Intervento al Convegno di Riflessione Collettiva sul Conflitto tra Salute e Lavoro del 19 gennaio 2013 di Napoli di Maurizio Loschi.

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150_salute_lavoroLa lotta per far convivere occupazione e salute in Italia non è di oggi ; anzi, nata più di 50 anni fa, oggi vive uno dei suoi momenti più bassi e possiamo dire che sostanzialmente la stiamo perdendo.
Laddove si diffonda la consapevolezza dell’esagerata nocività delle produzioni ,le aziende chiudono e delocalizzano in paesi dove la tutela dell’ambiente non esiste, mentre nelle situazioni in cui gli interessi economici siano ancora troppo grandi , il ricatto occupazionale prevale sulla salute .
Le pur tardive iniziative della Magistratura vengono subito sconfessate dal Governo che vara immediatamente Leggi e Decreti ad Hoc che le inertizzano, trovando in questo la convinta adesione dei principali partiti, PDL e PD, ma anche di alcuni Sindacati, tipo CISL e UIL.
Meno appariscente ma ugualmente grave è il silenzio-assenso di buona parte delle altre forze politiche e sindacali, compresa la CGIL che continua a non usare la propria forza organizzativa per contrastare con decisione questi interventi.
L’esperienza dell’ACNA di Cengio o della Farmoplant, ad esempio, dimostrano come alcune produzioni, una volta evidenziatane la pesante nocività, sono state chiuse senza che venissero costruite realtà industriali alternative per garantire occupazione sostitutiva, mentre altri esempi tipo quello della Tissenkrupp o ancora di più quello dell’ILVA di Taranto dimostrano come, pur di mantenere il proprio posto, i lavoratori siano costretti a subire pesantissimi ricatti, mettendo a disposizione del gruppo imprenditoriale non solo la propria salute o la propria vita ma anche quella dei propri figli.
E’ evidente quindi l’attuale l’incapacità della classe operaia Italiana di saper non solo gestire ma neppure affrontare il pesantissimo dilemma.
Obiettivo del convegno da parte degli organizzatori era quello di far incontrare alcune tra le tante svariate realtà che operano sul territorio nazionale a difesa della salute operaia e popolare ma anche per la difesa del lavoro.
Ascoltare le loro storie ed individuare le comuni difficoltà incontrate nell’azione quotidiana serve allo scopo di contribuire a trovare proposte concrete che aiutino a superarle.
Medicina Democratica, da quasi quarant’anni impegnata in questa tematica, ha sicuramente qualcosa da insegnare, e proprio per questo deve fare il massimo sforzo per influire in questo scenario, riproponendo i principi ed il metodo che sono sempre stati alla base del suo intervento e cioè la partecipazione in prima persona (il contrario della delega) ed il ruolo indispensabile del gruppo omogeneo come strumento basilare della promozione e della produzione della scienza operaia e della lotta organizzata.
È ovvio però che la semplice mantrica ripetizione di questi concetti di per se non potrà certamente risolvere alcunchè: l’obiettivo deve essere quello di aiutare tutti coloro che a Medicina Democratica si rivolgono, non a risolvere il proprio problema ma ad imparare a farlo in prima persona.
Medicina Democratica, con i suoi tecnici e la sua esperienza può e deve sicuramente contribuire a denunciare, anche legalmente, le responsabilità padronali, governative, istituzionali, amministrative e sindacali, ma non può sostituirsi alla classe nell’organizzarsi e nel gestire le lotte in prima persona.
Gli interventi portati al Convegno nel corso della mattinata hanno dimostrato, ognuno per un aspetto diverso, la capacità espressa da Medicina Democratica di aver saputo anticipare i tempi prevedendo nel suo intervento complessivo e nelle sue proposte organizzative che alcune tematiche si sarebbero diffuse nel movimento per la salute e avrebbero generato proposte coincidenti con quelle già formulate dall’Organizzazione stessa. A tal proposito consiglio di leggere gli atti dell’ultimo congresso nazionale di Milano .
L’intervento di Paolo Nicchia (Assise di Bagnoli) ad esempio, ha sottolineato come sia necessario partire dalle indicazioni della gente, individuando e raccogliendo una “soggettività di massa”, mentre Brunello Zaccaria ha proposto al movimento un “salto di qualità”, creando un coordinamento organizzativo per poter tornare a porsi il problema di “cosa produrre, come e per chi”, obiettivo tanto sbandierato dalla sinistra negli anni 70 ma mai posto veramente all’ordine del giorno.
Il prof. Maffella dell’ISDE, invece, ha rimarcato la necessità di individuare le responsabilità di chi ha operato male ma anche quelle di chi non ha voluto vedere, perché non basta fare delle buone leggi ma bisogna anche esercitare un reale controllo perché le stesse vengano applicate.
Il consigliere Comunale con delega ai rifiuti ha rimarcato la necessità per la Campania, ad esempio, di dover chiudere le frontiere ai rifiuti tossici provenienti da altre regioni, ma che per farlo bisognerebbe andare contro le leggi nazionali ed internazionali asservite al commercio, poiché questi scarti vengono classificati come merci e godono di privilegi inammissibili, mentre il rifiuto urbano è assoggettato a leggi diverse.
La rappresentante del Comitato 27 giugno, sorto per ottenere giustizia dopo la strage di Viareggio, ha evidenziato quello che i membri hanno imparato da quando si sono costituiti ed hanno cominciato a prendere iniziative in prima persona: la necessità di abbandonare la strada della delega a chicchessia e la possibilità di diventare tutti esperti nel proprio settore d’intervento, quali scienziati dai piedi scalzi, vedendo collegati da una unica motivazione la strage del Vajont con quella di Linate, i sepolti sotto il fango colato dalle montagne con i morti della Moby Prince e tanti altri casi: la logica del profitto e del potere.
Anche la rappresentante del comitato Mamme di Venafro in provincia di Isernia ha rimarcato la necessità per le madri locali di muoversi in prima persona per combattere il pesantissimo inquinamento che, nella loro zona, ha creato un incremento pauroso di malattie respiratorie ed allergiche soprattutto nei bambini, individuando nell’autostrada e nel cementificio i maggiori responsabili di quest’inquinamento, e la capacità che hanno avuto di coordinarsi con altre associazioni per creare un comitato di difesa del latte materno.
Bartolomeo Pepe ha raccontato di come livelli elevatissimi di PCB abbiano creato una valanga di casi di endometriosi e di come queste informazioni possano diventare di dominio pubblico ed essere utilizzate solo se i tecnici non assoggettati sapranno fare rete e massa critica.
Peppe Manzo, giornalista impegnato nella denuncia della commistione tra poteri camorristici e potere economico, ha invece individuato nei comitati spontanei e nelle loro denunce una sorta di gruppo omogeneo che gli ha consentito, nella sua veste professionale di riproporre, documentandole, queste denunce, ed ha lanciato un appello per il coordinamento stabile delle associazioni campane, unica strada per raggiungere una massa critica significativa.
Elena Coccia, avvocato prestato alla politica nelle file del Consiglio Comunale, ha denunciato lo scarso potere del singolo eletto, ponendo un problema di rappresentanza reale e di reale democrazia, non rinunciando comunque ad utilizzare i pur minimi spazi di iniziativa che queste istituzioni possono ancora fornire.
Antonio Musella della rete Commons, giornalista impegnato nella campagna Stop Biocidio, ha denunciato come anche le istanze del movimento possano essere trasformate in business senza un rapporto di forza favorevole alla popolazione e ai lavoratori: 600.000.000 di euro di spesa sono serviti per studi senza che sia stato ancora bonificato un metro quadro dei 57 siti più inquinati presenti sul territorio.
Per questo ha invitato a riconoscere nello scontro tra capitale e lavoro (ma anche ambiente e salute) il vero livello di scontro, denunciando come storiche organizzazioni che tradizionalmente avrebbero dovuto essere dalla parte dei lavoratori, compresi alcuni sindacati, siano finite sul libro paga dei poteri forti.
Ha quindi concluso invitando i tecnici, se veramente schierati a favore della salute, a mettersi al servizio dei movimenti.
La professoressa Lieti, psichiatra a Taranto, ha raccontato la sua esperienza a favore degli emarginati nella famigerata Palazzina LAF di padron Riva, emarginazione resa possibile, però, anche grazie all’indifferenza di migliaia di colleghi.
Mirko del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, infine, ha denunciato non solo la devastazione della città e dell’ambiente ma anche la difficoltà che incontrano i lavoratori e la popolazione tarantina che, nonostante si siano mobilitati in massa (20.000 in una recente manifestazione di piazza completamente ignorata dai mass media), e nonostante si trovino alleati di una parte della magistratura , si scontrano non solo con la direzione aziendale ma con l’intera classe padronale, appoggiata da un governo completamente asservito ai suoi voleri.
La cosa più grave è che sulla linea padronale si ritrova anche una parte dei lavoratori strumentalizzati da organizzazioni sindacali filopadronali.
Nel pomeriggio,infine, alcuni giovani laureati in Scienze Ambientali dell’Università di Napoli ed il loro docente, dottor Loria, hanno presentato le loro recenti tesi, approfondite da indagini statistiche, volte a dimostrare come in realtà la Sicurezza sul lavoro, nonostante leggi particolarmente avanzate, sia ancora ampiamente sottovalutata ed il ruolo degli RLS risulti marginale nella definizione del rischio sul posto di lavoro.
La scelta degli organizzatori di estendere l’invito al Convegno alle varie realtà organizzate al di fuori di Medicina Democratica ma operanti sul tema della salute è stata, come si vede, ben accolta e gli interventi hanno dimostrato che le proposte di Medicina Democratica non sono elitarie ma si realizzano nel movimento di lotta per la salute venendo raccolte e concretizzate.
Il Convegno, in sintesi, non voleva e non ha avuto la pretesa di tirare fuori dal cilindro alcun coniglio, non ha risolto alcun dilemma e non ha indicato ricette miracolose, ma ha suggerito un percorso di partecipazione condivisa, sottolineando l’impossibilità per le singole realtà, anche le meglio organizzate, di poter ottenere risultati incisivi e duraturi basandosi solo sulle proprie forze.
L’encomiabile lotta dei Valsusini non potrà reggere il confronto se non riuscirà ad uscire dalla Valsusa, mentre quella dei Cittadini e dei Lavoratori dell’ILVA di Taranto subirà una pesante sconfitta se non diventerà la lotta di tutto il movimento operaio e progressista, poiché le controparti non sono più la direzione aziendale o l’amministrazione regionale ma l’intero sistema di potere economico che a tutti i costi vuole garantirsi il proprio profitto ed imporre il proprio dominio ideologico.
L’assenza negli interventi di esempi di lotta organizzata provenienti dall’interno dei posti di lavoro, però, ha anche evidenziato il basso livello di coscienza e di organizzazione tra la classe operaia, attualmente lontana dagli esempi e dalle lotte degli anni 70, evidentemente egemonizzata da organizzazioni sindacali che hanno smesso di tutelare la salute come valore assoluto e questo pone al movimento il compito di denunciare questa deriva e porsi il problema di superarla.
Per questo ritengo che solo l’autorganizzazione, la generalizzazione della lotta e la crescita del coordinamento e dell’organizzazione dei movimenti potrà mettere in campo le forze sufficienti per evitare che l’obiettivo della salute e quello del lavoro non siano posti in conflitto tra loro.

Maurizio Loschi

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