SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS – NEWSLETTER N.210 DEL 20/05/15

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SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS – NEWSLETTER N.210 DEL 20/05/15

 

INDICE

  • Malattie professionali connesse all’amianto
  • Cancellate le semplificazioni per i cantieri temporanei
  • Cassazione: è dovere del datore lavare gli indumenti protettivi dei dipendenti
  • DPI delle mani e delle braccia: la protezione dai rischi meccanici
  • Come dimostrare la collaborazione alla valutazione dei rischi
  • I rischi del fumo nei luoghi di lavoro: normativa e proposte
  • Risposte a quesiti sulla sicurezza nei cantieri

 

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

 

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210

 

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MALATTIE PROFESSIONALI CONNESSE ALL’AMIANTO

 

Da: Associazione Italiana Esposti Amianto onlus

http://www.associazioneitalianaespostiamianto.org

14 maggio 2015

 

Nel corso dell’incontro del 7 maggio 2015 alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome di Roma, Luciano Marchiori (dirigente Regione Veneto), Antonio Maritati (dirigente Regione Veneto), Alberto Chinaglia (funzionario Regione Veneto), Giuseppe Mastrangelo (Università di Padova), Massimo D’Angelo (Regione Piemonte) hanno illustrato un documento approvato dalla Conferenza dedicato proprio al tema delle malattie professionali connesse all’utilizzo dell’amianto. Di seguito una sintesi del documento.

 

Il picco di utilizzo dell’amianto si è avuto tra gli anni ‘70 e ‘80 e oggi si evidenziano gli effetti dell’esposizione avvenuta in quegli anni.

L’esposizione dei lavoratori all’amianto e indirettamente della popolazione è stata caratterizzata da differenti livelli espositivi, progressivamente decrescenti a partire dalla metà degli anni ‘80 e con gli anni i livelli di esposizione professionale sono scesi progressivamente passando da livelli di esposizione pari a 5 ff/cc (fibre per centimetro cubo d’aria) ai livelli attuali di 0,1 ff/cc indicati nel D.Lgs. 81/08.

L’elevata esposizione lavorativa avvenuta antecedentemente gli anni 90 è, quindi, la ragione dell’epidemia di malattie professionali da amianto che oggi registriamo in Italia. Epidemia, che si caratterizza annualmente per un numero di decessi per malattie professionali pari agli infortuni sul lavoro e che in questi anni dovrebbe avere raggiunto il culmine della curva secondo i ricercatori del Registro Nazionale Mesoteliomi, INAIL/Regioni.

 

La Legge 257/92 ha sancito in Italia il divieto di estrazione, vendita e utilizzo di amianto e materiali contenenti amianto. Pertanto, dopo il 1992, i soggetti che restano potenzialmente esposti per motivi professionali sono: i lavoratori che operano in strutture, edifici e impianti in cui erano già presenti, e sono rimasti in opera, manufatti contenenti amianto; i lavoratori che sono attualmente adibiti alla bonifica di tali materiali con le modalità previste dalla stessa Legge 257/92 e dai Decreti legislativi sulla sicurezza sul lavoro che si sono susseguiti nel tempo.

Ad oltre 20 anni dalla data del divieto d’uso e vendita dell’amianto, riteniamo di poter affermare che le lavorazioni e i siti industriali che sono causa dell’epidemia di mesoteliomi e di altre patologie amianto correlate, nella grande maggioranza dei casi non sono più esistenti o, quantomeno, sono stati messi in sicurezza.

Tuttavia, si registra ancora una larga diffusione sul territorio di siti contenenti materiali nei quali sono presenti fibre di amianto; detti materiali, in genere di origine antropica, sono realizzati prevalentemente in matrice compatta, spesso non rientranti in categorie di gravità di rischio tali da giustificare interventi di bonifica urgenti, ma comunque di valenza significativa, se valutati introducendo il criterio della diffusione del rischio.

 

Le politiche che le Regioni hanno adottato sono state indirizzate alla garanzia di due obiettivi generali:

  • ricerca delle patologie da amianto e sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti;
  • prevenzione e vigilanza sugli insediamenti e sui lavori di bonifica dell’amianto per la tutela degli addetti e della popolazione.

Tali obiettivi, così come previsto dal “Piano Nazionale di Prevenzione 2014-18” approvato in sede di Intesa Stato-Regioni del 13 novembre 2014, inoltre, come sottolinea la Conferenza delle Regioni, corrispondono agli obiettivi indicati nella bozza Piano Nazionale Amianto.

Ma il Piano Nazionale Amianto non è ancora approvato in Conferenza Stato-Regioni per il parere negativo espresso dal Ministero dell’Economia e Finanza il 13 gennaio 2015.

 

Per quanto riguarda la ricerca delle patologie da amianto e la sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti, ovvero la sorveglianza epidemiologica del mesotelioma, essa avviene attraverso i Centri Operativi Regionali istituiti dalle Regioni e coordinati dal Registro Nazionale Mesoteliomi dell’INAIL e dell’attività di questa rete si trova evidenza nelle pubblicazioni del registro nel sito www.ispesl.it/renam.

Tali centri trasmettono al Registro Nazionale gli esiti delle indagini sui casi di mesotelioma, svolte dai Servizi delle ASL e le informazioni raccolte, oltre ad alimentare il registro, frequentemente, consentono al medico del servizio di compilare il primo certificato medico di malattia professionale e di supportare le procedure assicurative per il riconoscimento della stessa da parte di INAIL.

Il V rapporto del Registro Nazionale Mesoteliomi, in fase di pubblicazione, riferisce di una casistica di 19.956 soggetti con età media di 69,5 anni e con 46 anni di latenza media. I dati INAIL relativi ai tumori asbesto correlati riconosciuti nell’anno 2013 per ogni caso di mesotelioma si registrano 0,4 casi di tumore polmonare. Il sistema di sorveglianza MalProf, ex ISPESL (INAIL) Regioni, registra la casistica delle malattie professionali indagate dai servizi delle ASL evidenziando, tra le varie patologie professionali, ogni tipologia di malattia amianto correlata.

 

Una seconda azione prevede, il prolungamento del controllo sanitario dopo la cessazione dell’esposizione. Le Regioni in questi anni hanno sviluppato differenti esperienze di sorveglianza sanitaria, spesso determinate da variabili di ordine locale, intervenendo con provvedimenti differenziati, di sola comunicazione sociale del rischio, di coinvolgimento dei medici di base e/o di sorveglianza sanitaria attiva per tutti i lavoratori ex esposti.

Il monitoraggio effettuato nel 2013 ha evidenziato come in 14 realtà regionali siano in atto programmi di tutela degli ex esposti ad amianto. Il quadro normativo sostiene la necessità di condividere un protocollo di assistenza sanitaria da offrire ai lavoratori ex esposti ad amianto in maniera omogenea sul territorio nazionale, superando disomogeneità e disparità nell’offerta dei servizi sanitari.

Al fine di omogeneizzare le metodologie di sorveglianza ed estenderle a tutto il paese è in fase di conclusione il progetto CCM sperimentazione e validazione di un protocollo di sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti ad amianto (ai sensi dell’articolo 258 del D.lgs. 81/08).

Con riferimento invece alla prevenzione e alla vigilanza sui lavori di bonifica va detto che nell’attuale quadro normativo, la tutela sanitaria degli esposti ad amianto è posta a carico del datore di lavoro e del medico competente dallo stesso incaricato. Gli esiti del monitoraggio sull’attività del medico competente riferiscono per il 2013 una popolazione di 15.922 lavoratori sorvegliati per il rischio amianto. Rischio che per effetto della Legge 257/92 risulta oggi possibile esclusivamente nell’ambito delle lavorazioni di de-coibentazione, bonifica, raccolta e smaltimento. Attività effettuate da parte di aziende iscritte all’albo nazionale gestori ambientali categoria 10, i cui lavoratori devono aver svolto una specifica formazione professionale organizzata dalle Regioni conclusa con il rilascio di una specifica idoneità allo svolgimento del ruolo per il quale sono stati abilitati.

 

Dal 2007, le Regioni monitorano, secondo indicatori di attività condivisi, le prestazioni delle ASL nel settore della sicurezza e salute del lavoro (nel caso specifico delle fibre di amianto anche di tutela del cittadino e dell’ambiente). L’analisi dei dati evidenzia come negli ultimi anni, in media siano stati notificati alle ASL oltre 60.000 piani di bonifica dell’amianto friabile o in matrice compatta (86.386 notifiche nel 2013). Oltre il 13% dei cantieri adibiti ad attività di bonifica è annualmente oggetto di controllo ispettivo da parte delle ASL con riferimento prioritario alle situazioni di maggior pericolo. La tabella seguente documenta l’attività di controllo e vigilanza svolta dalle ASL nel periodo 2008-13.

I cantieri in cui viene rimosso amianto in matrice friabile sono sistematicamente oggetto di controllo e vigilanza finalizzata a controllare le condizioni di lavoro, la protezione dei lavoratori e a limitare l’aerodispersione di fibre.

Tra i compiti delle ASL vi è anche il controllo finale degli ambienti da restituire al termine della bonifica; il controllo include l’ispezione visiva e il monitoraggio ambientale delle fibre con l’emissione di un certificato di restituibilità dell’edificio bonificato.

 

L’azione di prevenzione e vigilanza si realizza inoltre attraverso la verifica delle segnalazioni/esposti che pervengono alle ASL, ai Comuni o Agenzie Regionali per l’Ambiente in merito a situazioni ritenute a rischio dai cittadini.

Presso ogni Regione è attivo, inoltre, il flusso informativo riguardante informazioni annuali riassuntive concernenti i lavori svolti, le misure di protezione adottate, i lavoratori esposti, i livelli di esposizione dei lavoratori e i quantitativi di materiale smaltito.

Il monitoraggio svolto nel 2011 ha evidenziato un quantitativo di materiale smaltito contenente amianto pari a 513.217 tonnellate con evidenza di 2.259 relazioni trasmesse alle Regioni da parte delle ditte iscritte all’albo specifico.

Le Regioni, attraverso le ASL, garantiscono la ricerca delle patologie da amianto avvalendosi dei Centri Operativi Regionali, coordinati dal Registro Nazionale Mesoteliomi e offrono, in varie realtà, assistenza ai lavoratori ex esposti ad amianto secondo protocolli di sorveglianza sanitaria che oggi sono sfociati nella proposta di un protocollo unico.

Secondo la Conferenza delle Regioni l’attuazione del protocollo nazionale permetterà di offrire un livello di assistenza omogeneo su tutto il territorio nazionale basato su criteri di efficacia.

 

Al fine della tutela dei lavoratori oggi esposti nel corso delle attività di bonifica e della popolazione indirettamente interessata, le Regioni garantiscono, grazie ai sistema di notifica obbligatoria vigente, la sorveglianza sulle attività di bonifica. Si tratta di attività che rientrano negli obiettivi Piano Nazionale di Prevenzione 2014-18 e troveranno collocazione operativa nel Piano Nazionale Amianto, già valutato positivamente da parte delle Regioni, ma fermo per il parere contrario espresso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

 

Per approfondimenti si veda il documento “Malattie professionali connesse all’utilizzo dell’amianto: documento per audizione della Commissione Parlamentare d’inchiesta” scaricabile all’indirizzo:

http://www.associazioneitalianaespostiamianto.org/wp-content/uploads/2015/05/DocConferenza.pdf

 

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CANCELLATE LE SEMPLIFICAZIONI PER I CANTIERI TEMPORANEI

 

Da Testo Unico Sicurezza

http://www.testo-unico-sicurezza.com/CANCELLATE-SEMPLIFICAZIONI-CANTIERI-TEMPORANEI.html

 

Con la Legge Europea 2014, in discussione alla Camera, viene cancellato uno degli snellimenti normativi previsti dal Decreto del Fare per i cantieri di durata inferiore a 10 giorni.

In particolare, l’articolo 14 del Disegno di Legge, estende il campo di applicazione delle misure per la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro previste dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008 anche ai lavori edili o di ingegneria civile che si svolgono all’interno di cantieri temporanei o mobili.

L’attuale disciplina nazionale prevede infatti che tali misure non vengono applicate a questo tipo di cantieri, con durata dei lavori inferiore ai 10 giorni.

 

Più nel dettaglio, con la modifica dell’articolo 88, comma 2, lettera g-bis), del D.Lgs. 81/08, si prevede che quanto disposto in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili, si applichi anche ai cantieri temporanei o mobili in cui si svolgono lavori edili o di ingegneria civile di durata inferiore ai 10 giorni, con esclusione dei soli lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento che non comportino lavori edili o di ingegneria civile.

In pratica, dall’esenzione dall’applicazione delle misure di sicurezza i piccoli cantieri di durata inferiore ai dieci giorni, così rientrano di nuovo nel contesto generale di applicazione delle norme di sicurezza per i cantieri temporanei e mobili.

 

La norma è stata prevista per rispondere a una procedura di infrazione aperta dalla Commissione UE sull’applicazione delle direttive europee (Caso EE Pilot 6155/14/EMPL).

Il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il 3 marzo 2015 il Disegno di Legge Europea 2014.

Con l’approvazione del provvedimento, ha spiegato il Sottosegretario Gozi, che in quanto delegato alla materia ha illustrato il testo in Consiglio, “il governo rinnova il suo impegno per abbattere il numero di procedure di infrazione con l’Unione Europea: si tratta di una questione indicata fin da subito come priorità dal Governo e che in questo primo anno ha già prodotto un risultato estremamente positivo, con la riduzione del 25% delle procedure, passate da 121 a 91 casi”.

Il provvedimento che chiude 11 procedure d’infrazione e 7 Casi EU pilot, prevede il recepimento di una Direttiva che scade nel 2016 e attua 2 decisioni del Parlamento Europeo e del Consiglio UE.

 

Fonte Politiche Europee

http://www.politicheeuropee.it/normativa/19250/legge-europea-2014

 

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CASSAZIONE: E’ DOVERE DEL DATORE LAVARE GLI INDUMENTI PROTETTIVI DEI DIPENDENTI

 

Da Studio Cataldi

http://www.studiocataldi.it

04/05/15

 

Due commenti alla Sentenza della Corte di Cassazione Civile n. 8585 del 28 Aprile 2015 relativa all’obbligo per il datore di lavoro di lavare gli indumenti indossati dai lavoratori per proteggerli da agenti pericolosi per la salute e quindi configurabili di fatto come Dispositivi di Protezione Individuali (DPI).

 

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E’ regola generale quella per cui sia a carico del datore di lavoro, esercente attività insalubre di raccolta e smaltimento dei rifiuti, l’onere di provvedere alla pulizia degli indumenti del personale dipendente, non potendo la stessa essere derogata nemmeno dalla disciplina collettiva, né tanto meno da patti individuali.

 

Nel caso di specie il Giudice d’Appello, riformando una Sentenza di primo di grado, ha accolto la domanda promossa da un gruppo di lavoratori, ai quali il datore aveva imposto la pulizia del vestiario, seppure dietro pagamento di una piccola indennità giornaliera.

 

Quando il caso è finito in Cassazione anche gli Ermellini hanno dato ragione ai lavoratori.

 

Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte è che l’idoneità degli strumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori [a norma dell’articolo 379 del D.P.R.457/55, fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs.626/1994 e ora ai sensi del D.Lgs.81/08] deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa.

 

Le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto (articolo 32 della Costituzione), solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, è quello di prevenire l’insorgenza e il diffondersi di infezioni.

Ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell’obbligo previsto dalle citate disposizioni.

 

Dall’inadempimento di tale obbligo deriva il legittimo diritto al risarcimento del danno, ai sensi dell’articolo 1218 del Codice Civile, ai lavoratori, per contrasto con norme imperative.

 

Licia Albertazzi

 

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Tute e divise di lavoro, quando assolvono alla funzione di “Dispositivi di Protezione Individuale”, vanno lavate dal datore di lavoro.

A ribadire l’obbligo stabilito dalla legge, al fine di proteggere i lavoratori dai rischi professionali, è la Cassazione con la sentenza n. 8585 del 28 aprile scorso, respingendo il ricorso di una società operante nella raccolta e smaltimento di rifiuti avverso la decisione della Corte d’Appello di Cagliari che riconosceva il risarcimento dei danni ai dipendenti per l’inadempimento dell’azienda in merito alla manutenzione degli indumenti di lavoro.

 

Per la Suprema Corte, infatti, non è convincente la tesi della società secondo la quale la Corte territoriale non aveva tenuto conto della differenza tra gli abiti consegnati e indossati dai lavoratori e i DPI che erano “a perdere” e non avevano bisogno di lavaggi.

 

Per gli Ermellini, invece, non risultando alcun riferimento ad altri indumenti consegnati agli operatori ecologici al di fuori dei Dispositivi di Protezione Individuale, né che gli stessi fossero a perdere, ha ragione il Giudice di secondo grado a confermare l’inadempienza del datore di lavoro all’obbligo di provvedere alla manutenzione degli indumenti consegnati ai lavoratori ivi compreso il lavaggio.

 

Obbligo che nasce ex lege, hanno sottolineato dal Palazzaccio, poiché a norma prima dell’articolo 379 del D.P.R.457/55 e dopo degli articoli 40 e 43, commi 3 e 4 del D.Lgs.626/94 [ora articolo 77, comma 4, lettera a) del D.Lgs.81/08], l’idoneità degli indumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori deve essere garantita “non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa”, per cui, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli abiti in uno stato di efficienza, “esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell’obbligo previsto dalle citate disposizioni”.

 

Essendo, dunque, acclarato l’inadempimento, ha concluso la Suprema Corte respingendo il ricorso, bene ha agito la CForte territoriale nel ritenere l’azienda tenuta a risarcire il danno ai lavoratori, quantificandolo attraverso apposita Consulenza Tecnica di Ufficio che ha stimato i costi sostenuti dagli stessi per provvedere personalmente al lavaggio degli indumenti.

 

Marina Crisafi

 

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DPI DELLE MANI E DELLE BRACCIA: LA PROTEZIONE DAI RISCHI MECCANICI

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

08 maggio 2015 – Cat: DPI

di Tiziano Menduto

 

I Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) delle mani e delle braccia: i guanti di protezione contro rischi meccanici, i guanti e proteggi-braccia contro i tagli e le ferite causate da coltelli e i guanti per l’utilizzo di seghe a catena.

 

Come indicato dal D.Lgs.81/08 (allegato VIII) per la protezione delle mani e delle braccia dai rischi meccanici (con riferimento a impatti, tagli, graffi, abrasioni, ecc.) è possibile utilizzare specifici guanti di protezione.

Per avere qualche informazioni sui DPI delle mani e delle braccia per i rischi meccanici possiamo consultare i documenti correlati al progetto multimediale Impresa Sicura (elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e INAIL) che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013. Progetto che ha prodotto negli anni diversi materiali relativi alla prevenzione in vari comparti lavorativi (metalmeccanica, cantieristica navale, lavorazione del legno, calzature, ecc.) e una raccolta dettagliata di informazioni sui DPI nel documento “Impresa Sicura DPI”.

Il documento ricorda che i guanti di protezione contro rischi meccanici hanno la funzione di proteggere le mani da aggressioni fisiche e meccaniche, per cui costruttivamente devono resistere all’abrasione, al taglio, allo strappo e alla foratura. E deve essere riportata sui guanti una marcatura che evidenzia la loro capacità di proteggere dai rischi meccanici.

In particolare le caratteristiche tecniche che questo dispositivo di protezione deve avere sono riportate nella norma tecnica UNI EN 388:2004.

Questi guanti di protezione devono essere realizzati con materiali che non provocano problemi di irritazione o allergie e qualora ciò non fosse possibile tale rischio deve essere evidenziato nelle istruzioni d’uso. E le caratteristiche di resistenza meccanica devono essere indicate nella marcatura ed espresse con un indice numerico. Nel documento sono riportate varie tabelle, anche con riferimento ai livelli relativi ai test di resistenza. E sono riportate anche utili note di approfondimento relative alla resistenza alla lacerazione e alla perforazione.

Il documento si sofferma poi ampiamente sui guanti e proteggi-braccia di maglia metallica o plastica contro i tagli e le ferite causate da coltelli a mano (norma di riferimento: UNI EN 1082-1:1998).

Sono DPI in maglia metallica o in plastica utilizzati in tutte quelle attività in cui il coltello viene avvicinato alla mano e all’avambraccio dell’utilizzatore (ad esempio: nei mattatoi e nelle industrie per la lavorazione della carne compreso il disossamento, così come del pesce e dei molluschi, nella ristorazione industriale). Questa tipologia può offrire inoltre protezione a coloro che lavorano con coltelli a mano in altri ambiti lavorativi (ad esempio nell’industria della plastica, della pelle, del tessile e della carta, nonché nella posa di pavimentazioni e in attività simili).

Si segnala che tali dispositivi forniscono una protezione solo ad una porzione limitata del corpo; la scelta quindi del grado di protezione necessaria per un particolare lavoro deve essere effettuata attentamente tenendo presenti i tipi di rischi e le probabilità che ciascuno di esso si verifichi:

  • nei casi in cui il rischio di taglio sia limitato alle mani dovrà essere usato un guanto di protezione che dovrebbe estendersi almeno fino al polso; tuttavia se sussiste il rischio di tagli alla superficie palmare del polso, dovrebbe essere usato un guanto con polsino e si tenga presente che i tagli nella zona del polso possono provocare ferite particolarmente invalidanti per il rischio di lesioni ai nervi; nell’industria del taglio delle carni si consiglia pertanto almeno una protezione per la mano e per il polso che risale per 75 mm prossimale al polso;
  • la protezione per l’intero avambraccio è indicata nei casi in cui si possa prevedere il rischio di ferite in questa regione;
  • è importante che non vi siano punti deboli nella copertura di protezione: essi possono presentarsi alla giunzione fra il guanto e il polsino, fra il guanto e il proteggi-braccio, e nelle zone in cui il materiale di protezione si sovrappone.

 

Una scelta corretta e un’adeguata attenzione nell’adattare e indossare la copertura può ridurre al minimo i problemi, infatti:

  • guanti piccoli possono causare danni alle mani;
  • proteggi braccia piccoli possono limitare i movimenti;
  • dispositivi troppo larghi costituiscono un rischio.

Si ricorda che un guanto a maglia metallica non è elastico, quindi solitamente gli utilizzatori scelgono guanti con misura sufficientemente grande da evitare che diventino troppo stretti durante l’uso.

Possiamo avere:

  • guanti piani: presentano dimensioni posteriori e anteriori uguali, potendo quindi essere stesi su una superficie piana; per ottenere una buona adattabilità e comodità d’uso, le loro dimensioni dovrebbero superare quelle della mano dell’utilizzatore da 10 a 15 mm in lunghezza e di 15 mm in larghezza (tali misure vanno effettuate con il guanto steso);
  • guanti curvi: sono guanti che presentano un numero maggiore di anelli nella parte posteriore; richiedono una minore lunghezza e larghezza in eccesso rispetto a quelli piani per offrire una buona adattabilità.

Un’altra protezione è data dai proteggi-braccia che coprono l’avambraccio a partire dal polsino di un guanto compatibile e devono essere fissati al polsino stesso tramite cinghie o dispositivi di fissaggio oppure tenuti in posizione mediante questo:

  • proteggi-braccia rigidi: sono di plastica o di altro materiale rigido e generalmente sono disponibili in taglie fisse e forniti per potersi adattare solo a particolari taglie di guanti; essi debbono essere marcati con l’indicazione della lunghezza e viene fissata una relazione tra questo parametro e la lunghezza dell’avambraccio per cui sono stati progettati (per determinare la lunghezza idonea di tali DPI sul documento sono riportate ulteriori indicazioni, immagini e tabelle); i proteggi-braccia rigidi presentano la parte terminale, prossimale alla parte superiore del braccio, di forma arcuata per fermare la lama del coltello;
  • proteggi-braccia di maglia metallica e a polsino lungo: questo dispositivo va scelto in modo che la lunghezza dello spazio tra la parte superiore del polsino lungo o del proteggi-braccio e la parte superiore del braccio, collocato lungo il torace con il gomito flesso a 90°, sia inferiore a 75 mm; tale distanza può essere minore della lunghezza di 45 mm raccomandata per i proteggi-braccia rigidi su cui il bordo rivoltato tende a battere contro la parte superiore del braccio.

 

Nel documento di Impresa Sicura si forniscono poi dettagliate informazioni sulla marcatura e sulle indicazioni fornite dal fabbricante e si ricorda che i DPI metallici sono conduttori di elettricità, pertanto si deve evitare il contatto con parti in tensione.

Per concludere questa presentazione dei guanti di protezione dai rischi meccanici ci soffermiamo molto brevemente su altre due tipologie di guanti:

  • guanti e proteggi-braccia contro tagli causati da coltelli motorizzati: tipologia di DPI indicata per quelle lavorazioni in cui l’operatore fa uso di coltelli motorizzati, cioè di apparecchiature ad impugnatura manuale o fissa che utilizzano una fonte di energia diversa da quella umana (generalmente elettrica o aria compressa) per azionare una lama di coltello rotante, alternativa o vibrante; queste attrezzature di lavoro sono comunemente utilizzate nel settore dell’abbigliamento, nella lavorazione della gomma piuma e materiali similari, nei mattatoi e negli stabilimenti per il taglio della carne; si utilizzano coltelli a nastro, coltelli diritti alternativi, taglierine circolari rotanti e altri tipi;
  • guanti di protezione per l’utilizzo di seghe a catena: la norma UNI EN 381-1:2004 specifica le caratteristiche di resistenza che i guanti debbono avere verso il taglio mediante sega a catena; poiché queste attrezzature di lavoro sono progettate per essere utilizzate con la mano destra, normalmente protetta quando stringe l’apposita impugnatura dell’attrezzatura di lavoro, i requisiti di protezione sono riferiti ai guanti per la mano sinistra; pertanto un operatore mancino deve utilizzare la sega a catena come un destrorso per ottenere la prevista protezione dal DPI; sono previsti due tipi di guanti di protezione che differiscono tra loro sulla base delle diverse aree di protezione della mano: di Tipo A (guanto a cinque dita separate, con protezione del metacarpo, cioè della parte compresa tra il polso e le dita) e di Tipo B (guanto a 5 dita o manopola con protezione di tutto il dorso della mano compreso quello delle dita, ad esclusione del pollice: per la mano destra non è richiesta alcuna protezione: tuttavia se essa esiste deve per lo meno essere equivalente a quella richiesta per la mano sinistra, secondo le relative tipologie sopra indicate.

L’accesso al sito “Impresa Sicura” è gratuito e avviene tramite una registrazione al’indirizzo:

http://impresasicura.org/ita/pages/home.php

 

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COME DIMOSTRARE LA COLLABORAZIONE ALLA VALUTAZIONE DEI RISCHI

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

11 maggio 2015

di Tiziano Menduto

 

Linee di indirizzo per rendere efficace e dimostrabile la collaborazione alla valutazione e gestione dei rischi nelle aziende. Indicazioni sulla collaborazione e sugli elementi documentali per Medico Competente (MC), Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza aziendale (RLS) o Territoriale (RLST).

 

PuntoSicuro si è già soffermato sulla Deliberazione del 22 dicembre 2014, n. 1721 della Regione Umbria, contenente le linee di indirizzo relative alle “modalità di collaborazione alla valutazione e gestione del rischio in azienda”: Tali linee di indirizzo forniscono i criteri per una corretta gestione dei rapporti tra le figure coinvolte nella valutazione e gestione del rischio (Datore di Lavoro (DL), RSPP, MC e RLS/RLST) e per dimostrare l’avvenuta collaborazione alla valutazione.

Se nel precedente articolo di presentazione del documento abbiamo riportato solo alcune indicazioni generali sul processo di valutazione del rischio e sulla necessità di una collaborazione efficace e dimostrabile, ci soffermiamo oggi su alcune specifiche indicazioni per tre diversi soggetti: il MC, il RSPP e il RLS.

 

Il documento regionale ricorda che se il MC è chiamato dalla normativa a svolgere una funzione fondamentale per la tutela della salute dei lavoratori, uno dei punti di forza della sua attività dovrebbe essere proprio la collaborazione alla valutazione del rischio.

Una collaborazione che comporta una assunzione di responsabilità professionale e che si sostanzia attraverso un contributo tecnico che riguarda molteplici aspetti del rapporto salute e lavoro. Un contributo che può abbracciare, quindi, aspetti di igiene del lavoro, tossicologici, di ergonomia, per arrivare ad aspetti organizzativo-relazionali.

Se con il D.Lgs.81/08 si pone l’accento sull’obbligo di collaborazione (articolo 25), in assenza di linee-guida o di protocolli operativi espressi da parte di organi istituzionali o società scientifiche, tale condizione ha portato a comportamenti difformi fra i diversi professionisti medici e fra gli operatori degli organi di vigilanza.

E riguardo agli esiti giurisprudenziali di questa situazione, si segnala la sentenza della Cassazione penale del 15 gennaio 2013 che ha rigettato il ricorso di un MC condannato per il reato contravvenzionale previsto dall’articolo 25 comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08, per non aver collaborato con il DL e con il Servizio di Prevenzione e Protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione della sorveglianza sanitaria, all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori per la parte di competenza e alla organizzazione del servizio di primo soccorso.

Le linee di indirizzo regionali indicano che alcune delle attività in obbligo al MC, la relativa modalità di svolgimento e tenuta documentale, testimoniano una collaborazione efficace e dimostrabile.

In particolare:

  • la programmazione del controllo sanitario dei lavoratori, con le indicazioni dei lavoratori che devono essere sottoposti allo stesso, specificando eventuali esami strumentali e/o di laboratorio mirati al rischio; il protocollo di sorveglianza sanitaria deve essere allegato al Documento di Valutazione dei Rischi (DVR);
  • l’elaborazione epidemiologica dei dati derivanti dalla sorveglianza sanitaria e dal monitoraggio biologico: l’analisi di tali dati consente di ottenere informazioni anonime collettive assai utili ai fini della individuazione di elementi di rischio in grado di agire sulla salute dei lavoratori (questa eventualità è espressamente prevista dall’articolo 35 del D.Lgs.81/08).

Esistono poi elementi documentali specifici rispetto al processo di valutazione dei rischi che possono essere utilizzati per testimoniare l’avvenuta collaborazione del medico competente.

Alcuni di questi possono essere, ad esempio:

DVR in cui è evidenziata una partecipazione diretta del MC al processo di valutazione dei rischi, in particolare per gli aspetti legati ai rischi per la salute (datato e firmato);

documentazione prodotta dal MC che, partendo dalle informazioni disponibili (indagini di igiene industriale, analisi dei cicli lavorativi, sorveglianza sanitaria, letteratura scientifica ecc.), propone al DL eventuali integrazioni alla valutazione dei rischi o la rivalutazione di determinati rischi, nonché ulteriori misure di prevenzione e protezione dei lavoratori, datata e firmata;

documentazione relativa ad incontri/riunioni con DL, RSPP, RLS/RLST ed eventuali consulenti esterni, riguardante aspetti tecnici (metodi, strumenti, criteri, risultati, misure di prevenzione e protezione ecc.) inerenti la valutazione dei rischi per la salute.

Si ricorda poi che, laddove il medico competente subentri in aziende che hanno già effettuato la valutazione del rischio, la collaborazione potrà sostanziarsi attraverso una formale conferma delle valutazioni già espresse dai precedenti professionisti o attraverso un nuovo contributo valutativo separato indirizzato al DL.

Il RSPP è una figura strategica nel sistema di gestione della sicurezza e nell’ambito della valutazione dei rischi. Infatti il Responsabile e gli eventuali addetti del SSP debbono provvedere, come indicato dalla norma, all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale. Questa specifica responsabilità del RSPP è ribadita dalle recenti sentenze della Corte di Cassazione che hanno chiarito la responsabilità per colpa professionale in caso di danni derivanti da situazioni di pericolo che il RSPP ha avuto l’obbligo di segnalare al DL (Cassazione IV Penale Sentenza n. 1834 del 15 gennaio 2010 e Cassazione IV Penale Sentenza n. 11492 del 11 marzo 2013 ).

Ed esistono poi elementi documentali specifici rispetto al processo di valutazione dei rischi che possono essere utilizzati per testimoniare l’avvenuta collaborazione del RSPP, ad esempio:

  • DVR in cui è evidenziata una partecipazione diretta del RSPP alla valutazione dei rischi (datato e firmato);
  • documentazione prodotta dal RSPP che, partendo dalle informazioni disponibili (indagini di igiene industriale, analisi dei cicli lavorativi, esiti dell’elaborazione epidemiologica dei dati sulla sorveglianza sanitaria, letteratura scientifica ecc.), proponga al DL eventuali integrazioni alla valutazione dei rischi o la rivalutazione di determinati rischi, nonché ulteriori misure di prevenzione e protezione dei lavoratori, datata e firmata;
  • documentazione relativa ad incontri/riunioni con DL, MC, RLS/RLST ed eventuali consulenti esterni, riguardante aspetti tecnici (metodi, strumenti, criteri, risultati, misure di prevenzione e protezione, ecc.) inerenti la valutazione dei rischi per la salute.

Come per il MC anche nel caso del RSPP che subentri in aziende che già hanno effettuato la valutazione del rischio, la collaborazione potrà sostanziarsi o attraverso una formale conferma delle valutazioni già espresse dai precedenti professionisti o da nuovo contributo valutativo separato indirizzato al DL.

Il documento sottolinea poi che il RLS (aziendale o territoriale) svolge, sulla base dei compiti assegnati dalla legge e sulla base delle regole concordate dalle parti, un ruolo che si inscrive in un ambito cooperativo-partecipativo, in particolare nell’ambito della valutazione dei rischi e sul piano delle misure attuative.

In particolare la consultazione del RLS/RLST in tema di valutazione del rischio e redazione del DVR potrà realizzarsi attraverso una o più delle seguenti modalità:

  • produzione da parte del RLS/RLST di un parere scritto in tema di valutazione del rischio (proposte e/o critiche su metodi, strumenti, criteri, misure di protezione e prevenzione), che sulla base delle informazioni disponibili anche messe a disposizione dal DL (indagini di igiene industriale, analisi dei cicli lavorativi, esiti dell’elaborazione epidemiologica dei dati sulla sorveglianza sanitaria, letteratura scientifica ecc.) proponga al DL modifiche o integrazioni alla valutazione dei rischi, datato e firmato;
  • documentazione relativa a incontri/riunioni con il DL, MC, RSPP ed eventuali consulenti, finalizzati alla valutazione del rischio ed alla redazione del DVR.

Concludiamo ricordando che laddove il RLS/RLST subentri in aziende che hanno già effettuato la valutazione del rischio la collaborazione potrà sostanziarsi attraverso una formale conferma delle valutazioni già espresse dai precedenti professionisti e/o dal precedente RLS/RLST o attraverso un nuovo contributo, anche di giudizio difforme dal precedente, indirizzato al DL.

Il documento della Regione Umbria “Deliberazione della Giunta Regionale 22 dicembre 2014, n. 1721 – Linea di indirizzo – Le modalità di collaborazione alla valutazione e gestione del rischio in azienda” è scaricabile all’indirizzo:

http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=12521:2014umb1721&catid=27:normativa-regionale&Itemid=59

 

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I RISCHI DEL FUMO NEI LUOGHI DI LAVORO: NORMATIVA E PROPOSTE

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

13 maggio 2015

 

Un intervento si sofferma sull’abitudine del fumo, sui rischi del fumo passivo e attivo nei luoghi di lavoro, con particolare riferimento al mondo della scuola.

I rischi per i lavoratori, la normativa e le proposte per migliorare le politiche smoke-free.

 

Se in Italia la prevalenza dei fumatori è da anni in lento e costante declino, preoccupano tuttavia alcuni comportamenti in controtendenza specialmente tra due sottogruppi della popolazione: donne e giovani.

E in ogni caso, riguardo agli effetti sulla salute, è ormai riconosciuto che il fumo è un rischio diretto per fumatori attivi e passivi. Infatti anche il fumo passivo causa tumori polmonari (classificato dalla IARC come “cancerogeno del gruppo I” ovvero cancerogeno per l’uomo, come il fumo attivo). E non bisogna dimenticare che nei luoghi di lavoro il fumo può potenziare anche altri fattori di rischio.

A fornire questi dati è un intervento al seminario di aggiornamento del 20 novembre 2014, dal titolo “Abitudine al fumo e luoghi di lavoro”, rivolto a Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) della scuola e organizzato dalla Rete di Scuole e Agenzie per la Sicurezza della Provincia di Firenze.

Nell’intervento “Abitudine al fumo e luoghi di lavoro”, a cura di Maria Rosaria De Monte (Medico del Lavoro), si ricorda che il fumo è composto da oltre quattromila diverse sostanze chimiche che sono rilasciate nell’aria sotto forma di particelle e gas. Tra queste sostanze chimiche, finora è stato dimostrato che oltre sessanta sono presumibilmente o sicuramente cancerogene.

E dopo aver fornito dati sulla composizione chimica del fumo, la relatrice sottolinea che nei luoghi di lavoro:

  • è un fattore di distrazione;
  • aumenta il rischio infortunistico e il rischio incendio;
  • aumenta la conflittualità interna tra soggetti non fumatori e fumatori.

E non bisogna dimenticare che la scuola è un luogo di lavoro.

 

A proposito della scuola viene ricordato il Decreto Legge 12 settembre 2013 n.104 “Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca” in cui all’articolo 4, comma 1, si dice che l’articolo 51 della legge Sirchia è esteso anche alle aree all’aperto di pertinenza delle istituzioni scolastiche statali e paritarie.

Si ricorda inoltre che con la Legge 16 gennaio 2003, n. 3:

  • è vietato fumare nei locali chiusi, con eccezione di quelli privati non aperti al pubblico e di quelli riservati ai fumatori e così contrassegnati (articolo 51, comma 1);
  • il divieto di cui al comma 1, è esteso anche alle aree all’aperto di pertinenza delle istituzioni (articolo 51, comma 1-bis).

Inoltre gli esercizi e i luoghi di lavoro, nei locali riservati ai fumatori devono essere dotati di impianti di ventilazione e ricambio funzionanti, con specifici requisiti (indicati nell’Accordo 24/07/03 della Conferenza Stato Regioni e nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23/12/03).

Dopo aver fatto riferimento alle leggi regionali e alle parti del D.Lgs. 81/08 rilevanti per la prevenzione dei rischi del fumo, l’intervento si sofferma sulla scuola, sugli obblighi del dirigente scolastico in materia di sicurezza e sulla conseguenza dell’articolo 4, relativo alla tutela della salute nelle scuole, del Decreto Legge 12 settembre 2013, n. 104, coordinato con la Legge di conversione 8 novembre 2013, n. 128.

L’intervento segnala poi alcune campagne di comunicazione, ad esempio con riferimento alla eliminazione della pubblicità e della sponsorizzazione dei prodotti del tabacco o all’aumento della tassazione su questi prodotti.

Con riferimento a queste campagne, la strategia di contrasto al tabagismo può essere sviluppata con approccio integrato in varie direzioni:

  • proteggere la salute dei non fumatori (monitoraggio della Legge);
  • ridurre la prevalenza dei nuovi fumatori (programmi scolastici, campagne, etichettature);
  • promuovere e sostenere la cessazione (formazione degli operatori sanitari e non, programmi di comunità, aziende libere da fumo, centri antifumo).

Senza dimenticare la tassazione dei prodotti del tabacco come strategia per contrastare il fumo.

Dopo essersi soffermato sulle risorse utili per combattere il fumo e sul progetto del Ministero della Salute per monitorare la pratica del fumo di tabacco nella scuola affidato al Centro Nazionale di Epidemiologia, sorveglianza e Promozione della Salute (CNEPS) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), l’intervento si conclude con alcune considerazioni e proposte:

  • difficoltà di coordinamento fra tutte le politiche smoke-free promosse in vari ambiti a livello regionale e nazionale;
  • debolezza in alcune Regioni italiane di una struttura organizzativa di riferimento per l’organizzazione, coordinamento e conduzione di iniziative di prevenzione nel territorio;
  • necessità di dare continuità agli investimenti in atto per l’implementazione dei programmi di controllo del tabacco;
  • necessità di creare una rete intersettoriale e interdisciplinare per la prevenzione primaria del tabagismo.

Inoltre, con riferimento ad alcune esperienze di monitoraggio descritte nell’intervento, sono riportate altre indicazioni:

  • il monitoraggio ha evidenziato, da cartellonistica e interviste, una buona applicazione della normativa con possibilità di ridurre ancora l’ esposizione a fumo passivo sia negli enti pubblici che nelle aziende private;
  • interviste: tutti gli intervistati hanno partecipato con interesse e in forma attiva;
  • politica aziendale: prevalentemente le grandi aziende manifatturiere hanno inserito il rischio fumo su DVR o nel regolamento aziendale;
  • spazi: le aziende non hanno destinato spazi per fumatori secondo il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23/12/03 nel 95% circa dei casi;
  • i Servizi di Prevenzione della Igiene e della Sicurezza nei Luoghi di Lavoro delle ASL hanno informato i medici competenti delle criticità riscontrate in alcune aziende ed in collaborazione con RLS ed RSPP sono state individuate delle soluzioni;
  • addetto interno alla vigilanza sul divieto di fumo: importante valorizzare il ruolo di questa figura;
  • identificare azioni di miglioramento per alcuni settori (enti pubblici, grandi distribuzioni, piccole imprese, scuole), e per alcune aree critiche (servizi igienici, spogliatoi, alcuni uffici);
  • in generale è stata ben accolta la presenza di operatori del Dipartimento sia nel ruolo di addetti alla vigilanza, che di promotori della salute;
  • implementare la copertura territoriale, sensibilizzare e informare attraverso una rete che coinvolga Servizi di Prevenzione, scuole, centri antifumo, medici competenti, lavoratori e referenti aziendali;
  • approfondire con indicatori di valutazione, l’efficacia di questi interventi per implementare azioni di cambiamento e di miglioramento per la salute globale del cittadino;
  • applicare il modello CCM (Prevenzione e Controllo delle Malattie) per il monitoraggio nelle scuole al fine di individuare le criticità e predisporre interventi socio-educativi.

L’intervento si conclude sottolineando che le leggi da sole non bastano e che, con particolare riferimento alla scuola:

  • deve cambiare la cultura della salute;
  • devono essere individuati percorsi di “peer education” (percorsi di educazione tra pari) nella scuola, spesso utilizzati nell’ambito della promozione della salute e nella prevenzione dei comportamenti a rischio: una strategia educativa volta ad attivare un processo di passaggio di conoscenze, emozioni ed esperienze da parte di alcuni membri di un gruppo ad altri membri di pari livello;
  • la scuola è il luogo ideale per promuovere una cultura del benessere.

Il documento “Abitudine al fumo e luoghi di lavoro”, a cura di Maria Rosaria De Monte (Medico del Lavoro), intervento al seminario “Abitudine al fumo e luoghi di lavoro” è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150513_Abitudine_fumo_luoghi_lavoro.pdf

Gli atti del seminario “Abitudine al fumo e luoghi di lavoro”, pubblicati dall’ Azienda Sanitaria di Firenze sono scaricabili all’indirizzo:

http://www.asf.toscana.it/images/stories/prevenzione/corso_fumo.zip

 

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RISPOSTE A QUESITI SULLA SICUREZZA NEI CANTIERI

 

Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

13 maggio 2015

 

I “Quesiti sulla sicurezza nei luoghi di lavoro” del gruppo di lavoro Info.Sicuri. A cura della Direzione Sanità della Regione Piemonte.

 

Pubblichiamo alcune risposte a quesiti sui cantieri (Titolo IV, articoli 88-160 del D.Lgs 81/08), elaborati dal gruppo di lavoro Info.Sicuri e tratti dalla raccolta della Direzione Sanità, Prevenzione Sanitaria ambienti di vita e di lavoro della Regione Piemonte, aggiornata al 2014.

Ricordiamo che Info.Sicuri è un servizio della Regione Piemonte che si pone l’obiettivo di fornire a tutti i soggetti portatori di obblighi e responsabilità (datori di lavoro, responsabili e addetti alla sicurezza, dirigenti, preposti, professionisti, lavoratori e loro rappresentanti) informazioni utili sulla normativa a tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

DOMANDA

A quale normativa risultano soggetti i ponteggi a piani auto sollevanti?

RISPOSTA

Con circolare del Ministero del Lavoro n. 39 del 15 maggio 1980, su conforme parere della Commissione Consultiva Permanente per la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro, i ponteggi a piani auto sollevanti (non i ponti sviluppabili) sono stati considerati soggetti alla disciplina autorizzativa di cui all’articolo 30 del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164. In passato quindi sono stati nel tempo autorizzati dal Ministero del Lavoro come ponteggi e a essi sono state applicate le norme previste per i ponteggi metallici fissi. Non vi è dubbio invece che si tratti di macchine soggette alla Direttiva Macchine (oggi recepita con il D.Lgs. 17/10) e al titolo III del D.Lgs. 81/08.

Il Ministero è nuovamente intervenuto sulla questione con la circolare 30 del 3 novembre 2006 nella quale si legge: “Per ciò che riguarda altre attrezzature, quali ponti su cavalletti di altezza non superiore a metri 2, ponti sospesi, ponteggi a piani di lavoro auto sollevanti e ponti a sbalzo, questo Ministero è dell’avviso che non trovano attuazione né le norme relative al PiMUS (Piano di Montaggio Uso e Manutenzione) né quelle relative alla formazione di cui al citato Accordo del 26 gennaio 2006”. D’altra parte la disciplina richiamata contenuta nel D.Lgs. 81/08 si riferisce oggi ai cosiddetti ponteggi fissi.

In conclusione, si ritiene che i cosiddetti ponteggi a piani sollevati siano da considerare attrezzature di lavoro disciplinate dal Titolo III del D.Lgs. 81/08, soggette alla Direttiva macchine, devono essere installati conformemente alle istruzioni d’uso del fabbricante, da parte di lavoratori per i quali è richiesta una specifica informazione, formazione e addestramento (articolo 73 del D.Lgs.81/08), e tali attrezzature devono essere sottoposte a verifiche periodiche (articolo 71, comma 11 e allegato VII del D.Lgs.81/08).

DOMANDA

In un cantiere di opera pubblica, con lavorazioni affidate a un’unica impresa, è stato redatto il Piano di Sicurezza Sostitutivo (PSS).

Successivamente, è stato autorizzato un subappalto e le imprese sono diventate 2. L’ente quindi nomina il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione.

A questo punto, il coordinatore deve verificare la completezza del PSS e aggiungere la stima degli oneri della sicurezza oppure fare un Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) ex novo?

La ditta che aveva preparato il PSS, deve trasmettere anche il Piano Operativo di Sicurezza (POS)?

RISPOSTA

Il Coordinatore deve redigere il PSC di cui è responsabile. Nel fare ciò può evidentemente tenere conto del PSS già redatto (e quindi assumerlo in tutto o in parte a secondo del giudizio che ne dà).

L’impresa deve comunque redigere il proprio POS che dovrebbe avere, ex Allegato XV, contenuti diversi rispetto al PSS.

DOMANDA

Nelle organizzazioni mediamente complesse il datore di lavoro delega (seguendo l’articolo 16 del D.Lgs.81/08) le attività, tra cui i compiti dell’articolo 97, al Delegato (normalmente il Direttore di Cantiere).

In cantieri di una certa dimensione o quando si hanno più cantieri da seguire il Delegato si fa “aiutare” dal “preposto” per il controllo delle ditte terze ai sensi dell’articolo 97: verifica delle condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento, nonché il coordinamento degli interventi di cui agli articoli 95 e 96. Il “preposto” nella nostra organizzazione esegue, oltre ai compiti disciplinati dagli articoli 19 e 96, i controlli sulle ditte terze esecutrici “in nome e per conto” del Delegato senza la formalizzazione scritta di tale incarico. E’ necessario formalizzare il ruolo di controllo da parte dei “preposti” sulle ditte terze (compito del datore di lavoro da noi delegato al Dirigente con procura notarile)?

RISPOSTA

Gli obblighi di cui all’articolo 97 sono posti a carico del datore di lavoro e del dirigente. Gli obblighi del datore di lavoro possono essere trasferiti con delega (ed eventuale subdelega) a persona competente nelle forme dell’articolo 16. Il soggetto delegato risponde nel suo ruolo di datore di lavoro delegato.

Il preposto, ancorché menzionato nel comma 3 ter dell’articolo 97, non è destinatario dell’obbligo specifico, ma può essere investito, nell’ambito aziendale, con semplice ordine di servizio, di compiti operativi a supporto dell’azione del dirigente e del datore di lavoro che rimangono responsabili dell’obbligo.

DOMANDA

Porgo una domanda in merito alla trasmissione della notifica preliminare all’amministrazione concedente ex articolo 90, comma 9, lettera c) del D.Lgs. 81/08: il committente/responsabile dei lavori ha l’obbligo di inoltrare all’ufficio tecnico comunale sia la notifica effettuata prima dell’inizio dei lavori sia tutti gli aggiornamenti della notifica effettuati in corso d’opera? Oppure è sufficiente protocollare solamente la prima notifica, prima dell’inizio delle opere?

RISPOSTA

L’articolo 90, comma 9 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che il “committente o il responsabile dei lavori trasmette all’amministrazione concedente, prima dell’inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività, copia della notifica preliminare di cui all’articolo 99”.

L’articolo 99 invece stabilisce che “Il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’inizio dei lavori, trasmette all’Azienda Unità Sanitaria Locale e alla Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competenti la notifica preliminare elaborata conformemente all’allegato XII, nonché gli eventuali aggiornamenti […]”. Quindi letteralmente di aggiornamenti si parla solo nell’articolo 99 in relazione all’invio della notifica e per l’appunto dei suoi aggiornamenti all’Azienda Unità Sanitaria Locale e alla Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competenti. Tuttavia, si ritiene opportuno trasmettere anche all’amministrazione concedente copia delle modifiche alla notifica.

DOMANDA

In un’opera pubblica di sistemazione urbana (pavimentazioni stradali, illuminazione pubblica e arredo urbano) in cui sono professionista esterno nominato Direttore dei Lavori e Coordinatore della Sicurezza in Esecuzione (CSE), la stazione appaltante mi ha richiesto la redazione del DUVRI da affiancare al già redatto PSC, per far fronte a quanto previsto dall’articolo 26, comma 3 del D.Lgs. 81/08. A tal proposito avrei una serie di quesiti da porre.

Il DUVRI non è un documento che eventualmente dovrebbe essere consegnato al CSE e non da lui redatto?

Anche se fosse effettivamente il CSE a dover/poter redigere il DUVRI, che tipo di interferenze esso dovrebbe contemplare?

Le interferenze derivanti dall’ingresso in cantiere delle ditte addette alla manutenzione ordinaria?

Tali interferenze sono attualmente gestite nel cantiere in oggetto con specifiche riunioni di coordinamento e relativi verbali che sanciscono di volta in volta le regole e le procedure da seguire nel corso dell’esecuzione.

Le interferenze derivanti dall’ingresso in cantiere del Responsabile Unico del Procedimento (RUP) per eventuali sopralluoghi? Ma essendo la supervisione dei cantieri una delle mansioni ordinarie proprie del RUP, tali rischi non dovrebbero già essere contemplati all’interno del DUVRI già redatto dall’Amministrazione Pubblica?

Un’ultima considerazione mi porta a pensare che se si dovesse effettivamente redigere un DUVRI per ogni cantiere di opere stradali, ci si troverebbe in presenza di una molteplicità di DUVRI relativi alla medesima Amministrazione Pubblica facendo così venire meno il requisito di unicità che tale documento dovrebbe avere.

Vi chiedo pertanto cortesemente un chiarimento relativamente alla necessità di DUVRI all’interno dei cantieri temporanei di opere stradali e in merito all’obbligo di redazione del medesimo da parte del CSE.

RISPOSTA

La redazione del DUVRI non è compito del CSE, ma del datore di lavoro committente. Se le attività del cantiere interferiscono con altre attività in appalto il DUVRI dell’Amministrazione deve essere aggiornato anche con la collaborazione del CSE, ma sempre da parte del datore di lavoro committente per la parte di sua competenza. Eventualmente il CSE potrebbe dover aggiornare il PSC in ragione dell’attività di coordinamento con le attività extracantieristiche interferenti.

DOMANDA

Dobbiamo eseguire dei lavori di impermeabilizzazione di un fabbricato per civile abitazione, il cui tetto è piano senza parapetti con accesso da cassa di scale, al quinto piano. La impresa aggiudicataria del lavoro, come abbiamo scoperto è una ditta individuale senza iscrizione alla cassa edile. Ci risulta che provvede ad assumere persone solo per gli appalti che si aggiudica, senza averne di fissi. Come possiamo tutelarci? Quali documenti dobbiamo richiedere?

RISPOSTA

Per gli aspetti di iscrizione alla cassa edile può rivolgersi direttamente a loro. Per i lavori edili dovrà essere effettuata la verifica dell’idoneità tecnico professionale secondo i contenuti dell’articolo 90, comma 9 e dell’allegato XVII del D.Lgs. 81/08, che riportano una guida dettagliata degli adempimenti a carico del committente. Nel caso specifico, in relazione all’entità dei lavori occorre innanzitutto verificare se l’intervento sarà eseguito dal solo titolare o anche da lavoratori terzi, nel primo caso il soggetto sarebbe un lavoratore autonomo, nel secondo si configurerebbe un’impresa con relativi obblighi.

DOMANDA

In un cantiere edile un’impresa può far lavorare delle persone con contratto di prestazione occasionale per lavori di manovalanza senza attestati di formazione?

RISPOSTA

Fatta salva la regolarità del rapporto di lavoro per la quale si rimanda alla Direzione Territoriale del Lavoro, i lavoratori in questione rientrano nella definizione di cui all’articolo 2 del D.Lgs. 81/08, pertanto, nei confronti degli stessi devono essere assicurate dal datore di lavoro tutte le tutele previste, compresa una adeguata informazione, formazione e, quando previsto, addestramento in materia, nonché la sorveglianza sanitaria.

DOMANDA

Chi ha regolarmente svolto un corso per addetti al montaggio, smontaggio, trasformazione ponteggi, può essere esonerato alla formazione e addestramento per l’utilizzo dei DPI di III categoria contro le cadute dall’alto (articolo 77, comma 5 del D.Lgs. 81/08)?

RISPOSTA

Si ritiene che il corso per ponteggisti non esoneri il datore di lavoro dall’obbligo di far fare addestramento sull’uso dei DPI anticaduta. I soggetti sono diversi, le procedure, le attrezzature e le circostanze possono essere diverse.

Ciononostante il datore di lavoro potrà considerare il possesso del requisito formativo quale elemento di base per definire il programma dell’addestramento.

La raccolta di quesiti sul Decreto Legislativo 81/08 realizzata da Info.Sicuri è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/141010_Reg_piem_quesiti_sicurezza_agg_2014.pdf

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