Lo smaltimento dell’amianto, dalla discarica ai possibili trattamenti alternativi, un intreccio di “paradossi” da sciogliere

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Intervento del Vicepresidente di Medicina Democratica Onlus Marco Caldiroli al convegno:”Amianto
Quali novità per Milano e la Lombardia dopo la conferenza governativa di Venezia ?
Camera del lavoro di Milano – 14 gennaio 2013

2013115AMIANTOA fronte della stima (al 2008) di 2.800.000 mc di amianto in matrice compatta presenti sulle
coperture lombarde al 2011 ne rimangono circa 2.500.000 mc da smaltire.
Lo smaltimento annuo è poco oltre 200.000 t/a (di cui circa 9.000 t/a di amianto in matrice friabile)
quasi integralmente avviato in discariche in Germania.
Con i due impianti che hanno da poco iniziato l’attività (Montichiari e Brescia) e i quattro impianti
in fase di autorizzazione (Treviglio, ancora Montichiari, Ferrera Erbognone, Cava Manara) le
capacità di smaltimento arriverebbero a 2.900.000 mc (un quinto impianto a Sedrina-BG
aggiungerebbe ulteriori 623.000 mc di capacità), oltre il fabbisogno stimato per la Lombardia
(rammento però che i rifiuti contenenti amianto non hanno il vincolo della prossimità ovvero una
autorizzazione per un impianto di smaltimento non può limitare il conferimento alla sola regione di
localizzazione).
Appare in ogni caso impossibile il raggiungimento dell’obiettivo del PRAL del 2005 della
eliminazione dell’amianto in Lombardia per il 31.12.2015.
Vi sono alcune particolarità sul tema che, in alcuni casi, divengono “paradossi”.
Il primo è sulla attuale modalità di gestione “a discarica” .
Le discariche per l’amianto in matrice compatta (eternit), classificato come pericoloso sono
realizzate con i criteri delle discariche per rifiuti non pericolosi (possibilità prevista dalla direttiva
UE e utilizzata dall’Italia), in parte modificate dalla Lombardia con una DGR del 2005.
Questo determina maggiori problemi localizzativi in quanto le discariche finiscono per essere a
distanze più ravvicinate rispetto ai centri abitati e minori accorgimenti realizzativi, con anche un
costo minore di conferimento rispetto alle altre discariche, con un ulteriore margine di concorrenza
sul lato economico rispetto a trattamenti alternativi.
Il PRAL (2005) non ha effettuato scelte o indicazioni sul tema se non quello di garantire la
disponibilità di discariche per lo smaltimento e a valutare “eventuali metodi alternativi, già
sperimentati, di smaltimento dell’amianto” senza però definire iniziative specifiche su questi ultimi
ma, in compenso, emanando norme tecniche atte a individuare percorsi autorizzativi privilegiati per
raggiungere l’autosufficienza regionale in termini di discariche.
L’atto di indirizzo sul nuovo Piano regionale rifiuti (del novembre 2011) ha dedicato qualche riga
all’argomento: “La sezione sui rifiuti speciali del P.R.G.R. si prefiggerà l’obiettivo di indicare le
linee guida tecniche per incentivare la realizzazione di impianti innovativi per l’inertizzazione ed il
successivo recupero di tali materiali che potranno affiancare gli impianti di smaltimento
tradizionale. Tuttavia, a fronte dei necessari tempi connessi alla realizzare e sperimentazione di
impianti innovativi, nel transitorio, si ritiene necessario procedere alla messa in sicurezza di questi
materiali rimossi, mediante il deposito in discariche dedicate e controllate.
La sinergia data dalla presenza di impianti a discarica e di inertizzazione, consentirà di far fronte,
nel decennio, “all’emergenza amianto”.”
Quello che andrà considerato, in ogni caso, è che il tema del rifiuto-amianto ha la particolarità di
essere un rifiuto speciale ma i “produttori di rifiuti” oltre alle imprese sono centinaia di migliaia di
cittadini. La provenienza non è costituita solo da filiere o siti produttivi ma anche dall’ambito
domestico, pertanto la sua gestione non può semplicemente essere rinviata a quella dei rifiuti
speciali ovvero a un ambito sostanzialmente privatistico.
Tra le tipologie tecnologie proposte e recepite anche nel DM 248/2004 ve ne sono di estremamente
diverse, da quelle “semplici” di utilizzo diretto dei manufatti in amianto nei cementifici ad altre di
estrema complessità tecnica.
Quelle che attualmente risultano in grado di sviluppi industriali sono quelle di modifica cristallo-
chimica: i silicati di cui sono costituiti gli amianti perdono le loro caratteristiche chimiche e fisiche
che li rendono pericolosi (in particolare la fibrosità) per divenire silicati con altra composizione,
meno pericolosi.
I sistemi possono essere suddivisi, in relazione alle modalità del trattamento termico. Il primo
gruppo è costituito da quelli finalizzati a rendere innocuo l’amianto inglobandolo in una matrice
vetrosa (es. Isotherm), varianti dell’unico impianto industriale in funzione in Europa (Inertam in
Francia).
Il secondo gruppo è rappresentato da trattamenti a base termica basati sulla “cottura” ovvero sul
riscaldamenti dei manufatti mediante l’utilizzo di forni. Questi ultimo sono quelli più avanti in
termini di fattibilità industriale (in particolare tre proposte Aspireco, Nial Nizzoli, Kry As sono
arrivate fino alla fase autorizzativa), secondo i proponente, il risultato del trattamento di “cottura”
sono silicati recuperabili in altre filiere industriali.
E qui emergono altri paradossi.
I trattamenti termici alternativi alla discarica sono più agevolmente applicabili all’amianto in
matrice friabile che a quello compatto. Sul friabile sono disponibili anche trattamenti diversi (ad
esempio idrotermici in condizioni supercritiche).
E’ infatti possibile, in misura maggiore, controllare il processo e gli esiti dello stesso; le
caratteristiche dei manufatti rendono più semplice raggiungere un trattamento omogeneo.
Nel caso di sistemi termici basati sulla fusione della matrice (Isotherm) è ancora da capire se i
prodotti finali siano recuperabili o meno; se non lo sono i vantaggi sarebbero limitati all’amianto
friabile in quanto i prodotti risultanti andrebbero avviati comunque a discarica.
Nel caso dei trattamenti termici basati sull’utilizzo di forni “tradizionali” (Kry As) con o senza
rottura delle lastre, con o senza apertura degli imballaggi, i dati di laboratorio non sono
agevolmente attribuibili tal quali alla scala industriale (le campagne di sperimentazione sono
peraltro incomplete o con dati contraddittori). Le dimensioni impiantistiche proposte determinano,
anche se in modo diverso, impatti ambientali locali analoghi a quelle delle discariche; sotto questo
profilo il loro pregio principale possibile è che possono essere “a tempo determinato” ovvero
possono essere chiusi una volta eliminato l’amianto presente nel territorio.
In ogni caso i principali progetti presentati presentano livelli di completezza ancora inadeguati sotto
il profilo industriale, degli impatti ambientali e della tutela dei lavoratori.
Questo è dovuto, principalmente, al fatto che si passerebbe da sperimentazioni di laboratorio o su
microscala a impianti di dimensioni industriali importanti senza una idonea sperimentazione, con
monitoraggio completo, su impianti pilota (anche il caso più sviluppato, quello dell’impianto
Aspireco di Arborea, è stato oggetto di un monitoraggio parziale).
Viene comunque “cotto” un materiale che, per il 90 %, è costituito già da un materiale sottoposto a
trattamento termico, il cemento pertanto vi sono elevatissimi consumi energetici con i relativi
impatti oltre a dover dimostrare la completa trasformazione chimico-fisica dell’amianto presente nei
manufatti trattati.
Sono dubbi inclusi anche nel quaderno del Ministero della Sanità presentato in occasione della
Conferenza Amianto Governativa di fine novembre 2012.
“ Si ritiene che, in riferimento agli impianti di inertizzazione dell’amianto, si debbano creare
opportuni gruppi di lavoro multidisciplinare che definiscano, basandosi sull’evidenza scientifica e
attraverso opportune analisi costi/benefici e di appropriatezza, non ultimo considerando gli aspetti
relativi all’impatto sulla salute della popolazione, l’efficacia dei “Trattamenti che modificano
completamente la struttura cristallo-chimica dell’amianto e che quindi ne annullano la
pericolosità”, di cui debbano essere emanati Decreti applicativi o Circolari tecniche relative al
DM 29 luglio 2004, n. 248, eventualmente finalizzati a incentivare, se vantaggiosa, la realizzazione
dei suddetti impianti a scala industriale. In particolare, essi potrebbero servire a definire, più in
dettaglio, sia l’iter procedurale autorizzativo di eventuali futuri impianti, sia le Autorità competenti
in materia di controlli analitici e le relative modalità di effettuazione. “
Si era pensato a una possibile sperimentazione – idoneamente monitorata – in situazioni di
bonifiche di siti di interesse nazionale ma, nei casi in fase di attuazione e/o decisoria, come Broni,
vi è resistenza da parte dei cittadini che – paradossalmente – preferiscono la realizzazione di una
discarica (preferibilmente in altro luogo) rispetto a un impianto del genere comunque a tempo
determinato.
Viceversa, altro paradosso, i comitati presso siti ove si intendono realizzare discariche propongono
come alternative alla discarica la realizzazione di impianti di trattamento di tipo termico.
Siamo in un campo in cui non vi sono indicazioni pregresse come linee guida europee di dettaglio
sulle migliori tecnologie disponibili ma occorre valutare caso per caso.
Quello che manca, oltre a una idonea sperimentazione, è una chiara individuazione dei pro e contro,
in altri termini una corretta e approfondita “analisi del ciclo di vita” ovvero si effettui un bilancio
appropriato dei pro (non realizzazione di discarica con i relativi impatti, possibilità di
recupero/riciclo dei silicati prodotti) e dei contro (elevato consumo energetico dei trattamenti
termici e i diversi impatti sull’atmosfera dei due sistemi).
Peraltro, almeno nelle intenzioni, tale modalità di valutazione è stata prevista nell’ambito della
procedura per la definizione del nuovo piano di gestione dei rifiuti urbani della Lombardia.
Altro paradosso è che in Europa sembra esserci solo in Italia una discussione sulle alternative di
smaltimento dell’amianto in matrice compatta. Nel resto d’Europa l’amianto compatto va in
discarica, parte dell’amianto friabile va all’unico impianto di dimensioni industriali (Inertam in
Francia) con costi elevati (1200 euro/t) e comunque con capacità ridotte (il 10 % circa della sua
capacità complessiva 1.000 t/a su 10.000 t/a).
Non ha comunque senso stabilire che la Lombardia dichiari di volersi liberare dall’amianto entro il
2015 se non vengono individuati indirizzi sulla gestione dei rifiuti (che non siano semplicemente
quelle di favorire la realizzazione di discariche con caratteristiche costruttive e gestionali
semplificate e ridotte rispetto agli altri impianti per rifiuti pericolosi) e senza un diretto intervento
del settore pubblico come pure di politiche di incentivazione economica per i proprietari di edifici
contenenti manufatti in amianto.
Un intervento pubblico non significa, necessariamente, la costituzione ex novo di una azienda
pubblica o l’utilizzo di qualcosa di esistente (per esempio, Infrastrutture Lombarde) ipotizzandone
un futuro economico radioso in virtù della capacità di attrarre rifiuti anche da altre regioni, come
dichiarato dall’ex Assessore regionale Belotti nel convegno regionale del 30 maggio 2011), quanto
che la programmazione delle necessità impiantistiche (sia in termini di capacità che di tipologia)
siano fortemente sotto il controllo pubblico (e con questo non ci si riferisce esclusivamente alle
istituzioni ma, in primis, alle popolazioni).
Solo in tale ambito può trovare posto un impianto sperimentale di trattamento alternativo
idoneamente concepito e monitorato, in particolare per le numerose vicende relative a siti nazionali
di intervento e/o ai siti prioritari già definiti nel Piano regionale amianto.
Nell’ipotesi di un sistema “misto” di gestione andrà risolto il problema dei costi dei trattamenti
alternativi, ostacolo oggettivo alla introduzione di forme di trattamento diverso dalla messa in
discarica .
Lo smaltimento in una discarica in Germania di lastre di eternit (ma anche in Italia date le
caratteristiche costruttive e gestionali prescritte) ha costi (escluso il trasporto) tra i 30 e i 45
Euro/tonnellata (oggi sono 120/130 Euro/t o anche più se comprensive dello stoccaggio e del
trasporto nel caso di invio in Germania) mentre i costi di trattamento, comprensivi dei ricavi dalla
vendita dei prodotti riutilizzabili (stimati in 30 Euro/t), vengono attualmente indicati intorno ad 80
Euro/tonn (Kry-As) o a 120 Euro/t (impianto Aspireco).
Da ultimo il trattamento termico o comunque trattamenti alternativi, per l’amianto in matrice
compatta, necessita di rifiuti avviati agli impianti con caratteristiche tali da avere la minore quantità
possibile di materiali difficili da trattare o che possono determinare ulteriori problemi. Questo
significa modificare le linee guida regionali sulle attività di bonifica o comunque definire degli
standard tali da trattare e quindi raccogliere separatamente i manufatti (eternit) rispetto agli altri
rifiuti prodotti dalle bonifiche (pallet, imballaggi, dispositivi di protezione individuale ecc).
Non si tratta, in definitiva, semplicemente di “saltare” a piè pari da una all’altra tecnologia/forma di
smaltimento ma di modificare il quadro intorno al problema e di cambiare le “regole del gioco”
verso modalità che, nel conseguire l’obiettivo condiviso di eliminare l’amianto nei luoghi di vita e
di lavoro, siano maggiormente rispettose dell’ambiente e della tutela della salute delle popolazioni
esposte anche in questa fase conclusiva della “vita” dell’amianto.

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