedimento del piano di appoggio, ad esempio per la presenza di sottoservizi;
  • posizionamento scorretto degli stabilizzatori, ad esempio per la mancata o insufficiente distribuzione del carico sul terreno;
  • errori di manovra durante il sollevamento oppure esecuzione di manovre vietate;
  • cedimento strutturale, ad esempio dovuto a mancata o carente esecuzione dei controlli, in particolare sui dispositivi di sicurezza come i limitatori di momento;
  • urti del braccio contro ostacoli fissi o mobili;
  • vento di intensità elevata.

 

In particolare per prevenire questo rischio occorre eseguire un’indagine preliminare per la scelta del luogo in cui posizionare la PLE, rispettare scrupolosamente le istruzioni del fabbricante e il relativo registro di controllo, eseguire le verifiche previste dalla norma. Ad esempio per quanto riguarda il vento è necessario sospendere l’uso dell’attrezzatura quando è raggiunta la velocità limite stabilita dal fabbricante o, in mancanza di questa, dalle velocità stabilite dalla norma.

 

Inoltre il rischio di caduta di materiale dall’alto è dovuto alla presenza sulla piattaforma di utensili che possono sfuggire alla presa del lavoratore o materiali di vario genere che possono fuoriuscire dalla piattaforma anche a causa di errate manovre che comportano l’urto della piattaforma contro strutture fisse. L’operatore a bordo della navicella deve prestare particolare attenzione nell’utilizzare utensili, avendo cura di riporli in apposite guaine o di assicurarli in modo da impedirne la caduta, in particolare durante le fasi di movimentazione della piattaforma. I materiali di piccole dimensioni devono essere riposti in appositi contenitori.

Ed evidentemente è necessario interdire il transito sotto al PLE con barriere o proteggere l’area a rischio con l’adozione di misure adeguate.

Un altro dei rischi affrontati è relativo alla caduta dall’alto.

In particolare il rischio riguarda gli operatori a bordo della piattaforma e insorge in caso di uso non corretto della macchina; pertanto, è fatto divieto di sporgersi dalla piattaforma sia durante le attività da eseguire a bordo della navicella sia durante la movimentazione della stessa; la PLE deve essere usata esclusivamente per l’altezza per cui è stata progettata, senza aggiunte di sovrastrutture. Il passaggio dell’operatore dalla piattaforma della PLE a un altro piano di lavoro deve essere reso sicuro. Inoltre, gli operatori a bordo della piattaforma devono fare uso di idonea attrezzatura anticaduta (cintura di sicurezza) ancorandola agli appositi “punti di aggancio” predisposti a bordo della navicella e indicati dal fabbricante.

Concludiamo con un breve approfondimento su due tematiche che riguardano la sicurezza nell’ uso di PLE.

La prima riguarda la presenza di linee elettriche.

La scheda indica che non è consentito eseguire lavori in prossimità di linee elettriche e di impianti elettrici con parti attive non protette o non sufficientemente protette e comunque a distanze inferiori di quelle riportate nella tabella presente nella scheda, salvo che non vengano adottate misure organizzative e procedurali, idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi, in accordo con l’esercente della linea. Le distanze sono da considerare al netto degli ingombri derivanti dal tipo di lavoro, delle attrezzature utilizzate, nonché degli sbandamenti laterali dovuti all’azione del vento e degli abbassamenti di quota dovuti alle condizioni termiche.

La seconda riguarda il posizionamento della PLE.

Infatti la scelta del luogo in cui stabilizzare la macchina deve essere fatta in modo che:

  • non ci sia pericolo di scivolamento della macchina; tale rischio riguarda soprattutto le PLE con stabilizzatori ed occorre valutare la pendenza del terreno (l’attrezzatura deve essere stabilizzata su terreni pianeggianti, tuttavia gli stabilizzatori sono progettati per compensare piccole pendenze che, fatte salve le indicazioni del fabbricante, è opportuno non superino, sia longitudinalmente che trasversalmente, i 4,5° pari a circa 8% di pendenza) e la aderenza del terreno (occorre scegliere un terreno asciutto, non ghiacciato, compatto e ruvido specialmente se la superficie di appoggio è in pendenza);
  • il tipo di suolo abbia resistenza adeguata; prima di posizionare la PLE è necessario determinare le condizioni del terreno in quanto potrebbe essere necessario l’uso di piastre supplementari di ripartizione dei carichi; il libretto di istruzioni d’uso fornisce i valori di pressione esercitata dagli stabilizzatori o dai pneumatici e in alcuni casi, fornisce inoltre indicazioni in merito alla resistenza dei vari tipi di terreno (ad esempio terreno di rinterro, suolo naturale, suolo compatto) e la relativa superficie di appoggio minima necessaria, cioè le dimensioni delle piastre di appoggio;
  • sia possibile la completa estensione degli stabilizzatori lasciando adeguati spazi percorribili.

Ricordiamo che, come già accennato riguardo al vento, è possibile usare la piattaforma di lavoro mobile in condizioni di sicurezza entro un determinato valore di velocità del vento, specificatamente indicato dal fabbricante nel libretto di istruzioni d’uso. Il valore massimo consentito di velocità del vento è inoltre riportato nella targa informativa affissa alla base della PLE. Nel libretto di istruzioni è in genere anche riportata una tabella dettagliata con i valori delle velocità del vento secondo la scala internazionale Beaufort e le indicazioni per un’interpretazione “visiva” della velocità del vento.

 

Segnaliamo infine che la scheda riporta anche istruzioni per l’uso della macchina, approfondimenti su vari temi, indicazioni normative, varie annotazioni tecniche e, in allegato, una breve check-list.

 

Il documento di CPT di Torino e INAIL Piemonte “Le macchine in edilizia. Caratteristiche e uso in sicurezza” edizione settembre 2013 è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/131220_CPT_TO_macchine_in_edilizia.zip

 

La “Scheda 3 – Piattaforme di lavoro mobili elevabili” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/131220_CPT_TO_macchine_in_edilizia_Piattaforme_di_lavoro_mobili.zip

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